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Posts Tagged ‘Conflitto d’interessi’

Renzi sconfessa se stesso. Il voto subito affossa 73 leggi. Ecco tutte quelle che saltano se si va alle urne

giovedì, dicembre 29th, 2016

Renzi_1Ci sono voluti mesi, in alcuni casi addirittura anni, per approvarli in almeno uno dei due rami del Parlamento. Ma adesso, vista l’ipotesi molto probabile di tornare alle urne prima della scadenza naturale della legislatura (2018), rischiano di essere condannati a morte certa. Di cosa stiamo parlando? Dei 73 provvedimenti che, secondo i calcoli dell’associazione Openpolis, dal 2013 ad oggi sono stati approvati da Camera o Senato ma che sono rimasti nel limbo, complici anche i veti incrociati tra le forze che compongono la maggioranza di Governo. E che dopo il referendum del 4 dicembre scorso e il cambio della guardia a Palazzo Chigi fra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, utile più che altro a scrivere una nuova legge elettorale e andare in fretta a votare, rischiano di essere ridotti a carta straccia. Alcuni, fra le altre cose, sono dei veri e propri cavalli di battaglia dell’ex sindaco di Firenze, colui che più degli altri spinge per le elezioni anticipate.

Nel dimenticatoio – In testa ci sono, senza dubbio, il conflitto d’interessi e il cosiddetto ius soli. Del primo provvedimento, Renzi parlò dal palco della Leopolda a novembre 2012. “Faremo la legge nei primi cento giorni”, assicurò. Poi a maggio 2015 fu l’allora ministra per le Riforme, Maria Elena Boschi, a rincarare la dose. Com’è andata a finire? Il testo approvato il 25 febbraio 2016 alla Camera, relatore Francesco Sanna (Pd), è bloccato in commissione Affari costituzionali a Palazzo Madama. E lì, a meno di clamorosi colpi di scena, è destinato a rimanere. Anche sullo ius soli l’ex premier si è più volte espresso pubblicamente. L’ultima esattamente un anno fa, quando disse che il 2016 sarebbe stato l’anno dei diritti civili, compresa la legge sulla “nuova” cittadinanza. Eppure anche il provvedimento approvato ad ottobre 2015 in prima lettura dalla Camera è rimasto incagliato al Senato e tanti cari saluti.

Tempo scaduto – Che dire, poi, del ddl concorrenza? Pure stavolta le cose sono andate per le lunghe. Il ddl è stato adottato dal Consiglio dei ministri il 20 febbraio 2015, praticamente due anni fa. Il via libera della Camera è arrivato invece il 7 ottobre dello stesso anno, quello della commissione Industria di Palazzo Madama il 2 agosto 2016. Risultato: complice il referendum, la discussione è slittata sine die. Rischia di finire nel dimenticatoio, ma questa volta non casualmente (visto il niet dei partiti dei Centrodestra), il ddl che introduce il reato di tortura, approvato sia al Senato (marzo 2014) sia alla Camera (aprile 2015). Ma nel lungo elenco figurano anche la legge sulla tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto al cyberbullismo, la riforma del processo penale e quella dei partiti. Certo, si tratta di una situazione non proprio nuova, visto che anche alla fine della passata legislatura furono lasciati in sospeso lo stesso numero di provvedimenti. Ma forse mai come stavolta, in nome della “rottamazione”, bisognava invertire il trend.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 28 dicembre 2016 per La Notizia)

Conflitto d’interessi, il provvedimento arriva alla Camera tra le polemiche: “Testo fasullo, in aula voteremo no”

mercoledì, febbraio 24th, 2016

Lo annuncia Danilo Toninelli, deputato del Movimento 5 Stelle e componente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio. Che boccia senza mezzi termini l’ultima versione della normativa. “Bozza iniziale ampiamente condivisibile, poi il partito di Renzi ha fatto un compromesso al ribasso con Forza Italia”. Fra i punti contestati anche la nomina dei due nuovi componenti dell’Antitrust: “Occasione per l’ennesima lottizzazione partitica”

