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Archive for the ‘Politica’ Category

Cambi di casacca, ecco i recordman del Parlamento. Ultimo caso Formisano, ma Compagna ha già cambiato 6 gruppi

venerdì, marzo 3rd, 2017

Camera-risparmi-e1475146143897A Montecitorio i suoi (ormai ex) colleghi di gruppo l’hanno ribattezzato “la meteora”. Come altro definire, del resto, Aniello Formisano detto Nello? Nemmeno Wikipedia, pensate, è riuscita a stargli dietro. Già, perché il deputato di Torre del Greco, eletto 4 anni fa tra le file di Centro Democratico, è riuscito nella titanica impresa di passare – nell’arco di appena 19 giorni – da Civici e Innovatori ad Articolo 1 – Movimento democratico e progressista. Così, senza colpo ferire. “Da giovane ero comunista”, ha spiegato al Corriere: “Non sono un fuoriuscito, sono un rientrato…”. Proprio così ha detto. Ma non sarà che per lei Mdp è un taxi, caro onorevole Formisano? “Non scherziamo”, si è inalberato l’interessato: “Se facciamo riferimento all’impostazione ulivista i partiti sono un mezzo per affermare i valori”. Sarà.

Certo è che quello di Formisano non è un caso isolato. Anzi. Dall’inizio della legislatura (marzo 2013) ad oggi, stando ai dati pubblicati da Openpolis, ci sono stati la bellezza di 447 cambi di casacca con 373 parlamentari coinvolti: il 39,26% del totale. In media, ha calcolato l’associazione, ogni 30 giorni 9 eletti decidono di traslocare da un gruppo all’altro. Cifre monstre, se si considera che nella passata legislatura (2008/2013) i passaggi furono in tutto 261 e coinvolsero 180 fra deputati e senatori. La rottura interna al Pd, ufficializzata non più tardi di 48 ore fa, comunque, è solo la punta dell’iceberg.

Andirivieni – Di scuse se ne possono trovare quante se ne vogliono, comprese quelle tirate in ballo da alcuni: la legge elettorale con le liste bloccate, alias il famigerato Porcellum, e (addirittura) la fine delle ideologie. Molto più semplicemente, spesso dietro alla decisione di fare le valige e cambiare “casa” si cela un mero calcolo politico. Qualcuno, poi, c’ha proprio preso gusto. Sempre nella pattuglia degli scissionisti dem, per dire, è finito Adriano Zaccagnini. Candidato ed eletto alle ultime politiche con il Movimento 5 Stelle, il deputato romano ha abbandonato i grillini 4 mesi dopo l’ingresso in Parlamento passando nel Gruppo Misto. A ottobre 2014, Zaccagnini ha deciso di sposare il progetto di Sinistra italiana ma, finita la luna di miele, a settembre 2016 è tornato nel Misto. Prima dell’ultimo cambio di gruppo, in Mdp appunto. Che dire poi di Paola Pinna? La deputata sarda è riuscita in un’altra grande impresa: spostarsi dai 5 Stelle al Pd, suo attuale partito, passando per il Misto e Scelta civica. Pinna e Zaccagnini sono comunque in ottima compagnia.

Liberi tutti – Degna di nota è anche la parabola di Fucsia Nissoli. Entrata alla Camera pure lei con Scelta civica, la deputata di Treviglio è passata per il Misto prima di rientrare nel partito fondato da Monti e infine aderire (a dicembre 2013) a Democrazia Solidale-Centro Democratico. Anche Giuseppe Ruvolo e Riccardo Conti, in questa legislatura, hanno cambiato 3 volte casacca. Il primo, eletto con il Popolo della Libertà, è passato per Grandi Autonomie e Libertà (Gal) e Alleanza Liberalpopolare-Autonomie (i verdiniani): oggi indossa la maglia dell’Udc. Percorso simile è quello fatto da Conti, che prima di aderire pure lui all’Udc (partito col quale era stato eletto in Parlamento nel 2006) ha transitato in Forza Italia, Misto e Ala. E Salvatore Margiotta? Potevamo dimenticarci di lui? No che non potevamo. Seguiteci: il senatore potentino è rimasto nel Pd dal 19 marzo 2013 al 10 dicembre 2014, poi è passato al Misto fino al 20 gennaio 2016, infine è andato in Area popolare e dal 1° marzo 2016 – incredibile ma vero – è rientrato nei dem.

L’inarrivabile – Il primatista dei cambi di casacca nell’attuale legislatura è senza ombra di dubbio Luigi Compagna. Che di spostamenti da un gruppo all’altro, fate attenzione, ne ha fatti ben 6. Una lunga carriera politica alle spalle iniziata negli Anni ’90 con il Partito Repubblicano, in 4 anni Compagna è entrato e uscito due volte da Gal e Area Popolare fermandosi per un po’ nel Misto fino ad accasarsi tra i Conservatori e Riformisti. Tre passaggi di gruppo li hanno fatti anche Sandro Bondi e Manuela Repetti. Insieme, come nella vita. Da Forza Italia, la coppia di ex fedelissimi di Berlusconi è passata ai “nemici” verdiniani prima di congedarsi dopo soli 6 mesi e andare al Misto. Alla prossima puntata.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 2 marzo 2017 per La Notizia

Gentiloni stai davvero sereno. Il viceministro Bubbico è passato con Mdp, ma rassicura: “Fiducia doverosa”

giovedì, marzo 2nd, 2017

11190908283_4814201231_bSi sono costituiti ieri sia a Montecitorio (37 deputati guidati da Francesco Laforgia) sia a Palazzo Madama (14 senatori capitanati da Maria Cecilia Guerra) i gruppi di Articolo 1 – Movimento democratico e progressista. Al Senato, fra i membri c’è anche il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico.

Senatore, Gentiloni può “stare sereno”?
Sono meridionale e perciò scaramantico, eviterei di usare certe espressioni… La serenità va conquistata di giorno in giorno, agendo per confermare gli obiettivi annunciati.

Continuerete ad appoggiare il Governo o no?
I neonati gruppi di Democratici e progressisti confermano la fiducia all’Esecutivo, una fiducia che personalmente reputo doverosa perché l’Italia possa essere aiutata a ritrovare la via migliore per rilanciarsi e tornare a crescere. Si tratta ora di capire come questa nostra volontà possa essere effettivamente declinata.

Lei continuerà a far parte dell’Esecutivo?
Sono pronto a fare un passo indietro in ogni circostanza.

Il premier sapeva che avrebbe lasciato il Pd?
Certamente. Della decisione che ho assunto ho informato per tempo sia lui sia il ministro Minniti.

Quali sono le vostre priorità?
Il problema principale è quello di affrontare la questione economico-sociale. Gentiloni sta lavorando per garantire stabilità, rassicurare i mercati e mantenere un rapporto proficuo coi partner europei. Va interrotto in tutti i modi il processo recessivo in atto da troppo tempo.

Veniamo al Pd. Nei giorni scorsi Renzi ha detto che dietro la scissione c’è la regia di D’Alema…
Ha detto bene Bersani: l’artefice della nostra fuoriuscita è stato l’ex segretario. Nel Pd c’è una visione e un metodo che ci auguriamo sia lo stesso Renzi a correggere. Qui non è in discussione una persona ma il destino del Paese. Vanno superati quegli atteggiamenti ascrivibili ad arroganza e provincialismo.

A cosa si riferisce?
Una manifestazione tipica del provincialismo è quella di cercare le soluzioni altrove. Tradotto: non serve andare in California, basta guardare alla complessità del mondo e alle nostre risorse inespresse.

Orlando o Emiliano potrebbero “ricucire” lo strappo?
Vorrei tanto che fosse Renzi a fare opera di pacificazione, prendendo atto del fatto che non è il capo di una tribù ma di una comunità ricca e articolata.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 1 marzo 2017 per La Notizia

Da Boccia a Chaouki e Lumia: ecco la squadra di Emiliano

mercoledì, marzo 1st, 2017

Michele_EmilianoHa deciso di rimanere nel Pd e correre per la guida della segreteria, giocando una partita senza esclusione di colpi. Come dimostrano le parole pronunciate non più tardi di 48 ore fa, quando ha detto tranchant che se qualcuno vuole togliersi dai piedi Matteo Renzi allora deve votare per lui. Lui è Michele Emiliano, governatore della Puglia che proprio non ci sta a fare l’agnello sacrificale lasciando campo libero all’ex premier e segretario dem uscente e al ministro della Giustizia Andrea Orlando. Anzi.

Così, come pure i suoi sfidanti, l’ex sindaco di Bari sta organizzando le truppe in vista della battaglia congressuale. Truppe che saranno formate da parlamentari, governatori, consiglieri regionali. Più la cosiddetta “società civile”. In molti per adesso non vogliono esporsi pubblicamente, anche perché la presentazione delle candidature alla segreteria scadrà il 6 marzo e non si possono commettere errori. Quel che è certo è che a tirare la volata del presidente pugliese c’è un pezzo da novanta del partito come Francesco Boccia, numero uno della commissione Bilancio di Montecitorio, secondo il quale “con Emiliano segretario del Pd tutte le anime della sinistra possono tornare a casa”. Schierato col governatore c’è anche un altro barese doc come Dario Ginefra, di cui il 5 giugno 2016 Emiliano, particolare succoso, è stato testimone di nozze.

Terza via – Non solo. Sempre dalla Camera arrivano anche altri quattro nomi. Si tratta di Simone Valiante (vicino all’ex ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni), Antonio Castricone, Colomba Mongiello, pure lei pugliese, e Khalid Chaouki. Nome, quest’ultimo, che ha sorpreso non pochi, visto che nel mare magnum delle correnti del Pd il deputato di origine marocchina “nuota” in quella dei Giovani Turchi – o Rifare l’Italia – capitanata da Matteo Orfini e Orlando. Sarebbe stato logico, quindi, immaginare un suo appoggio a Renzi o al Guardasigilli. Invece Chaouki ha scelto la “terza via”. Poi, come detto, ci sono i governatori. Due in questo caso i nomi caldi, fra conferme e smentite: quelli di Mario Oliverio (Calabria), su cui però aleggia il punto interrogativo, e Rosario Crocetta, numero uno della Sicilia. In un primo tempo era stato tirato in ballo anche Nicola Zingaretti (Lazio), che però ha annunciato il proprio sostegno a Orlando. Un secco “no” è arrivato pure da Sergio Chiamparino (Piemonte): “Emiliano mi appare come l’altra faccia di Renzi, ne è speculare nell’idea che sembra avere della leadership”.   

In marcia – Dalla Sicilia vengono anche Pino Apprendi e il potente senatore della commissione Antimafia Giuseppe “Beppe” Lumia. Il primo, deputato dell’Ars, presiederà il comitato elettorale di Emiliano sull’Isola. Secondo quanto riferito a La Notizia da più fonti, anche il parlamentare, inseparabile di Crocetta, farà il “portatore d’acqua” per il presidente pugliese. In attesa che altri sposino la sua causa.

Articolo scritto il 1° marzo 2017 per La Notizia

Dj Fabo, parla Riccio, l’anestesista che aiutò Welby a morire: “Tradito il gesto di Piergiorgio, restiamo nel Medioevo”

mercoledì, marzo 1st, 2017

Riccio_MarioCiò che è accaduto a Fabiano Antoniani (Dj Fabo) è il segno dell’“arretratezza culturale” dell’Italia. Lo dice senza mezzi termini il Dottor Mario Riccio, l’anestesista che dieci anni fa aiutò Piergiorgio Welby a morire. “Mi auguro che l’Europa ci imponga di prendere in considerazione la questione dell’eutanasia”, aggiunge Riccio a La Notizia.

