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«Salviamo l’Oro rosso campano» – da “Il Punto” del 20/04/2012

mercoledì, aprile 25th, 2012

L’Italia perde un altro dei suoi pezzi pregiati: la Ar Industrie Alimentari. Sono 225 le persone che rischiano di ritrovarsi senza lavoro dal prossimo 30 giugno, ma con l’indotto si sale a 1.500. Causa: la cessione del 51% della società a Princes Ltd, azienda anglo-nipponica che fa capo a Mitsubishi e che ha fatto sapere di non voler puntare sugli stabilimenti abatesi per spostare tutta la produzione a Foggia

Per i lavoratori della Ar Industrie Alimentari, primo produttore di pomodori pelati in Italia con sede a Sant’Antonio Abate (Na), quella da poco trascorsa non è stata una Pasqua come le altre. Perché ritrovarsi senza lavoro, in tempi di forte crisi economica, è diventato in Italia un problema irrisolvibile. Qual è il motivo che il 30 giugno prossimo costringerà 225 lavoratori (e famiglie) – più l’indotto, che li porta a salire a oltre 1.500 – a cercare una nuova occupazione? La cessione del 51 per cento dell’azienda alla Princes Limited, società anglo-nipponica che fa capo alla Mitsubishi corporation. E la conseguente decisione di chiudere (o riqualificare, secondo le ultime intenzioni dei nuovi vertici) gli stabilimenti campani per affidare la produzione ad un altro opificio, quello di Incoronata, a Foggia, passato dalla gestione di Ar Industrie Alimentari a quella della New company Princes Industrie Alimentari. I lavoratori sono in presidio permanente in attesa che la situazione cambi in positivo. Anche se il futuro appare a tinte fosche.

UNA STORIA LUNGA 50 ANNI – Era il 1962. L’anno in cui nasceva La Gotica, la prima delle tante aziende gestite dall’oggi 81enne Antonino Russo. Gli affari girano – e bene –, tanto che nove anni dopo vede la luce lo stabilimento Ipa di via Buonconsiglio, a Sant’Antonio Abate. Nel 1979, poi, La Gotica viene assegnata ad una nuova società di capitali, la Conserviera Sud S.r.l. Negli Anni ’80 Russo costituisce altre quattro società nel settore delle conserve alimentari, che nel 2000 riunisce in un’unica azienda denominata appunto «Ar Industrie Alimentari S.p.a.». Un colosso nel suo campo: l’ultimo bilancio disponibile, datato 2009, vede ricavi pari a 272 milioni di euro, un margine operativo lordo di 30 milioni e utili per 13,7. Le perdite sono per 127 milioni, in crescita di 35,3 milioni rispetto all’anno precedente. Ecco allora l’idea di vendere la quota di maggioranza alla Princes Ltd (che possedeva già il 7 per cento del capitale azionario), anche per dare – forse – respiro internazionale al gruppo. Che però, a ben vedere, non ne ha bisogno, visto che solo il 20 per cento delle vendite di Ar avviene in Italia e il restante 80 è diviso tra Inghilterra, Francia, Germania e addirittura Africa. Ma c’è un altro passaggio importante nella storia industriale di Russo: l’apertura dello stabilimento di Incoronata, a Foggia, costato circa 80/90 milioni di euro, stanziati da Sviluppo Italia (l’Agenzia nazionale per lo sviluppo d’impresa e l’attrazione degli investimenti). Episodio che è stato oggetto di un “giallo”, ovvero un’interrogazione parlamentare, subito ritirata, da parte del deputato abatese Gioacchino Alfano (Pdl), con la quale nel 2005 si domandava all’allora ministro per le Attività produttive Antonio Marzano di fare luce sul futuro dei lavoratori di Sant’Antonio Abate vista la creazione del nuovo opificio. Marzano e Massimo Caputi, amministratore delegato di Sviluppo Italia, rassicurarono i lavoratori: «Gli stabilimenti abatesi resteranno aperti». Peccato che ora i 225 conservieri rischino di ritrovarsi con un pugno di promesse in mano, e nulla più.         