Sisto-Sanna-675Potremmo già definirli come i 16 articoli della discordia. Tanti ne conta, infatti, il testo della legge sul conflitto d’interessi che questo pomeriggio arriverà in Aula alla Camera. Dopo numerosi rinvii. E, visto l’argomento, non senza le polemiche di rito che hanno accompagnato il lavoro preliminare in commissione Affari costituzionali a Montecitorio. La quale ha dato il ‘via libera’ al provvedimento lo scorso 18 febbraio con il parere contrario diForza Italia e Movimento 5 Stelle. I primi la consideranotroppo restrittiva; per i secondi, al contrario, è troppo permissiva. Tanto che sono già pronti circa 280 emendamentiper modificare il testo. Fra i punti maggiormente contestati dai grillini c’è quello che riguarda i soggetti interessati dal provvedimento (le nuove norme verranno applicate a chi ha incarichi di governo nazionale regionale). Ma anche quello relativo ai criteri di nomina dei componenti dell’Antitrust, l’autorità alla quale è affidata la vigilanza sui conflitti stessi, chesalgono da 3 a 5 e che saranno eletti dal Parlamento. Ecco perché “così com’è, noi questa legge non la votiamo – attacca il deputato del M5S Danilo Toninelli (nella foto) parlando conilfattoquotidiano.it –. La bozza iniziale, a firma di Francesco Sanna (Pd), era ampiamente condivisibile”. Invece “la versione uscita dalla commissione è la sorella maggiore di quella varata nel 2004 dal governo Berlusconi”. La contestata legge Frattini.

Onorevole Toninelli, non c’è proprio nessuna possibilità di ripensamento da parte del M5S?
Assolutamente no. Consideriamo questo testo fasullo e insufficiente. È un provvedimento che colpisce una cerchia ristrettissima di persone. Ne sono addirittura esentati i parlamentari e i consiglieri regionali. Una legge-miraggio che colpisce solo 230 persone rispetto alle migliaia di potenziali destinatari. È un provvedimento utile solo per accaparrarsi qualche voto in più alle Amministrative, ma che non risolve assolutamente nulla.

Eppure Forza Italia ha detto che grazie a questo provvedimento si è creato un asse fra voi e il Pd che porterà l’Italia ad una deriva “autoritaria, populista e demagogica”. Risposta?
La voce da cui provengono queste parole è quella di Francesco Paolo Sisto (che
 il 15 febbraio si è dimesso da relatore del ddlndr), avvocato di Silvio Berlusconi e Denis Verdini. Dire che c’è un asse fra il Pd e noi, che come Movimento 5 Stelle chiedevamo un conflitto di interessi serio e pesante, non è nient’altro che una barzelletta. La verità è che, in commissione, Forza Italia ha proposto la cancellazione riga per riga di tutta la legge. Non essendo riusciti nel loro intento ora non gli resta che screditarci.

All’inizio, però, il testo base di Sanna non aveva raccolto giudizi così tranchant da parte vostra. Che cosa vi ha fatto cambiare radicalmente idea?
La prima bozza del provvedimento era buona e ampiamente condivisibile: ridiscutendo la parte relativa alle sanzioni, il M5S l’avrebbe sicuramente votata. Infatti, il primo testo che ci è stato proposto riguardava anche interessi non economici e coinvolgeva tanti altri soggetti che poi in commissione sono spariti dal testo. Come per esempio gli alti burocrati, i sindaci e gli assessori. Poi il partito di Renzi ha fatto un compromesso al ribasso con Forza Italia, che ha annacquato il disegno di legge.

Insomma, non c’è proprio nulla che si salva?
Se dovessi mettere un voto a questa legge in una scala da zero a cento darei cinque. Dopo più di vent’anni di assenza di una norma simile è incredibile doversi accontentare di uno strapuntino. La già citata bozza iniziale riprendeva alcuni principi della legislazione internazionale, per esempio quella francese, nella quale vengono valutati anche i conflitti ‘potenziali’ e gli interessi non economici fra pubblico e privato. Dove sono finiti? Sono spariti dal testo. E non per colpa nostra.

In Aula presenterete degli emendamenti per modificare il testo?
In commissione abbiamo già provato a sistemare alcuni passaggi del testo. Per esempio aumentando di un anno l’impossibilità per un ex membro del governo di andare a lavorare in una società, pubblica o privata, il cui ambito di riferimento collima con quello per cui ricopriva la propria carica.

E adesso?
Chiederemo che il provvedimento venga modificato già a partire dall’articolo 1, per il quale il conflitto di interessi è relativo a “titolari di cariche politiche”. Lo reputiamo sbagliatissimo: preferiremmo infatti si parlasse di cariche “pubbliche”, coinvolgendo anche le pubbliche amministrazioni. Poi c’è il capitolo sanzioni: devono essere più puntuali e la platea dei destinatari va necessariamente allargata. Per non parlare del capitolo relativo all’Antitrust.

Cos’è che non va in questo caso?
La legge prevede che il numero dei suoi componenti, attualmente tre, di cui uno è il presidente, venga elevato a cinque. Il problema è che la nomina di questi due nuovi membri dell’authority diventerà l’occasione per operare l’ennesima lottizzazione partitica. Infatti è stato previsto un meccanismo per il quale il partito di maggioranza porterà a casa tre elementi su cinque, cioè più del 50%. Senza alcuna condivisione con le opposizioni, come avviene per i giudici della Consulta. Anche stavolta, manco a dirlo, fra la prima bozza e il testo che andrà in Aula c’è un abisso.

Questo atteggiamento di chiusura sul conflitto di interessi è stato forse uno dei motivi per cui Renzi ha optato per l’accordo con Ncd sull’altro fronte caldo, le unioni civili?
Chi ci conosce sa che il M5S non fa valutazioni di convenienza. Noi votiamo la legge sulle unioni civili ma senza violare le regole con canguri o altre pericolose forzature. Se Renzi chiederà al Parlamento il voto di fiducia al governo, che ovviamente non voteremo, significa che non si fida dei suoi e teme di andare sotto nelle votazioni di merito più delicate. Invece per una volta dovrebbe avere coraggio e non pensare solo alla poltrona, perché grazie al M5S, che ha detto sì al provvedimento, i numeri ci sono.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 23 febbraio 2016 per ilfattoquotidiano.it)

Il 2016 di Renzi: dalle unioni civili al conflitto d’interessi alla revisione della Costituzione. Ecco le riforme incompiute

martedì, gennaio 5th, 2016

Si preannuncia un anno difficile per il premier. A partire dal mese di gennaio. Tanti i provvedimenti rimasti nel limbo. Per le difficoltà politiche incontrate dalla maggioranza. Nella lista delle cose da fare anche ius soli, omicidio stradale, codice degli appalti e legge elettorale per le città metropolitane

renzi-67511Avrebbe voluto inserirle nella eNews che ha inviato ai suoi sostenitori pochi giorni fa. Quella con cui ha tessuto le lodi del suo governo, che ha approvato “leggi attese da molto tempo”. Dall’Italicum alla ‘Buona scuola’ fino alla riforma dell’articolo 18. Eppure, almeno stavolta, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha dovuto fare i conti con la realtà. Con la fine del 2015, infatti, mancano ancora all’appello numerose riforme. Alcune delle quali fondamentali per lo storytelling dell’ex sindaco ‘rottamatore’ di Firenze. Insomma, il 2016 si preannuncia un anno difficile per il premier e i suoi ministri. Da gennaio tornano in Aula altri delicati dossier. Dalle unioni civili all’omicidio stradale. Dallo ius soli al reato di tortura fino al codice degli appalti. Senza dimenticare la riforma costituzionale, quella della prescrizione e del terzo settore.

Unioni civili Saranno il primo banco di prova del governo alla riapertura del Parlamento. A fine gennaio, infatti, l’Aula del Senato voterà il disegno di legge sulle unioni civili. Un provvedimento su cui Matteo Renzi è stato più volte costretto a fare marcia indietro. Nonostante le promesse di mandarlo in porto già nel 2015. Colpa principalmente di Area popolare, il gruppo che unisce Nuovo centrodestra e Udc, da sempre contrario alla cosiddetta “stepchild adoption” (cioè l’adozione da parte di uno dei due componenti di una coppia del figlio del partner). La ministra per le Riforme costituzionali, Maria Elena Boschi, non ha escluso la possibilità di un’alleanza “con altri” – ovvero il Movimento 5 Stelle – se i centristi dovessero passare al muro contro muro. Uno scenario che metterebbe in serio rischio la tenuta dell’esecutivo. Anche perché il leader di Ncd e ministro dell’Interno, Angelino Alfano, si è detto “pronto a tutto” pur di bloccare le adozioni da parte delle coppie gay. Non solo. Perché ci sono da superare anche le resistenze del Vaticano, che ha parlato di “un governo che mette all’angolo la famiglia tradizionale”.

Riforma costituzionale Anno nuovo, vita nuova? Il vecchio adagio popolare farà eccezione nel 2016 per le riforme costituzionali. Nonostante le promesse del presidente del Consiglio, Matteo Renzi (“nel 2015 porteremo a termine l’iter parlamentare delle riforme costituzionali”) poco meno di dodici mesi fa. Manca all’appello la seconda doppia lettura. Poi, in autunno, la parola passerà agli italiani che dovranno pronunciarsi con il referendum – che il premier ha già trasformato in plebiscito personale – sulla nuova Costituzione. Tra le novità introdotte dal disegno di legge che porta la firma del ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, il superamento del bicameralismo perfetto; un nuovo sistema per l’elezione del presidente della Repubblica e dei 5 giudici costituzionali di nomina parlamentare, scelti separatamente da Camera e Senato; cento senatori eletti insieme ai consiglieri regionali e con l’immunità; aumento delle firme per i referendum abrogativi e per le leggi di iniziativa popolare; abolizione del Cnel.

Omicidio stradale Il via libera definitivo dovrebbe arrivare alla ripresa dei lavori parlamentari. O almeno così ha promesso la ministra Boschi alle associazioni delle vittime della strada che da anni aspettano un provvedimento. Dopo il via libera della Camera, il 10 dicembre scorso, anche il Senato ha licenziato la legge che ora tornerà a Montecitorio per la quarta e ultima lettura. Eppure Renzi avrebbe voluto vederla approvata in via definitiva entro la fine del 2015. Ma cosa prevede? L’introduzione dei due nuovi reati di omicidio stradale lesioni personali stradali. Rischia una pena da 5 a 12 anni, che sarà triplicata in caso di omicidio multiplo (senza però superare i 18 anni di reclusione), chi si mette alla guida ubriaco o sotto l’effetto di droghe. Mentre chi è sobrio ma procura lesioni permanenti rischia da 6 mesi a 2 anni. Accantonato il cosiddetto “ergastolo della patente”, cioè la revoca definitiva che il premier avrebbe voluto introdurre.

Prescrizione e terzo settore Erano diventate priorità per il governo dopo la deflagrazione dello scandalo “Mafia Capitale” che ha investito le Coop. Ma tanto la riforma della prescrizione quanto quella del terzo settore non hanno ancora visto la luce. Ferme in commissione a Palazzo Madama, difficilmente approderanno in Aula prima della prossima primavera. Anche per le polemiche che hanno accompagnato, in particolare, la legge sui nuovi termini di decorrenza per la perseguibilità di alcuni reati. A cominciare dalla prescrizione per la corruzione che il testo approvato alla Camera in prima lettura ha elevato a 21 anni, provocando la dichiarazione di guerra del Ncd, deciso a dare battaglia sul provvedimento al Senato. Polemiche che non hanno risparmiato neppure la riforma del terzo settore: tra i punti contestati la mancata istituzione di un’Authority di vigilanza e la possibilità per le imprese sociali di distribuire gli utili.

Codice degli appalti È un’altra incompiuta di questo 2015. Si tratta della riforma del codice degli appalti, ora in discussione al Senato per la terza (e ultima) lettura. A inizio dicembre la commissione Lavori pubblici di Palazzo Madama ha licenziato il testo proveniente da Montecitorio lasciandolo praticamente invariato, visto che tutti gli emendamenti sono stati ritirati o respinti. Proprio per questo il provvedimento, che fra le altre cose affida nuovi poteri all’autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, sarebbe dovuto andare in Aula prima della pausa natalizia. “Uno slittamento a gennaio non sarebbe un bel segnale per una riforma che tutti consideriamo necessaria”, aveva ammonito il relatore, Stefano Esposito (Pd). È andata diversamente. Con buona pace di Esposito.

Ius soli È da sempre uno dei cavalli di battaglia del presidente del Consiglio. Ma anche il provvedimento sul cosiddetto ius soli sta andando avanti a passo di lumaca. A metà ottobre la Camera ha dato il primo via libera al disegno di legge che prevede, di fatto, due modi di acquisizione della cittadinanza: lo ius soli temperato e lo ius culturae. Nel primo caso, potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori figli di genitori stranieri di cui almeno uno sia in possesso di un permesso di soggiorno europeo di lungo periodo. Nel secondo, invece, il minore nato in Italia (o arrivato sul territorio entro i 12 anni) che abbia concluso almeno un ciclo scolastico nel nostro Paese. “Siamo ancora in pista per i diritti civili”, ha assicurato Renzi nelle ultime eNews. Vedremo.

Conflitto d’interessi A maggio scorso la ministra Maria Elena Boschi promise che il governo avrebbe portato in Parlamento il conflitto di interessi (di cui lei stessa è stata accusata nella vicenda che riguarda Banca Etruria) “già nelle prossime settimane”. Peccato che ad oggi, passati sette mesi, nessuno abbia ancora visto il provvedimento. Né alla Camera né al Senato. L’11 dicembre la commissione Affari costituzionali di Montecitorio ha approvato il testo base della legge, primi firmatari Francesco Sanna (Pd) e Francesco Paolo Sisto (Forza Italia), che dovrebbe sostituire la contestata ‘Frattini’ (2004). Ma senza il voto delle opposizioni, Sel e M5S. Una proposta che cerca di fare dei passi in avanti nel risolvere l’annosa vicenda, pur non senza diverse criticità. Come la questione dei conflitti non patrimoniali. Se ne riparlerà nel 2016. Forse.

Città metropolitane Si tratta di un argomento passato sottotraccia. Ma secondo quanto previsto dalla legge Delrio, entro aprile prossimo il Parlamento avrà il compito di varare la legge elettorale con cui dovranno andare al voto le tre principali città metropolitaneRoma, Milano e Napoli. In realtà ci sono scarse possibilità che ciò accada. A novembre, proprio a ilfattoquotidiano.it, il sottosegretario agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa, ha affermato che “serve più tempo” perché “ci sono aspetti che non possono essere risolti con un provvedimento da approvare in tempi così rapidi”. Tradotto: se ne riparlerà fra 6 anni e i cittadini non potranno eleggere direttamente gli organi previsti dalla Delrio.

Reato di tortura Quando il 9 aprile di quest’anno è stata approvata alla Camera, dopo l’ok del Senato arrivato a marzo 2014, in molti hanno pensato che si trattasse della “volta buona”. Invece, da quel giorno, della legge che dovrebbe istituire anche in Italia il reato di tortura (reso ancor più necessario dopo la condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per i fatti del G8 di Genova) si sono perse le tracce. Che il 2016 possa segnare la svolta? Difficile, se non addirittura impossibile. “Dopo le promesse primaverili siamo tornati nuovamente nel buio”, denuncia a ilfattoquotidiano.it il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella. “Il ddl sulla tortura è scomparso definitivamente dai punti all’ordine del giorno della commissione Giustizia del Senato – aggiunge –. Ancora una volta hanno vinto le lobby contrarie alla legge che sono riuscite a convincere le forze politiche ad affossare l’introduzione di questo reato nel codice penale italiano”.

(Articolo scritto con Antonio Pitoni il 4 gennaio 2016 per ilfattoquotidiano.it)

Conflitto d’interessi, tra vantaggi patrimoniali, astensioni e blind trust: cosa c’è nella bozza della Camera

venerdì, dicembre 11th, 2015

Il Comitato ristretto in commissione Affari costituzionali ha approvato un testo base firmato da Sanna (Pd) e Sisto (Forza Italia). Senza il voto di Sel e Movimento 5 Stelle. Ed è subito polemica. Vediamo i punti critici del provvedimento. Anche con l’apporto del costituzionalista Pertici. Il presidente Mazziotti: “Testo migliorabile, l’importante era iniziarne l’esame”

camera675Non è ancora nemmeno iniziato l’esame in commissione che già divampano le polemiche. Da una parte gli autori del provvedimento, Francesco Sanna (Pd) e Francesco Paolo Sisto (Forza Italia). Dall’altra Sel e Movimento 5 Stelle. Stiamo parlando della “nuova” bozza della legge sul conflitto di interessi, il cui testo base è stato approvato ieri dal Comitato ristretto in commissione Affari costituzionali alla Camera e dal quale, rispetto alla prima versione, è scomparso il comma 2 all’articolo 4 che riguardava i conflitti non patrimoniali. Circostanza che ha scatenato le proteste delle forze di opposizione, che non hanno partecipato al voto. Anche perché scontente di altri aspetti importanti della normativa. “Il Comitato ristretto, che Sel e M5S avrebbero voluto sciogliere, è riuscito, anche se tra molti distinguo, a produrre un testo condiviso che sarà emendato e migliorato come è giusto che sia – commenta il presidente della commissione Affari costituzionali Andrea Mazziotti (Scelta civica) –. A questo punto la cosa più importante era sbloccare il testo e consentirne l’esame”. Ma cosa prevede davvero questa bozza? Cosa cambia rispetto alla legge Frattini, varata nel 2004 dal secondo governo Berlusconi e in seguito bocciata dal Consiglio d’Europa?

DICHIARAZIONI OBBLIGATORIE – La proposta di Sanna e Sisto cerca di fare dei passi in avanti nel risolvere l’annosa questione. Pur non senza diverse criticità. La futura legge si applicherà ai titolari di cariche di governo nazionali, dal presidente del Consiglio ai ministri, vice, sottosegretari e commissari straordinari nominati dall’esecutivo. Ma anche ai titolari di cariche di governo regionali (a cominciare dai presidenti), ai parlamentari e ai consiglieri regionali. A vigilare sull’attuazione della legge sarà l’Antitrust. Ma non è tutto. Per i due proponenti di Pd e Forza Italia, stavolta “sussiste conflitto di interessi in tutti i casi in cui il titolare di una carica di governo” sia, allo stesso tempo, “titolare di un interesse economico privato tale da condizionare l’esercizio delle funzioni pubbliche ad esso attribuite o da alterare le regole di mercato relative alla libera concorrenza”. Per questo, entro venti giorni dalla nomina, i titolari di cariche di governo nazionali devono obbligatoriamente presentare una serie di dichiarazioni: da quella delle cariche di cui sono eventualmente titolari a quella dei redditi. Compresa anche quella riguardante “la possibile esistenza di un’interferenza tra un interesse pubblico e un interesse pubblico o privato tale da influenzare – dice il testo – l’esercizio obiettivo, indipendente o imparziale di funzioni pubbliche, anche in assenza di uno specifico vantaggio economicamente rilevante”. Dichiarazioni che “sono rese anche dal coniuge non legalmente separato e dai parenti e affini entro il secondo grado del titolare della carica di governo nazionale o comunque dalla persona con lui stabilmente convivente non a scopo di lavoro domestico”. E che andranno presentate anche al termine del mandato, pena una sanzione amministrativa che varia da 5 mila a 35 mila euro.

OCCHIO AL BLIND TRUST – Ma, come detto, non mancano gli aspetti più controversi, che saranno oggetto di un’accesa discussione parlamentare. Come quello sul cosiddetto blind trust, cioè l’affidamento dei beni che compongono il patrimonio di un soggetto al fine di evitare proprio situazioni di conflitto di interessi patrimoniale. Vale a dire tutti i casi nei quali il titolare della carica di governo nazionale possiede, anche per interposta persona o tramite società fiduciariepartecipazioni nei settori della difesa, dell’energia, eccetera. Oppure quando queste siano tali da condizionare l’esercizio delle sue funzioni pubbliche alterando le regole di mercato. Quando rilevi una forma di conflitto di interesse patrimoniale, l’Antitrust potrà affidare le attività ad una gestione fiduciaria. Il gestore sarà scelto “tra banche, società di gestione del risparmio e società di intermediazione mobiliare”, è scritto nel testo, e sarà “tenuto ad amministrare i beni e le attività patrimoniali conferiti con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle sue specifiche competenze, apprestando altresì a tal fine, salvo diverso accordo tra le parti, idonee garanzie assicurative”. Secondo Andrea Pertici, professore di diritto costituzionale all’Università di Pisa, che ha letto il testo, quello del conflitto di natura patrimoniale è “il problema principale” della proposta di Sanna e Sisto. Il motivo? “Il ricorso alla gestione fiduciaria non esclude la conoscibilità dei propri interessi da parte del titolare – risponde –. La caratteristica principale del blind trust, utilizzato negli Stati Uniti in queste situazioni, è invece quella per cui i beni vengono trasformati dalla persona alla quale sono affidati e reinvestiti senza che il titolare ne venga a conoscenza, proprio per evitare che nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche possa favorire i propri interessi privati, agendo in conflitti di interessi”. In questo caso, invece, “il possessore saprà dove sono i suoi averi, quindi nella propria attività pubblica e al momento di prendere decisioni rischierà di essere influenzato da questo aspetto specifico”. Con un unico distinguo. “Il testo dice che ‘qualora non vi siano altre misure possibili per evitare il conflitto di interessi, l’Autorità può disporre che il titolare della carica di governo proceda alla vendita dei beni e delle attività patrimoniali rilevanti’. Ma si tratta di un caso indicato come eccezionale e che rimane molto indefinito – conclude il docente –. Probabilmente la sua applicazione sarà assai controversa e, anche per questo, limitatissima”.

ASTENERSI PER FAVORE – Ma sorge spontanea un’altra domanda: cosa accadrebbe nel caso in cui uno dei titolari di cariche pubbliche dovesse trovarsi a prendere decisioni tali da provocare un indebito vantaggio a sé o a persone a lui strettamente vicine? Leggendo il testo verrebbe da rispondere: niente. O quasi. “L’Autorità (…), se rileva che il titolare di una carica di governo nazionale, nell’esercizio delle funzioni pubbliche ad esso attribuite, può prendere decisioni, adottare atti o partecipare a deliberazioni che, pur destinati alla generalità o a intere categorie di soggetti, sono tali da produrre, nel patrimonio dello stesso o di uno dei soggetti di cui al comma 5 dell’articolo 5 (cioè il coniuge non legalmente separato più i parenti e affini entro il secondo grado, ndr), un vantaggio economicamente rilevante e differenziato, ancorché non esclusivo, rispetto a quello della generalità dei destinatari del provvedimento – è scritto nel testo –informa il medesimo soggetto della rilevata ricorrenza, nei suoi confronti, dell’obbligo di astensione”. E anche in caso di violazione di tale obbligo non sembra succedere granché. Perché se “il titolare di una carica di governo nazionale prende una decisione, adotta un atto, partecipa a una deliberazione o omette di adottare un atto dovuto, conseguendo per sé o per uno dei soggetti di cui al comma 5 dell’articolo 5 un vantaggio economicamente rilevante e differenziato rispetto a quello conseguito dalla generalità dei destinatari, ovvero un vantaggio economicamente rilevante e incidente su una categoria ristretta di destinatari della quale il medesimo fa parte, salvo che il fatto costituisca reato, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria non inferiore al doppio e non superiore al quadruplo del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dai soggetti interessati”.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto l’11 dicembre 2015 per ilfattoquotidiano.it)