Come al solito ci siamo fatti fregare dalla retorica. E quindi è partita la nostra battaglia contro la sfilata delle forze armate di domani. Non capendo che il problema non è l’evento in quanto tale. Piuttosto, è cosa andiamo a festeggiare. Qualcuno – Capo dello Stato compreso – si è mai chiesto se ha ancora senso definire l’Italia una «Repubblica»? Facciamo un solo esempio: l’articolo numero 1 della Costituzione («L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione»). Ecco: «democrazia» vuol dire «governo del popolo». E nel 1994, con un referendum, avevamo detto «basta» al finanziamento ai partiti. Che sono usciti dalla porta, e rientrati dalla finestra sotto forma di «rimborsi elettorali». E’ il primo esempio che mi viene in mente, in questo momento il più significativo (credo).
Ancora: «L’Italia è fondata sul lavoro». Ma quale? I dati Istat di oggi indicano che nel primo trimestre del 2012 la disoccupazione ha toccato quota 10,9% (per i giovani 35,9%), in rialzo di 2,3 punti percentuali su base annua. «È il tasso più alto dal primo trimestre 1999, e al Sud una giovane donna su due non lavora», aggiunge l’Istituto di statistica. Bene, e siamo solo all’articolo 1. Per non ammorbarvi, cito solo alcuni altri articoli ormai caduti in disuso: il 3 («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge»); il 9 («La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»); l’11 («L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»); il 21 («Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»); il 32 («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»); il 38 («La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore»).
Mi fermo qui, penso basti. Ciò che dobbiamo fare, dunque, non è guardare i finti problemi. Ma quelli veri, reali. Scadiamo sempre (sempre) in parole inutili, in editoriali di giornalisti di alto rango vuoti, in considerazioni senza un fine preciso. Ecco, interroghiamoci su cosa sia piuttosto oggi questo Paese. Chissà se i nostri padri costituenti lo avevano pensato così, per noi. Direi di no. Pace all’anima loro.
Twitter: @GiorgioVelardi