Il caso di Dj Fabo arriva dopo quelli di Welby, Englaro, Nuvoli, Piludu, Bettamin… Eppure quella legge tanto necessaria è ferma al palo.
L’Italia è l’unico Paese occidentale avanzato che sta ancora decidendo se un paziente può o non può rifiutare parzialmente o totalmente le terapie. Mentre il mondo discute di ben altro, noi continuiamo a vivere in una situazione di arretratezza culturale. Un Medioevo dal quale, prima o poi, mi auguro usciremo. Sa qual è il paradosso?

Qual è? Mi dica.
Paesi come il Canada, l’Olanda, il Belgio, dove l’eutanasia è legale, sono realtà ricche, che non hanno scelto questa via per “liberarsi” dei malati o perché costa troppo trattarli. Al contrario, questi hanno fatto il percorso inverso riconoscendo che in certe condizioni è giusto che lo Stato sostenga situazioni critiche e pesanti come quella di Dj Fabo.

Eppure il 60% degli italiani, dicono i sondaggi, è favorevole alla “dolce morte”. Quindi?
Trattando questo tema ormai da molti anni, posso dirle che la percentuale di cittadini favorevoli all’eutanasia è maggiore del 60%. Recentemente la sensibilità dell’opinione pubblica è maturata: molte persone che potrebbero trovarsi in disaccordo con la decisione presa da Welby o Dj Fabo capiscono che non possono impedire che altri facciano scelte diverse. 

Ma allora qual è il problema?
Esiste uno zoccolo duro, una componente culturale, politica e confessionale che ritiene assolutamente necessario combattere una battaglia per impedire che ognuno disponga di se stesso. È un discorso che prescinde dalla diversità di vedute, che pure va benissimo, sia chiaro, ma che cozza con la volontà del paziente.

Il ruolo della Chiesa quanto influisce in questo discorso?
Meno di quanto si possa immaginare. Certo, rimangono le posizioni oltranziste di alcuni prelati, ma all’interno della Chiesa la sensibilità è molto cambiata. Basti pensare alla posizione dello scomparso Cardinal Martini, che non condannava il rifiuto delle terapie, qualunque esse fossero. Lui stesso rifiutò di collegarsi al ventilatore.

Il vuoto normativo rappresenta un “tradimento” nei confronti di Piergiorgio Welby, che per primo ha lanciato un segnale al legislatore?
Senza ombra di dubbio. Fra l’altro, la proposta di legge sul testamento biologico di cui è relatrice Donata Lenzi del Pd, che dovrebbe arrivare in Aula nelle prossime settimane, presenta dei grossi limiti, che rischiano di limitare fino ad annullare la volontà del paziente. Per esempio, nel testo non si parla di sedazione palliativa profonda continua. Si parla invece di una pianificazione delle cure necessariamente da condividere assieme al medico.

Anche la Federazione Nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) ha delle responsabilità?
Personalmente, credo che la Fnomceo abbia la responsabilità di non aver mai preso una posizione su temi come questo. La classe medica se ne disinteressa, eppure la riguardano: è un grande vuoto, ci si è fatti sfuggire un’occasione permettendo che a parlare fossero altri. Mi piacerebbe che ci fosse uno scatto d’orgoglio. Vedremo.

Alla fine, il rischio è quello di un ennesimo intervento dell’Europa.
Sono un po’ démodé e ho fiducia nell’Europa. Mi auguro che, dopo quanto avvenuto con le unioni civili, l’Ue imponga all’Italia di prendere in considerazione la questione dell’eutanasia. Altrimenti continuerà ad alimentarsi un “turismo sanitario” che già adesso fa registrare numeri importanti.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 28 febbraio 2017 per La Notizia

Il ritorno a casa di Angelino. Alfano tenta di ricucire con Forza Italia, ma nel partito di Berlusconi trova porte chiuse

domenica, febbraio 26th, 2017

Angelino_AlfanoPorte chiuse. Anzi, serrate. Dentro Forza Italia proprio non ne vogliono sapere di ricucire con Angelino Alfano. Il ministro degli Esteri e leader di Ncd ha lanciato l’ennesimo messaggio ai suoi ex compagni di viaggio, quelli cioè che hanno condiviso con lui la parabola del Pdl. “Esiste un importante spazio per idee e movimenti politici di impronta liberale e popolare, moderata e riformatrice” ed “esiste tra il Partito democratico e la Lega”, ha scritto Alfano in una lettera inviata al Corriere. Insomma: l’ex delfino di Berlusconi auspica un rassemblement dei moderati. “Un’occasione per Forza Italia – l’ha definita – per riavvolgere il nastro e non annegare irreversibilmente la propria vocazione riformista nel mare del populismo anti europeo e anti euro”. Tradotto: mollate Lega e Fratelli d’Italia e ricuciamo.

Solo il capogruppo azzurro a Palazzo Madama, Paolo Romani, ha commentato ufficialmente l’uscita del ministro. “Mentre si pone il problema della creazione e della collocazione strategica di un polo moderato e liberale”, ha spiegato all’Adnkronos, “notiamo che il baricentro di Ncd si è spostato nell’area renziana, tant’è che Alfano voleva convincerci a votare a febbraio come chiedeva l’allora premier”.

Meglio soli – Un messaggio inequivocabile. Ma gli altri cosa ne pensano? “In questi anni si sono combattute battaglie, penso a quelle sulla riforma costituzionale e sulle unioni civili, che hanno visto Alfano sempre schierato dalla parte di Renzi”, ricorda a La Notizia Lucio Malan. “Lui ci chiede di scegliere da che parte stare? Non credo ci siano grossi dubbi… Forse il ministro avrebbe dovuto pensarci prima: le scelte sbagliate prima o poi si pagano”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Francesco Paolo Sisto. “La coerenza e la fedeltà a Berlusconi sono i due valori fondanti di Fi – dice –. Alfano tiene due piedi in una scarpa, il fatto che il suo appello arrivi a ridosso di possibili elezioni è a dir poco singolare”. La coalizione, chiarisce Sisto, “è formata da noi, Lega e Fratelli d’Italia: qualsiasi operazione di disturbo deve essere valutata con attenzione, soprattutto se riguarda chi ha contribuito a ‘far fuori’ politicamente il nostro leader e continua senza pentimento a dare appoggio al Governo e ad amministrazioni locali di sinistra che ci vedono all’opposizione”.