LA PAROLA AI SINDACATI – «Lo stabilimento di Foggia, che in principio doveva servire per affiancare gli opifici di Sant’Antonio Abate – eravamo stati rassicurati anche da Marzano e Caputi –, ora pare diventerà quello principale. Siamo in attesa di un consiglio regionale per analizzare una situazione in cui le parti sociali non sono state interpellate», dichiara a Il Punto Gennaro Cerchia della Rsu Uil. «Abbiamo appreso la notizia del passaggio di proprietà dai giornali, il 26 marzo scorso. C’è un altro particolare, di cui tenere conto: nel momento in cui noi abbiamo chiesto l’apertura di un tavolo di trattativa ai nuovi proprietari della Ar, sono state spedite le lettere ai dipendenti per avvisarli che la lavorazione del pomodoro sarebbe cessata. Non è possibile che uno stabilimento che fattura oltre 200 milioni di euro venga chiuso – prosegue Cerchia –, e che la comunicazione arrivi con così poco preavviso». Ma la Newco sembra intenzionata a riqualificare lo stabilimento in un pastificio: «Fare una riconversione del genere non ha senso. Anche perché a pochissimi chilometri da noi c’è Gragnano, dove ci sono dieci pastai. A mio parere si tratta semplicemente di una presa in giro». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Nicola Ricci, segretario generale Flai-Cgil a Napoli: «Ciò che colpisce è che di fronte ai sindaci dell’area, alla Regione e al Prefetto, l’azienda abbia confermato che il progetto non cambia di una virgola. Si chiudono i siti campani e si lascia attivo solo quello pugliese. La cosa grave è che si viene a sapere della presenza di un finanziamento pubblico dell’Isa (Istituto Sviluppo Agroalimentare, la società finanziaria con socio unico il ministero delle Politiche agricole, ndr) per un totale di 66 milioni di euro in due tranche, che serviranno solo per rafforzare Foggia. Sull’area campana si chiudono i siti, e l’unica proposta è la procedura di mobilità. Ovvero dei licenziamenti di massa. Si fa macelleria sociale». E ai sindacati (come confermato proprio da Ricci) non è stato ancora consegnato alcun documento ufficiale da parte dei nuovi numeri uno della Ar. Emilio Saggese (Uila Napoli) afferma invece: «Gli ultimi dati dicono che nella zona del napoletano si concentra l’80 per cento dei fallimenti della Regione Campania. Fare la guerra tra poveri, delocalizzando tutto a Foggia – dove fra l’altro si lavorerà stagionalmente, cioè solo tre mesi l’anno. Di questo dovrebbe rispondere anche la Regione Puglia – e lasciando a piedi i lavoratori abatesi è un giochino che a noi ovviamente non piace».

IL SOSTEGNO DI BARBATO – Chi perora la causa dei lavoratori della Ar Industrie Alimentari è il deputato dell’Italia dei Valori Francesco Barbato, che ha deciso di passare la Pasqua a Sant’Antonio Abate. «Si tratta dell’ennesimo scandalo di industriali che non fanno più il loro mestiere perché preferiscono fare attività speculativa e finanziaria», dice Barbato a Il Punto. «Più che di imprenditori bisognerebbe parlare di “prenditori”, perché questi intascano finanziamenti pubblici regionali, statali ed europei facendo saltare un intero reparto conserviero, vero “oro rosso” della Campania. Questa classe di imprenditori è poi accompagnata da una scarsa politica industriale, cominciata con il precedente governo Berlusconi e proseguita con quello Monti». Barbato assicura che porterà il caso in Parlamento: «Sto per depositare un’interrogazione per fare luce su questa vicenda, per difendere ad ogni costo gli oltre 220 lavoratori che hanno visto avviata la procedura di mobilità».

LA CONDANNA – Come se non bastasse, all’inizio del mese il numero uno di Ar Industrie Alimentari Antonino Russo è stato condannato dal tribunale di Nocera Inferiore a quattro mesi e al pagamento di 6 mila euro di multa per aver venduto pomodoro cinese spacciandolo come prodotto made in Italy. Le indagini, svolte dai Nac (Nucleo Antifrodi Carabinieri) di Salerno, sono cominciate nell’ottobre del 2010 con il sequestro di 500 tonnellate di pomodoro etichettato «Ar Industrie Alimentari» ma soggetto in realtà a contraffazione. Decisiva, dopo che nel novembre 2010 il tribunale del Riesame di Salerno aveva accolto la richiesta dei legali di Russo disponendo il dissequestro dei beni, è stata la consulenza tecnica del Professor Paolo Masi, preside della Facoltà di Agraria dell’Università Federico II di Napoli. Contattato da Il Punto, Masi ha spiegato: «Si è trattato di un parere basato sulla tecnologia di lavorazione del prodotto. Nel caso in questione, risalente a fine 2010, si parlava di un’importazione di triplo concentrato proveniente dalla Cina, che veniva diluito e ripastorizzato per poi essere inscatolato come doppio concentrato ed etichettato come made in Italy. Quanto sostenuto dalla difesa dell’imprenditore – prosegue Masi – è che il prodotto era sì fatto con materie prime non italiane, ma la lavorazione fondamentale avveniva sul suolo italico e quindi era da considerarsi di produzione interna. Nella mia relazione ho dimostrato che questa lavorazione effettuata nel nostro Paese altro non era che una semplice operazione che serviva a ristabilizzare il prodotto che era stato diluito, ma che non cambiava le sue caratteristiche e anzi le peggiorava, perché il danno termico veniva aumentato». Ma la Ar Industrie Alimentari non è l’unica ad utilizzare pomodori provenienti dal colosso asiatico: «In Italia l’impiego di pomodori cinesi inizia trent’anni fa. I “problemi” nascono quando i prodotti che arrivano da questo Paese hanno cominciato ad essere demonizzati. Attenzione, perché fra l’altro non parliamo neanche di pomodori ma di semilavorati: il loro trasporto dalla Cina all’Italia avrebbe dei costi esorbitanti e i prodotti arriverebbero qui già marci. Da tecnologo alimentare non demonizzo nulla: certo è che quando vedo scritto made in Italy ma in realtà così non è credo sia giusto parlare di “truffa”».

Twitter: @GiorgioVelardi     

La morte in un click – da “Il Punto” del 6/04/2012

lunedì, aprile 23rd, 2012

La vicenda di Teresa Sunna, la 28enne deceduta dopo aver ingerito nitrito di sodio scambiato per sorbitolo e acquistato online, riapre il dibattito sulle farmacie telematiche. Spesso dietro queste si nascondono organizzazioni criminali. Altre volte si tratta di vere e proprie truffe ai danni degli acquirenti. I Nas: «Mercato più redditizio della droga». LegitScript: «Su 40mila presenti, solo lo 0,6% sono sicure»

Chiedono «giustizia», i familiari di Teresa Sunna. Una studentessa modello, il cui sogno era quello di laurearsi in Economia e commercio. Un punto di riferimento per amici e parenti. Morta a soli 28 anni dopo aver ingerito nitrito di sodio, una sostanza altamente tossica utilizzata (in quantità minime) come conservante alimentare nei prodotti a base di carne. Scambiata, invece, per sorbitolo, uno zucchero che si estrae dalla frutta e che viene utilizzato per effettuare i test sulle intolleranze alimentari. Ma quella confezione l’ambulatorio privato di Barletta, dove Teresa si era recata per sottoporsi al Breath test al lattosio, non l’aveva acquistata in farmacia. Bensì su eBay, il più noto sito di compravendite online, che ne ha subito bloccato la distribuzione. Una pratica illegale, visto che nel nostro Paese l’acquisto di farmaci su Internet è vietato. Prodotto dalla sede italiana della multinazionale statunitense Cargill, il farmaco contraffatto è stato poi commercializzato dalla irlandese Mistral, che l’ha venduto anche in Francia, Belgio, Lettonia e Regno Unito. Altre due pazienti, la 62enne Addolorata Piazzolae la 32enne Anna Abbrescia, hanno rischiato di morire dopo la somministrazione della stessa sostanza, riuscendo fortunatamente a salvarsi. Teresa non ce l’ha fatta. Bastano infatti 2 grammi di nitrito di sodio per uccidere una persona che pesa 65 kg. Alle tre donne ne sono stati somministrati 5. Se il ministro della Salute Renato Balduzzi ha tenuto a tranquillizzare gli animi, dicendo che «in Italia, grazie ai controlli, abbiamo la percentuale di medicinali contraffatti più bassa d’Europa» (0,1 per cento contro una media europea dell’1 per cento, secondo l’Aifa), restano da comprendere a pieno i motivi per cui gli italiani comprano i farmaci in rete. Specialmente quelli per combattere i disturbi sessuali e per aumentare le prestazioni fisiche. Spesso dietro le finte farmacie telematiche si annidano vere e proprie organizzazioni criminali. Con conseguenze gravissime per la salute di tutti noi.

MERCATO IN CRESCITA – Secondo LegitScript, l’ente statunitense di verifica e controllo delle farmacie online, solo lo 0,6 per cento delle oltre 40mila farmacie censite sarebbe legale. Quelle potenzialmente legali sono il 2,7 per cento, mentre quelle completamente fuorilegge il 96,8 (38.947, in termini reali). Si tratta di un mercato in rapida crescita: “colpa“ di un vuoto normativo tangibile – la direttiva di riferimento, approvata nel febbraio 2011, dovrà essere recepita in tutti gli Stati membri entro 18 mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta europea –, ma anche delle organizzazioni criminali, dedite alla frode e al phishing. Dal 2005 ad oggi i Nas (il Nucleo anti-sofisticazione dei Carabinieri) hanno sequestrato oltre 3.664.000 tra fiale e compresse contraffatte, arrestando 337 persone e segnalandone all’autorità giudiziaria altre 5.500. «Per ogni euro investito da queste organizzazioni nel commercio di farmaci contraffatti si genera un guadagno di 2.500 volte. Con la droga questa proporzione è di 1 a 16. Quindi il mercato dei medicinali falsi è circa 150 volte più redditizio rispetto a quello delle sostanze stupefacenti», ha evidenziato mesi fa il comandante dei Nas Cosimo Piccinno. Ad andare per la maggiore sono i farmaci anti-impotenza e gli anabolizzanti, tanto che da maggio 2011 i risultati delle voci «buyviagra» e «buyanabolic» su Google sono cresciuti rispettivamente del 203 e del 101 per cento. Spesso si comprano anche sostanze come il Melanotan II, corrispettivo sintetico di un ormone che stimola la produzione di melanina e che sembra avere effetti afrodisiaci ed erettivi, o anticoagulanti come l’eparina «cinese», che nel 2008 provocò 149 morti negli ospedali degli Usa.

IL PARERE DELL’AIFA – «C’è una disomogeneità nella normativa sulle farmacie online a livello europeo. Non è un problema che riguarda solo l’Italia», dichiara a Il Punto Domenico Di Giorgio, dirigente dell’Unità di prevenzione contraffazione dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco. «La direttiva che ha armonizzato il mercato europeo era del 2001 – prosegue Di Giorgio –, a quel tempo il problema-Internet non era certo una questione prioritaria. Lo scorso anno è terminata la negoziazione di una direttiva, la 2011/62, alla quale il nostro Paese ha partecipato attivamente. Per la prima volta viene previsto un titolo specifico nella normativa che vincola tutti gli Stati membri a fare una regolamentazione delle farmacie su Internet. Ciò avviene attualmente in pochi Paesi, fra cui Inghilterra e Germania. Le farmacie online legali restano una minoranza, mentre la larga maggioranza sono illegali e difficilmente distinguibili da un utente inesperto». Quanti sono gli italiani che ricorrono a Internet per acquistare i farmaci? Di Giorgio risponde: «Dai nostri studi è emerso meno dell’1 per cento. Un dato significativo, anche se non allarmante come quello circolato sulla stampa mesi fa. Non è però un fatto di numeri, il caso di Barletta non può essere ridotto a una questione di statistiche. Ci sono stati, per errori di etichettatura di prodotti o frodi, due casi di uno sciroppo antitosse per bambini che cinque anni fa ha causato centinaiadi morti in Nigeria e a Panama». Quali sono i fattori che spingono le persone ad acquistare farmaci online? «Non sono solamente i costi molto bassi o il fatto che sia garantito l’anonimato. Questi sono quelli che stimolano la domanda. Il problema è che manca un filtro, c’è un’assenza di “percezione del rischio”, per questo motivo occorre puntare maggiormente sulla comunicazione», dice Di Giorgio. Come si distingue un farmaco “originale” da uno contraffatto? «Spesso anche noi esperti abbiamo bisogno di analisi di laboratorio per capire se il prodotto è buono o meno. Alcuni di quelli che recentemente abbiamo sequestrato insieme ai Nas avevano un aspetto esteriore estremamente professionale. Va specificata una cosa: coloro che acquistano farmaci su Internet vanno definiti “clienti”, più che “pazienti”. Si tratta di soggetti che vogliono steroidi ma non per scopo terapeutico, o che cercano di dimagrire senza passare per i consigli di un dietologo assumendo Sibutramina o altri prodotti “magici” con effetti collaterali pesantissimi, da fonti non controllate». Da tempo l’Aifa monitora il fenomeno in questione: «Sono almeno cinque anni. Abbiamo iniziato facendo i campionamenti con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e i Nas, comprando i farmaci da siti sospetti per analizzare la qualità dei prodotti. L’evoluzione del fenomeno è stata molto rapida: al tempo la maggior parte dei siti facevano frodi informatiche, la farmaceutica era uno schermo. Altri studi, che abbiamo compiuto con delle software house italiane, hanno analizzato la penetrazione nei social network o all’interno di siti istituzionali per guadagnare punteggio nei motori di ricerca. In una fase successiva abbiamo poi attaccato direttamente questi siti». Ma da un dato momento in poi lo schermo è caduto: «Sì, perché le organizzazioni criminali si sono “travestite” da Robin Hood, dicendo di battersi contro la farmaceutica costosa. E il problema, lo ribadisco, è la mancanza di una sufficiente percezione del rischio. Solo il 20 per cento dei cittadini sa che comprare medicinali online è illegale».

GLI ANTICONCEZIONALI – Ma sul web, come documentato da Doctor’s Life (il canale Sky curato dall’Adnkronos Salute), si può acquistare anche la “pillola dei cinque giorni dopo”, che in Italia sarà commercializzata da aprile. Già in vendita in Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna, la pillola acquistata in Internet permette di aggirare il “paletto” – che esiste solo nel nostro Paese – della presentazione obbligatoria di un test che escluda la presenza di una gravidanza già in atto. Ma anche in questo caso i rischi non mancano. E i costi sono addirittura molto più elevati: 60 euro contro i 35 stabiliti dall’Aifa per le farmacie italiane. «Si tratta di un farmaco impossibile da assumere senza un controllo medico. In particolare per quelle che possono essere le eventuali conseguenze» dice a Il Punto il ginecologo Massimo Salvatori. «Non si tratta di un farmaco antifecondativo o anticoncezionale, ma anti progestativo, per impedire cioè l’impianto dell’uovo fecondato. Se una donna assume la “pillola dei cinque giorni dopo” senza aver prima effettuato un consulto, e avverte dei sintomi che non sa interpretare proprio a causa di ciò, corre dei pericoli». