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Archive for aprile, 2013

Il gioco dell’oca

sabato, aprile 20th, 2013

NapolitanoGame over. O meglio: è solo l’inizio. Quello del secondo mandato di Giorgio Napolitano al Quirinale, prima volta nella storia della Repubblica italiana. L’uomo del Colle ha detto sì a chi gli chiedeva di restare al suo posto per altri 7 anni. Questa mattina il capo dello Stato ha incontrato le delegazioni dei maggiori partiti, tranne il Movimento 5 Stelle che compatto voterà fino all’ultimo Stefano Rodotà.

Niente Marini, niente Prodi, niente D’Alema e niente Amato, figura molto vicina a Napolitano che il presidente uscente si pensava potesse consigliare a chi lo ha raggiunto al Quirinale. Qualche ora per decidere, poi l’annuncio: «Sono disponibile, non posso sottrarmi alla responsabilità». La sesta votazione risulta quasi superflua, “Re Giorgio” sarà ancora l’inquilino del Colle. Ma è una scelta che divide e che, a conti fatti, rende la situazione stagnante come non mai.

Un capo dello Stato diverso avrebbe portato, al 99%, ad un superamento dell’attuale impasse in cui le forze politiche sono piombate dopo le elezioni del 24 e 25 febbraio. In questo modo, invece, il rischio è quello di ritrovarsi al punto di partenza, come nel gioco dell’oca. La scelta di ricandidare Napolitano provoca un altro – l’ennesimo – terremoto nel centrosinistra. Se il Pd questa volta sembra essere stranamente unito (anche se il sindaco di Bari Michele Emiliano cinguetta: «Approfittando dell’amore x l’Italia del nostro vecchio ed amato Presidente stanno facendo un inciucio Pd-Pdl che fa orrore: votate Rodotà»), la coalizione “Italia bene comune” si è squagliata come neve al sole. Lo ha fatto capire apertamente, malgrado il pizzico di politichese che lo contraddistingue, Nichi Vendola (Sel), che a metà pomeriggio in una conferenza stampa a Montecitorio ha parlato di un «Berlusconi vero vincitore della partita per il Quirinale», rigettando l’ipotesi delle larghe intese («Noi saremo all’opposizione», ha detto il governatore della Puglia) e lodando l’atteggiamento del Movimento 5 Stelle (con cui condivide la candidatura di Rodotà).

Ma a destare ancora più scalpore, visto che il suo nome è da settimane in cima alla lista delle figure che potrebbero rinnovare il centrosinistra, è il tweet che il ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca, neo tesserato del Pd, invia intorno alle 15.00. «Incomprensibile che il Pd non appoggi Stefano Rodotà o non proponga Emma Bonino», scrive. Chiaro. Preciso. Destabilizzante.

Il prossimo futuro appare chiaro: si viaggia col vento in poppa verso le larghe intese. Ora resta da capire chi sarà il capitano di un governo che durerà il tempo di mettere in pratica i dettami dei dieci saggi, in primis la modifica della legge elettorale. Poi si tornerà a votare. E nel giorno del suo 64esimo compleanno, per Massimo D’Alema potrebbe arrivare un regalo inatteso: la guida del nuovo esecutivo.

Twitter: @GiorgioVelardi

Le cause della caduta di Bersani

sabato, aprile 20th, 2013

bersani«È troppo per me». Quattro parole che pesano come un macigno. Pierluigi Bersani le pronuncia al termine dell’ennesimo tonfo, Prodi bocciato dopo Marini, che testimoniano la fine di un Pd passato dall’essere acronimo di “Partito democratico” a “Psicodramma democratico”.

Il segretario (dimissionario) dei democratici si ritrova isolato, con pochi fedelissimi rimasti a consolarlo. Serve a poco. Bersani non ha più un partito che lo sostenga, correnti le cui onde si muovono in ordine sparso, pugnalato persino da quelli che gli avevano giurato amore eterno e che sarebbero stati al suo fianco comunque sarebbe andata. La quadra perfetta la trova Fausto Raciti, classe ’84, appartenente alla pattuglia dei “giovani turchi” e alla prima esperienza parlamentare, che in un’intervista a La Stampa sintetizza così quanto accaduto fra giovedì e venerdì: «Siamo il peggior gruppo parlamentare della storia, un covo di irresponsabili. E – chiosa tranchant – non è colpa dei giovani».

E allora, viene da chiedersi, chi ha condotto il Pd a cadere sul ciglio del burrone nel quale è caduto? Bersani non ha fatto tutto da solo, certo, ma il segretario ha sulle proprie spalle le colpe peggiori. Sono almeno 4 i motivi che hanno portato il Pd – uscito «non vincente» dalle elezioni, poi in balia del Movimento 5 Stelle e infine auto-impallinatosi nel corso dell’elezione del nuovo capo dello Stato – a vivere una situazione ai limiti dell’irrealtà:

1- L’aver sopravvalutato la forza di Scelta Civica. C’è chi pensa, pensiero condivisibile, che Bersani la partita l’abbia persa ancor prima che si giocasse. In fase di riscaldamento, ovvero le primarie. Vinta la corsa alla premiership con Matteo Renzi, forte di un Pd spostato a sinistra – prova ne è, o ne era, l’asse fra Bersani e Nichi Vendola – il partito ha cercato a tutti i costi il dialogo con i “montiani”. Scelta che si è rivelata suicida, un po’ perché il governo tecnico guidato dall’ex Commissario europeo era (ed è) visto col fumo agli occhi dagli italiani – complice la «paccata» di tasse imposte nell’ultimo anno e mezzo – e un po’ perché “sposarsi” con Monti e co. avrebbe voluto dire rinunciare ad una parte di quelle tematiche da sempre care all’elettorato di sinistra (diritti civili in primis, ma anche la politica economica ne avrebbe pesantemente risentito). Poi è accaduto quello che non ti aspetti e cioè che Scelta Civica alle elezioni racimoli solo l’8,30% alla Camera e il 9,13% al Senato, contro l’oltre 15% in entrambe le Camere pronosticato dai più illustri sondaggisti. A Palazzo Madama, dove il centrosinistra è in minoranza, i 20 senatori “montiani” si rivelano ininfluenti. Il delitto perfetto non c’è stato, si sono lasciate tracce sul terreno che risulteranno fatali, come si è visto, al segretario del Pd;

2- L’aver sottovalutato il Movimento 5 Stelle. Prima era un «fascista», poi – dopo l’ecatombe alle elezioni – Beppe Grillo è diventato, nei desiderata del segretario, il primo interlocutore per il Pd. «Il Movimento 5 Stelle ci dica cosa vuole fare», affermava Bersani pochi giorni dopo le votazioni. Eppure i “grillini” erano stati chiari fin da subito: nessun accordo con nessuno, tantomeno con B&B. Detto, fatto. L’incontro in diretta streaming fra i due capigruppo del M5S, Vito Crimi e Roberta Lombardi – la quale, ad un certo punto, se n’è uscita dicendo: «Mi sembra di essere a Ballarò» – è passato alla storia come un’umiliazione bella e buona per “Pier”. Tanto che Renzi, ormai destinato ad essere il futuro del Pd, lo ha detto chiaro e tondo in un’intervista al Corriere della Sera trovando più consensi che dissensi dalle parti di Largo del Nazareno. Ciliegina sulla torta è stata la scelta del nuovo capo dello Stato. Grillo propone l’ex garante della privacy Stefano Rodotà, l’elettorato del Pd gradisce e con lui anche una parte dei parlamentari piddini. Bersani, invece, vede Berlusconi e sceglie Marini, poi ne esce con le ossa rotte e vira su Prodi. Sappiamo com’è andata. Errare è umano, perseverare è diabolico;

3- L’aver sottovalutato Berlusconi. Si badi bene: non il Pdl, ma Berlusconi. Bersani doveva «smacchiare il giaguaro» e alla fine, scherzo del destino, il giaguaro lo ha divorato. Un Popolo della Libertà senza il Cavaliere sarebbe stato destinato all’irrilevanza. Ma Berlusconi è Berlusconi e poco ci puoi fare. Soprattutto se rinunci a fare la campagna elettorale, com’è accaduto a Bersani, e se quelle poche volte in cui ti presenti di fronte al pubblico (televisivo) ti limiti a dire che per far ripartire un’Italia dal motore ingolfato serve «un po’ di lavoro». Mentre il segretario Pd cercava, come detto, l’appoggio dei 5 Stelle, l’ex premier spingeva per un “governissimo” che gli avrebbe permesso comunque di governare (pur con tutti i limiti del caso) e radunava le truppe. A Bari, sette giorni fa, la presenza dei militanti era importante. E i sondaggi – da prendere con le molle dopo quanto accaduto a fine febbraio – danno la coalizione di centrodestra in vantaggio (in certi casi) addirittura del 4% sul centrosinistra. Se Renzi non scende in campo la probabilità è quella che Berlusconi, più che il nonno, faccia nuovamente il premier;

4- Non aver ascoltato gli elettori. È la colpa più grave imputabile a Bersani. Già dalle primarie si era capito che il segretario avrebbe violato il patto con la sua gente, quella che lo aveva votato per due volte alle primarie perché Renzi era «democristiano» e – colpa più grave – «berlusconiano». Recarsi “col cappello in mano” da Monti non è piaciuto all’elettorato del Partito democratico, andato ad ingolfare le fila del Movimento 5 Stelle condannandolo al pubblico ludibrio. Il resto è storia. Le contestazioni dinanzi al Teatro Capranica, a Roma, la sera in cui l’assemblea del Pd decideva per la candidatura di Franco Marini al Colle sono la punta dell’iceberg contro cui un partito che sembrava inaffondabile si è invece scontrato andando giù come una bagnarola.

Twitter: @GiorgioVelardi    

Onorevoli professioni*

sabato, aprile 20th, 2013

Ancora una volta è il partito degli avvocati a guidare la classifica delle professioni dei nostri eletti. Dietro di loro figurano docenti, dirigenti, imprenditori e impiegati. Il Parlamento rischia di trovarsi arenato sugli interessi di categoria

ITALY-POLITICS-PRESIDENTItaliani, popolo di santi, poeti e navigatori. Ma non in Parlamento, dove i nostri deputati e senatori sono per la maggior parte avvocati,docenti, dirigentiimpiegatiimprenditori e giornalisti, ma anche medici, ingegneri, commercialisti e perfino idraulici. La XVII Legislatura, che ha preso il via da poche settimane, vede sedere fra i banchi di Montecitorio e Palazzo Madama esponenti di numerose categorie professionali. Ci sono pure studenti (appartenenti per la maggior parte al Movimento 5 Stelle, fra cui il vicepresidente della Camera Luigi di Maio) e alcuni disoccupati. In un quadro simile, gli interessi di categoria rischiano di condizionare l’attività delle due Camere.

TOGHE IN POLITICA - La professione più in voga tra i parlamentari della XVII Legislatura? Quella dell’avvocato. Sono ben 113, in particolare 75 deputati e 38 senatori, gli eletti che fuori dalle aule di Montecitorio e Palazzo Madama svolgono l’attività forense. Un dato in linea con quello della precedente Legislatura, anche se fino a qualche settimana fa tra i banchi di Camera e Senato ne sedevano una ventina in più, rispettivamente 90 e 44. Una situazione che pone più di una perplessità su come i parlamentari avvocati riescano a conciliare l’esercizio della loro professione con l’esercizio del mandato parlamentare. Non solo per ragioni temporali, ma anche, e soprattutto, per questioni sostanziali. Il fatto che sussista un conflitto di interessi è più di un rischio. Quando si legifera su aspetti attinenti alla materia c’è il rischio concreto che gli interessi personali entrino in conflitto con gli interessi generali. Un esempio? Quando governo e Parlamento si sono occupati di liberalizzazioni le pressioni delle lobby sono state tutt’altro che velate, con il risultato che i provvedimenti iniziali sono stati ritoccati e annacquati. E il folto partito degli avvocati è decisamente bipartisan. Dal Pd al Pdl, passando per M5S, Scelta civica e Lega Nord, i principi del foro affollano i banchi di ogni partito. È il Pd la forza politica in cui sono maggiormente rappresentati, con 39 deputati e 10 senatori, seguita dal Pdl, che conta 21 avvocati a Montecitorio e 15 a Palazzo Madama, e dal M5S con una pattuglia decisamente più ridotta, 4 deputati e 4 senatori. Ma gli avvocati non sono gli unici che passano dalle aule di tribunale a quelle del Parlamento. Occupano alcuni scranni anche parlamentari magistrati. Nonostante siano molti di meno rispetto agli avvocati, la loro presenza nei Palazzi della politica fa discutere molto di più. Tra le tante polemiche che hanno segnato la campagna elettorale, infatti, una delle più accese è stata proprio quella sull’opportunità o meno della loro candidatura. Sono state chiesti limiti e regole per disciplinare il loro passaggio dalla magistratura alla politica. In particolare, nell’occhio del ciclone sono finiti Piero Grasso, candidato nelle liste democratiche e finito sullo scranno più alto di Palazzo Madama, Stefano Dambruoso, eletto a Montecitorio con Scelta Civica, e Antonio Ingroia, promotore di Rivoluzione civile che non è riuscito a superare lo scoglio delle soglie di sbarramento. Ma altri loro colleghi sono da tempo in Parlamento. Ci sono la deputata del Pd, Donatella Ferranti, al suo secondo mandato, i senatori del Pdl Francesco Nitto Palma e Giacomo Caliendo, in passato rispettivamente ministro e sottosegretario alla Giustizia nel governo Berlusconi e poi i democratici Anna Finocchiaro, Doris Lo Moro e Felice Casson.

DOCENTI E DIRIGENTI - Subito dietro gli avvocati ci sono docenti universitari e insegnanti che, insieme, raggiungono quota 110, 13 in più rispetto alla precedente Legislatura. Sono, rispettivamente, 53 a Montecitorio (33 nel gruppo del Pd, 5 in quello del Pdl e 6 nel M5S) e 57 a Palazzo Madama. Alla Camera i nomi maggiormente noti sono quelli di Carlo Dell’Aringa (Pd), professore di Economia politica all’Università Cattolica di Milano nonché componente del team che nel 2001 redasse il Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia su cui si basa la Legge Biagi; Andrea Romano (Scelta Civica), che insegna Storia contemporanea all’Università di Roma Tor Vergata ed è anche direttore di Italia Futura, il think tank fondato nel 2009 da Luca di Montezemolo; Renato Brunetta e Antonio Martino, economisti, entrambi rieletti con il Popolo della Libertà. Al Senato siedono invece lo storico Miguel Gotor (Pd), braccio destro di Pier Luigi Bersani durante la campagna per le primarie del centrosinistra, e Pietro Ichino, ordinario di Diritto del lavoro all’Università degli Studi di Milano, passato dai democratici alla Lista del premier uscente Mario Monti. A seguire c’è la categoria dei dirigenti. Un folto numero, anche in questo caso, se si pensa che sono 46 alla Camera e 33 al Senato. Proprio in quest’Aula un seggio è occupato dal “poltronissimo” Franco Carraro (Pdl), già presidente del Coni, della Figc e sindaco di Roma dal 1989 al ’93, mentre alla Camera il Pd ha “arruolato” l’ex direttore generale di Confindustria Giampaolo Galli. Tocca poi agli impiegati (99 in totale, di cui 59 alla Camera e 40 al Senato) e agli imprenditori. Se ne contano in tutto 93, 15 in meno a confronto con il quinquennio 2008/2013. Quello di Silvio Berlusconi è sicuramente il nome più noto in questa categoria. L’ex premier, alla sua sesta Legislatura, si trova questa volta a Palazzo Madama e non a Montecitorio come nelle cinque precedenti occasioni. Quarantotto sono invece i giornalisti che hanno posato la penna sul tavolo per affollare le Aule parlamentari. Meno, comunque, di quelli presenti nella Legislatura appena conclusa quando erano 90. Fra le new entryche hanno fatto maggiormente rumore ci sono l’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini (Pdl), l’ex numero uno di Rai News 24 Corradino Mineo (Pd) e l’ex vicedirettore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti, tutti e tre candidati ed eletti al Senato dai loro rispettivi partiti. Alla Camera ci sono invece Sandra Zampa (Pd), già capo ufficio stampa dell’allora presidente del Consiglio Romano Prodi, e Pierdomenico Martino (Pd), che in passato ha ricoperto il ruolo di capo ufficio stampa del partito guidato da Pier Luigi Bersani ed è caporedattore del quotidiano Europa. Quarantaquattro sono invece i medici (27 alla Camera e 17 al Senato), 24 gli ingegneri. Infine ci sono i sindacalisti (29). Fra i volti nuovi compaiono quelli di Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil dal 2002 al 2010 alla prima esperienza parlamentare con il Partito democratico; Giorgio Airaudo (Fiom), che dopo essersi definitivo un «esiliato di sinistra orfano di Berlinguer e stufo dei trasformismi opportunistici» ha varcato le porte di Montecitorio nelle file di Sel, e Renata Polverini, che prima di ricoprire la carica di governatore della Regione Lazio è stata segretario dell’Unione generale del lavoro (Ugl).

LE ALTRE PROFESSIONI - Scorrendo le schede di deputati e senatori disponibili sui siti di Camera e Senato, non mancano poi esempi di parlamentari che svolgono lavori meno rappresentati, e in alcuni casi decisamente inaspettati. Ci sono architetticommercialistiagricoltori, commercianti, farmacisti e assicuratori. Ma non solo. Alcuni nomi spiccano in modo particolare. Si è parlato molto delle loro candidature in campagna elettorale e ora, dopo aver dimostrato i loro meriti sportivi, dovranno farsi valere in Parlamento Valentina Vezzali, plurimedagliata olimpica, eletta alla Camera nelle liste di Scelta Civica, e Josefa Idem, anche lei passata dai podi olimpici allo scranno parlamentare. Sono, invece, quattro gli operai. Tra loro alcune storie fortemente simboliche. A Montecitorio, infatti, è stato riconfermato Antonio Boccuzzi, eletto nel Pd nella scorsa Legislatura dopo essere sopravvissuto al rogo della Thyssen, mentre a Palazzo Madama ha fatto il suo ingresso per la prima volta Giovanni Barozzino, ora senatore di Sel, in passato operaio della Fiat di Melfi, licenziato nel 2010 insieme ad altri due colleghi con l’accusa di aver sabotato l’attività aziendale, poi riammessi dal tribunale del lavoro, ma mai reintegrati. Torna per la seconda volta in Parlamento, invece, la leghista Emanuela Munerato, operaia tessile, ricordata dai più per il suo intervento in aula contro la manovra economica del governo Monti, quando per esprimere il voto contrario delle camicie verdi è tornata ad indossare la sua tuta da operaia. Ha, invece, messo da parte, almeno per ora, i suoi attrezzi da idraulico Davide Tripiedi, 28 anni, eletto nel M5S. E proprio nel M5S si contano il maggior numero di studenti e disoccupati. Siedono oltre che tra gli scranni parlamentari anche dietro ai banchi universitari Paolo Bernini, Marta Grande, Azzurra Cancelleri e Luigi di Maio, che si è guadagnato anche la vice presidenza della Camera. Ma c’è anche chi è entrato in Parlamento da disoccupato, dieci deputati e due senatrici. A Montecitorio tra i cinque stelle ci sono Tatiana Basilio e Vincenza Labriola, entrambe casalinghe. Due le senatrici che hanno dovuto fare i conti con la perdita del lavoro: Vilma Moronese, parlamentare del M5S, e Alessia Petraglia, eletta nelle liste di Sel. La prima, entrata nel mondo del lavoro dopo il diploma in ragioneria, nella sua biografia scrive: «Nel 1990 per scelta e per necessità rinuncio agli studi universitari per lanciarmi direttamente nel mondo del lavoro». Ha lavorato presso una compagnia di assicurazioni, poi in diverse aziende, nell’ultima delle quali si occupava del recupero crediti. La seconda si definisce disoccupata, ma scorrendo la sua biografia quello che balza all’occhio è la sua esperienza da consigliere regionale in Toscana. Per ora un nuovo lavoro l’hanno trovato: parlamentari della Repubblica.

*con Lea Vendramel