Spazi stretti – Per il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, si tratta di “una prospettiva che non esiste, viste anche le pregiudiziali che Alfano ha nei confronti di Salvini e Meloni”. E anche Nunzia De Girolamo, tornata in Forza Italia dopo un passaggio in Ncd, chiarisce: “Non vedo perché dovremmo creare un altro contenitore in un quadro già frammentato”, e poi “i presunti partiti a cui fa riferimento il ministro degli Esteri non hanno i numeri per vincere”. Certo, “bisogna essere il più inclusivi possibile, ma non è certo mettendo dei veti che si costruisce l’alternativa”. “Alfano non pensi di poterci dividere, semmai rifletta definitivamente su cosa fare”, chiosa il deputato umbro Pietro Laffranco: “Il Centrodestra deve unirsi, gli egoismi non sarebbero compresi dagli elettori che ci vogliono coesi, come hanno dimostrato penalizzandoci proprio sulla base del nostro grado di compattezza”. Caustica Daniela Santanché. “Alfano ha fatto ben capire che è alla ricerca di un posto di lavoro”, il tweet condito dall’hashtag #staisolo. Il rischio, del resto, è proprio quello.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 25 febbraio 2017 per La Notizia

Tutti gli uomini di Andrea Orlando. Da Zingaretti a Bettini, ecco le truppe per tentare l’assalto al Pd

sabato, febbraio 25th, 2017

ministro_ORLANDO_0Andrea Orlando gioca per vincere. “Arriverò primo e dico al secondo e al terzo: non vi preoccupate perché non sarò il capo della mia corrente ma il segretario del Pd”, sono state le parole pronunciate ieri dal ministro della Giustizia al circolo Pd Marconi, dove ha lanciato ufficialmente la sua candidatura alla segreteria. Ora però la domanda sorge spontanea: con i renziani pronti da tempo alla battaglia congressuale e col governatore della Puglia Michele Emiliano che sta organizzando le truppe, chi sosterrà la corsa del “silenzioso” Andrea?

I nomi, a dire il vero, sono già molti. Anche perché, come ha spiegato a La Notizia un parlamentare dem che conosce bene il Guardasigilli, “Renzi è popolare fra la gente” ma “bisogna vedere se dopo quello che è successo il 4 dicembre ha ancora i numeri dentro al partito”. I primi endorsement per Orlando sono parecchio “pesanti”, visto che arrivano dal governatore della Regione Lazio, Nicola Zingaretti (“Dobbiamo cambiare il partito e serve un segretario che unisca”, ha scritto su Facebook), e da Goffredo Bettini, già stratega della candidatura di Rutelli e braccio destro di Veltroni. “Tradito” dall’altro leader dei Giovani Turchi Matteo Orfini, il numero uno di via Arenula può comunque contare su buona parte dei componenti della corrente che guida.

Turchi in movimento – A cominciare dall’ex assessore ai Trasporti del Comune di Roma Stefano Esposito e dall’ex tesoriere del partito Antonio Misiani, passando per Valeria Valente (candidata a sindaco di Napoli alle ultime amministrative) e Daniele Marantelli. Senza dimenticare la sottosegretaria all’Ambiente Silvia Velo, il vicepresidente della commissione Agricoltura di Montecitorio Massimo Fiorio, Anna Rossomando, Antonio Boccuzzi e Michele Bordo, quest’ultimo presidente della commissione per le Politiche Ue della Camera. Ma non solo. A sostegno del ministro si sono infatti già schierati anche Michele MetaMarco Miccoli, Anna Giacobbe (deputata ligure ed ex segretaria della Cgil regionale) e Massimiliano Valeriani, capogruppo dem nel Consiglio regionale del Lazio.

Senza alternativa – Secondo quanto hanno riferito a La Notizia fonti interna al Pd, inoltre, anche la sottosegretaria all’Economia Paola De Micheli – già lettiana – sembra intenzionata a schierarsi con Orlando. Così come Gianni Cuperlo e Andrea De Maria, che hanno convocato un’assemblea per il 4 marzo ma che di fatto, vista anche la posizione di Cesare Damiano (schierato col Guardasigilli), non hanno altra scelta se non quella di sposare la causa di “Andrea”. Stessa cosa faranno anche l’ex ministra Barbara Pollastrini e le deputate Liliana Ventricelli ed Elisa Simoni. Molti si chiedono poi se e quando arriverà l’endorsement più pesante, quello di Giorgio Napolitano, che il 16 dicembre scorso ha passeggiato a braccetto nel salone Garibaldi del Senato proprio con Orlando. Vedremo.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 24 febbraio 2017 per La Notizia

Berlusconi passa all’incasso e apre la caccia ai morosi di Forza Italia. Chi non salda si scordi la prossima candidatura

giovedì, febbraio 23rd, 2017

photolenta_big_photoLi vuole tutti, e li vuole subito. Senza perdere altro tempo. Silvio Berlusconi ha deciso di passare all’incasso, puntando a stanare una volta per sempre i tanti “morosi” di Forza Italia. Tutto vero. Dentro al partito azzurro infatti sono parecchi quelli che nel corso degli ultimi anni non hanno messo mano al portafogli e versato gli importi dovuti a titolo di contributo. Soldi che servono per sostenere le attività del partito. Ma non solo. Ecco perché adesso il Cavaliere ha deciso di lanciare un vero e proprio aut aut: o pagate o siete fuori. Il messaggio è arrivato ai diretti interessati con una lettera, partita dopo l’ultima riunione del comitato di presidenza (di cui fanno parte alcuni pezzi da novanta come Carfagna e Gelmini) e firmata da Alfredo Messina, che dalla metà del 2016 ha preso il posto di Mariarosaria Rossi come tesoriere.

“Siamo ormai sotto il livello di sopravvivenza, (…) esiste un limite fisiologico al di sotto del quale la ‘macchina partito’ diventa un puro costo e non è più di nessuna utilità”, scrive Messina senza mezzi termini: “Si tratta di uno stato di insolvenza risalente, con riferimento agli ultimi anni, già al 2014 e al 2015 e che si è persino aggravato nel corso del 2016”. Il tutto prima di dettare i tempi.

Pagare prego – “Il comitato di presidenza – ha continuato Messina – ha stabilito che entro il 28 febbraio p.v., senza la possibilità di ulteriori proroghe, tutti gli appartenenti al movimento politico Forza Italia devono provvedere a regolarizzare la propria posizione per le insolvenze pregresse”. Altrimenti? Stavolta le “pene” per coloro che non si metteranno in regola sono pesanti. Si va dalla decadenza automatica da ogni incarico di partito all’esclusione dalle riunioni degli organi collegiali, passando per il deferimento al collegio dei probiviri “per le valutazioni di competenza”. In ogni caso, “è fin d’ora esclusa la ricandidatura alla prossima tornata elettorale politica o regionale”. Proprio così c’è scritto. Certo, l’ex premier non ha voluto usare solo il bastone. Così ha deciso di predisporre una serie di “agevolazioni” per chi salderà i propri debiti.

Saldi al via – Per esempio, coloro che saneranno totalmente la loro posizione entro la data prevista “beneficeranno di una riduzione del 20% degli importi dovuti sia a titolo di contributo, sia a titolo di versamento dell’importo di 25.000 euro non effettuato all’inizio legislatura”. E ancora: “Coloro che chiederanno una rateizzazione degli importi dovuti dovranno”, sempre entro fine mese, “avere versato l’intera quota di iscrizione e almeno il 25% dell’importo dovuto”, impegnandosi a versare la somma restante in 4 rate trimestrali (senza interessi). Basterà questa apertura per svegliare dal letargo i “morosi”? “Visto com’è andata nel Pdl, dove sono sempre esistiti figli e figliastri e anche chi non era in regola è stato comunque ricandidato, nessuno ci crede”, dice a La Notizia un illustre parlamentare forzista.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 22 febbraio 2017 per La Notizia

Il salasso dei vitalizi regionali: ci costano 150 milioni l’anno. Oltre 3.500 gli ex consiglieri beneficiari

mercoledì, febbraio 22nd, 2017

consiglio-lazio

Oltre 150 milioni di euro lordi all’anno. Per la precisione, circa 150,98 milioni. Centesimo più centesimo meno. Sono quelli che, stando all’ultimo rapporto del Centro studi e ricerche di Itinerari previdenziali, le Regioni spendono in media ogni anno per pagare i vitalizi dei loro ex consiglieri. Una cifra monstre che se sommata con quella messa a bilancio dalle Camere, 218 milioni di euro in totale nel solo 2016 (135 milioni 360 mila euro il dato relativo a Montecitorio e 82 milioni 890 mila euro quello di Palazzo Madama), porta l’esborso per pagare le pensioni degli ex Onorevoli a raggiungere la ragguardevole somma di 368 milioni lordi. Proprio così. Complessivamente, dice il dossier, le Regioni erogano 3.538 vitalizi (2.583 diretti e 945 di reversibilità), il cui importo medio si attesta intorno a 42.314 euro lordi l’anno. Ovviamente con delle differenze da Regione a Regione.

vitalizioSali e scendi – Ai primi posti nella classifica di quelle che spendono di più, segnala sempre Itinerari previdenziali, ci sono Puglia, Sicilia, Sardegna, Lazio e Campania con un’incidenza complessiva che oscilla fra 10 e 18 milioni di euro lordi. Mentre agli ultimi posti figurano Toscana, Abruzzo, Marche, Basilicata e Molise. Qualche cifra? Per pagare 159 vitalizi diretti e altri 49 di reversibilità, la Regione Puglia tira fuori più di 15 milioni di euro all’anno (dato aggiornato ad aprile 2016). “Meglio” fanno le due Isole: quasi 18 milioni di euro la Sicilia, dove intascano il vitalizio in 312 (186 ex inquilini dell’Ars e 126 eredi), e circa 17,5 milioni la Sardegna, dove i percettori sono in tutto 311. Anche la Campania, con i suoi 10,8 milioni atti a pagare 249 assegni, come detto, non scherza. Per non parlare del Lazio: 9 milioni 240 mila euro per pagare 146 vitalizi diretti e altri 3 milioni 960 mila per quelli di reversibilità. Totale: 13 milioni 200 mila euro. Certo, si dirà: negli ultimi anni, complice la spinta della famigerata “antipolitica”, molte Regioni hanno riformato il sistema. Peccato però che le nuove regole – così com’è accaduto anche per il Parlamento – valgano soltanto per i nuovi eletti. Insomma, al grido de “i diritti acquisiti non si toccano”, gli ex consiglieri usciti dalle rispettive assemblee prima che l’andazzo cambiasse vedranno l’assegno continuare a correre.

Alla cassa – Nel lungo elenco figurano nomi noti, come quello di Sandra Lonardo, moglie dell’ex Guardasigilli Clemente Mastella, che dopo una sola legislatura in Regione Campania oggi porta a casa un assegno di 4.995 euro lordi al mese. Senza dimenticare il caso dell’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari, che ai 1.711 euro netti al mese che gli vengono versati dalla Regione Veneto (dato relativo al 2015) somma i 3.044 euro, sempre netti, del vitalizio da ex deputato. O quello dell’ex governatore della Puglia Nichi Vendola, che ai 5.618 euro lordi che percepisce dalla Regione che ha guidato dal 2005 al 2015 unisce i 4.985 euro netti come ex inquilino di Montecitorio. Davvero niente male.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 21 febbraio 2017 per La Notizia

La scissione costa cara a Renzi. D’Alema e compagni già volano nei sondaggi: così Matteo rischia grosso

sabato, febbraio 18th, 2017

dalemaGraziano Delrio, uno dei fedelissimi dell’ex premier Matteo Renzi, è stato in qualche modo profetico. “La scissione è una scelta tragica”, ha detto il ministro dei Trasporti dopo l’infuocata direzione del Partito democratico di lunedì scorso, perché “butta all’aria gli sforzi di tante persone, è una responsabilità enorme che ci si prende sulle spalle”. Ed è proprio così. Perché a sentire alcuni tra i principali sondaggisti del nostro Paese, un Pd senza la minoranza dei vari Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza e Massimo D’Alema tanto invisa all’ex sindaco di Firenze rischia di portare i dem ad ambire al gradino più basso del podio in vista delle prossime elezioni Politiche. Una dura botta per le sfrenate ambizioni del rottamatore, che punta a riprendersi Palazzo Chigi. Ma andiamo con ordine.

Se il Movimento 5 Stelle oscilla ancora fra il 28 e il 30% nonostante i guai che attanagliano la giunta romana di Virginia Raggi, e un Centrodestra con Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia riuniti sotto lo stesso tetto nonostante la diversità di vedute potrebbe addirittura giocarsela alla pari con i pentastellati (molto conterà ovviamente con che tipo di legge elettorale si andrà a votare), l’addio della costola “sinistra” del partito del Nazareno provocherebbe un’emorragia importante. Tanto che al collo dei dem finirebbe addirittura una simbolica quanto inutile medaglia di bronzo. “Secondo le rilevazioni che abbiamo effettuato negli ultimi giorni”, dice a La Notizia Carlo Buttaroni, presidente e direttore scientifico di Tecnè, “l’area di sinistra alla quale possiamo oggi ascrivere i vari Bersani, Michele Emiliano e D’Alema vale circa il 14%”.

Inutile stampella – Certo, ammette Buttaroni, “stiamo ragionando senza un’offerta politica concreta, che ad oggi potremmo quasi definire ‘immaginifica’”. Però i numeri parlano chiaro. Ancora di più se la “stampella” del Campo progressista di Giuliano Pisapia rischia di non riuscire a colmare il vuoto lasciato dagli scissionisti. “A Milano, Pisapia ha sempre goduto di un alto gradimento, ma trasformare la sua popolarità in consenso politico – conclude il numero uno di Tecnè – non sarà facile”.

Tutti dentro – Anche per Ipr Marketing la fuoriuscita della minoranza avrebbe effetti dolorosi per il Pd. “Un partito di sinistra che comprende al suo interno pure il progetto di Vendola e Fratoianni”, rivela il direttore Antonio Noto, “vale oggi fra il 10 e l’11%. Il Pd? Si fermerebbe al 22%”. Ben lontano dai fasti del 40,8% raccolto alle Europee del 2014. “Così facendo i dem rischiano di arrivare dietro al Centrodestra unito e al M5s”, fa notare il numero uno di Ipr, “anche se molto dipenderà dal tipo di legge elettorale che partorirà il Parlamento”. Perdite più contenute, invece, secondo Emg Acqua, l’istituto diretto da Fabrizio Masia. Che ieri a Repubblica ha spiegato che con la scissione il Pd perderebbe il 4%, percentuale che però potrebbe salire fino al 10-12%. Renzi è avvisato.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 17 febbraio 2017 per La Notizia

Renzi, Verdini, Trump. Chi ha vinto e chi ha perso in questo 2016

sabato, dicembre 31st, 2016

IMG_9940Alcuni lo ricorderanno come un anno a dir poco paradisiaco, altri ancora come quello delle grandi occasioni mancate. Dodici mesi vissuti in una sorta di purgatorio, insomma. Per qualcun altro, invece, sarà semplicemente da cancellare perché è stato un vero e proprio inferno. Meglio voltare pagina e farlo in fretta. Quando mancano poche ore alla fine del 2016 è possibile tracciare un bilancio di quali siano stati i top e i flop in politica, sport, musica, cinema. Gli avvenimenti che hanno caratterizzato il 2016, da gennaio fino a dicembre, del resto, sono stati numerosi. In Italia c’è stato il referendum costituzionale, ma anche le elezioni Amministrative che hanno visto la vittoria del Movimento 5 Stelle a Roma e Torino (con risultati ad oggi contrastanti). Mentre a livello internazionale l’evento clou sono state senza ombra di dubbio le elezioni americane, che hanno incoronato il repubblicano Donald Trump. Ma non solo. La vittoria del Leicester di Claudio Ranieri in Premier League e quella di tanti atleti azzurri a Rio 2016 – due nomi su tutti: Niccolò Campriani e “Bebe” Vio – fanno da contraltare al flop di Federica Pellegrini. Ecco vincitori e vinti di questo 2016.

INFERNO – Il flop dell’anno è indubbiamente quello dell’ex sindaco di Firenze ed ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, che aveva puntato tutte le sue fiches sul referendum costituzionale del 4 dicembre scorso. Com’è andata a finire è cosa nota. Oggi da segretario del Pd si aggira per le corsie del supermercato con il carrello della spesa al seguito, ma lo rivedremo nel 2017, questo è poco ma sicuro. Chi invece non è mai sparita dai radar è Maria Elena Boschi, un’altra delle grandi sconfitte del 2016 (i motivi sono gli stessi dell’ex premier). L’ex ministra delle Riforme è diventata sottosegretaria alla presidenza del Consiglio del Governo di Paolo Gentiloni. Insomma, è praticamente uscita dalla porta e rientrata dalla finestra. Che dire poi di Giorgio Napolitano? Il presidente emerito della Repubblica, un altro dei “padri” del ddl Boschi, sperava nel successo del Sì al referendum. Poi, metabolizzata la batosta, ha ammesso: “Con il No ho perso anch’io”. Averlo capito è già qualcosa. A Roberto Benigni, invece, è costata cara la giravolta in corso d’opera. All’inizio era “orientato a votare No”, poi si è schierato con Renzi e soci: non gli è andata bene. Virginia Raggi (M5S), prima sindaca donna della Capitale, doveva invece rivoltare Roma come un pedalino. Ma fra perquisizioni, arresti e una città bloccata non si può certo dire che ci stia riuscendo. Capitolo ministri. I nomi sono quelli di Federica Guidi e Giuliano Poletti. La prima è stata costretta a dimettersi ad aprile per la vicenda “Tempa Rossa”; sul secondo, dopo due gaffe nel giro di pochi giorni – le dichiarazioni sul voto anticipato per scongiurare il referendum sul Jobs Act e quelle, peggiori, sui giovani italiani che vanno all’estero – pende una mozione di sfiducia che pure la minoranza dem minaccia di votare. Altra grande sconfitta del 2016 è Hillary Clinton: doveva diventare la prima donna alla Casa Bianca, ma gli Usa le hanno preferito Trump. Non possiamo certo dimenticarci, infine, di Lapo Elkann e Federica Pellegrini. A fine novembre, il primo è stato arrestato a New York per aver simulato un sequestro dopo un festino a base di coca e sesso. Alle Olimpiadi di Rio, “Federica” doveva portare a casa almeno una medaglia. È tornata a mani vuote e con i nervi a fior di pelle. Di più: nei giorni scorsi è stata pure ufficializzata la crisi col fidanzato Filippo Magnini.

PURGATORIO – Ma c’è anche chi ha vissuto un anno in chiaroscuro. Né vincitore né vinto. È il caso di Denis Verdini, che col neonato gruppo Ala ha fatto da stampella al fu Governo Renzi per poi rimanere a bocca asciutta al momento di riempire le caselle dell’Esecutivo “fotocopia” di Gentiloni. Non è comunque detta l’ultima parola: l’appoggio esterno dei suoi può sempre tornare utile. È stato un 2016 dal sapore agrodolce anche per la coppia d’oro del M5S, quella formata da Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. In prima linea durante la campagna elettorale per il referendum, entrambi si sono ritrovati loro malgrado invischiati nell’affaire Raggi (soprattutto dopo l’arresto di Raffaele Marra), stretti nella morsa delle correnti che stanno agitando i pentastellati e che vogliono minarne la scalata alla leadership. Anche Silvio Berlusconi può sorridere a metà. Ringalluzzito dalla vittoria del No il 4 dicembre – ma non gli sarebbe dispiaciuto un successo del Sì – l’ex premier è tornato ad occupare ancor più insistentemente le pagine dei giornali grazie al tentativo di scalata di Mediaset da parte di Vivendi. La doccia gelata per l’inquilino di Arcore è però arrivata lo scorso 15 dicembre. Giorno in cui il procuratore aggiunto di Milano Pietro Forno e i pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio hanno ribadito davanti al gup Carlo Ottone De Marchi la richiesta di rinvio a giudizio per il Cavaliere, accusato di corruzione in atti giudiziari nel processo “Ruby ter”. E Gianni Cuperlo? Anche a lui l’anno poteva andare meglio. Prima oppositore di Renzi, poi sostenitori del Sì al ddl Boschi, infine di nuovo picconatore: “Il Pd senza congresso è morto, è un partito senz’anima”. Sarebbe bastato accorgersene prima. Negli Usa, invece, Barack Obama sognava un’uscita di scena sicuramente diversa. Sperava, soprattutto, di lasciare le chiavi dello Studio ovale alla Clinton. Invece ha dovuto ammettere che forse la candidata democratica non è stata capace “di farsi vedere ovunque”. A chi poteva andare meglio in ambito sportivo? Sicuramente a José Mourinho, Vincenzo Nibali, Alex Schwazer e Lionel Messi.

PARADISO – Tra i vincitori dell’anno che sta per volgere al termine figura senz’altro Donald Trump. Il tycoon ha vinto le elezioni americane avendo praticamente contro tutta la grande stampa e le celebrities (da George Clooney a Lady Gaga fino a Bruce Springsteen), schierate con la rivale Hillary. Alla stessa categoria è ascrivibile anche il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che con il suo giornale ha trainato la vittoria del No al referendum. In questo contesto non possiamo certo dimenticarci del leader della Lega Nord, Matteo Salvini, il primo a festeggiare quando la sconfitta di Renzi alle urne era ormai certa e pronto a lanciare la sfida a Silvio Berlusconi per la guida del Centrodestra. A Torino c’è invece Chiara Appendino. Battuto il sindaco uscente Piero Fassino (Pd) alle comunali di giugno, la prima cittadina del capoluogo piemontese sta facendo sicuramente meglio della sua collega romana, tanto che il suo nome già circola nelle segrete stanze per il ruolo di candidata premier del Movimento 5 Stelle. Vedremo. Tanti sono invece i protagonisti dello sport che quest’anno si sono distinti per le loro grandi imprese. Claudio Ranieri è il primo fra questi. L’ex allenatore di Juventus, Roma e Inter ha compiuto un vero e proprio miracolo calcistico portando il “piccolo” Leicester alla vittoria della Premier League, prima volta in assoluto nella storia del club. Dopo un Europeo vissuto da protagonista con l’Italia, nonostante l’eliminazione ai quarti di finale contro la Germania ai calci di rigore, anche Antonio Conte sta brillando in Inghilterra: il suo Chelsea è primo in classifica con 6 punti di vantaggio sul Liverpool. Mentre Cristiano Ronaldo, attaccante del Real Madrid, ha messo in bacheca un triplete da brivido: Champions League, Europeo e Pallone d’Oro (il quarto in carriera). Davvero niente male. Dalle Olimpiadi arrivano invece le belle storie di Niccolò Campriani e Beatrice “Bebe” Vio. Il fiorentino, classe ’87, è rientrato dal Brasile con due ori (carabina 10 metri aria compressa e carabina 50 metri da 3 posizioni). Sempre a Rio, stavolta alle Paralimpiadi, la schermitrice ha vinto la medaglia d’oro nella prova individuale battendo in finale la cinese Zhou Jingjing. E che dire di Zanardi? Alle Paralimpiadi il leggendario Alex, 50 anni compiuti, ha prima vinto l’oro nella cronometro di handbike e poi l’argento nella gara individuale in linea di handbike H5. La colonna sonora? Sicuramente Andiamo a comandare di Fabio Rovazzi, rivelazione dell’estate 2016 (e non solo).

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 31 dicembre 2016 per La Notizia 

Renzi sconfessa se stesso. Il voto subito affossa 73 leggi. Ecco tutte quelle che saltano se si va alle urne

giovedì, dicembre 29th, 2016

Renzi_1Ci sono voluti mesi, in alcuni casi addirittura anni, per approvarli in almeno uno dei due rami del Parlamento. Ma adesso, vista l’ipotesi molto probabile di tornare alle urne prima della scadenza naturale della legislatura (2018), rischiano di essere condannati a morte certa. Di cosa stiamo parlando? Dei 73 provvedimenti che, secondo i calcoli dell’associazione Openpolis, dal 2013 ad oggi sono stati approvati da Camera o Senato ma che sono rimasti nel limbo, complici anche i veti incrociati tra le forze che compongono la maggioranza di Governo. E che dopo il referendum del 4 dicembre scorso e il cambio della guardia a Palazzo Chigi fra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, utile più che altro a scrivere una nuova legge elettorale e andare in fretta a votare, rischiano di essere ridotti a carta straccia. Alcuni, fra le altre cose, sono dei veri e propri cavalli di battaglia dell’ex sindaco di Firenze, colui che più degli altri spinge per le elezioni anticipate.

Nel dimenticatoio – In testa ci sono, senza dubbio, il conflitto d’interessi e il cosiddetto ius soli. Del primo provvedimento, Renzi parlò dal palco della Leopolda a novembre 2012. “Faremo la legge nei primi cento giorni”, assicurò. Poi a maggio 2015 fu l’allora ministra per le Riforme, Maria Elena Boschi, a rincarare la dose. Com’è andata a finire? Il testo approvato il 25 febbraio 2016 alla Camera, relatore Francesco Sanna (Pd), è bloccato in commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama. E lì, a meno di clamorosi colpi di scena, è destinato a rimanere. Anche sullo ius soli l’ex premier si è più volte espresso pubblicamente. L’ultima esattamente un anno fa, quando disse che il 2016 sarebbe stato l’anno dei diritti civili, compresa la legge sulla “nuova” cittadinanza. Eppure anche il provvedimento approvato ad ottobre 2015 in prima lettura dalla Camera è rimasto incagliato al Senato e tanti cari saluti.

Tempo scaduto – Che dire, poi, del ddl concorrenza? Pure stavolta le cose sono andate per le lunghe. Il ddl è stato adottato dal Consiglio dei ministri il 20 febbraio 2015, praticamente due anni fa. Il via libera della Camera è arrivato invece il 7 ottobre dello stesso anno, quello della commissione Industria di Palazzo Madama il 2 agosto 2016. Risultato: complice il referendum, la discussione è slittata sine die. Rischia di finire nel dimenticatoio, ma questa volta non casualmente (visto il niet dei partiti dei Centrodestra), il ddl che introduce il reato di tortura, approvato sia al Senato (marzo 2014) sia alla Camera (aprile 2015). Ma nel lungo elenco figurano anche la legge sulla tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto al cyberbullismo, la riforma del processo penale e quella dei partiti. Certo, si tratta di una situazione non proprio nuova, visto che anche alla fine della passata legislatura furono lasciati in sospeso lo stesso numero di provvedimenti. Ma forse mai come stavolta, in nome della “rottamazione”, bisognava invertire il trend.

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(Articolo scritto il 28 dicembre 2016 per La Notizia)

Sinistra in movimento. E i Democratici per il No lavorano al loro partito. Gli anti-renziani vogliono andare oltre il Pd

mercoledì, dicembre 14th, 2016

Democratici_per_il_noSono nati con l’intento di combattere dall’interno la riforma costituzionale targata Renzi-Boschi. E alla fine il loro apporto è stato importante, visto che secondo l’analisi dell’Istituto Cattaneo fra il 20 e il 40% dell’elettorato Pd nelle varie città ha votato contro le indicazioni di partito. Ecco perché adesso sognano in grande. I Democratici per il No vogliono “evolversi”: l’obiettivo dichiarato è quello di dare una mano a costruire un’alternativa a sinistra.

Le trattative sono già cominciate: ieri a via Buonarroti, quartier generale del Comitato per il No, Stefano Di Traglia – portavoce dell’ex segretario dem Pier Luigi Bersani – che l’8 ottobre scorso ha dato vita al movimento insieme al consigliere regionale del Lazio Riccardo Agostini (Pd), ha partecipato alla riunione dell’Associazione per il rinnovamento della sinistra presieduta da Alfiero Grandi. Ex dirigente dei Ds ed ex sottosegretario alle Finanze del primo governo D’Alema, Grandi è una figura di spicco della battaglia referendaria: è infatti vice-presidente vicario del Comitato per il No guidato da Zagrebelsky e Pace.

Fronte ampio – Non solo. Dell’Ars fanno parte Walter Tocci, senatore del Pd da tempo in rotta con la linea del partito, e Vincenzo Vita, ex parlamentare dem schierato per il No. Alla riunione erano presenti anche i deputati di Sinistra Italiana Arturo Scotto e Stefano Fassina (ex Pd) e Tomaso Montanari, altro membro del Comitato per il No. Mentre il senatore della minoranza dem Miguel Gotor ha inviato un messaggio. Indizi che fanno una prova di come la partita a sinistra sia appena cominciata.

Articolo scritto il 13 dicembre 2016 per La Notizia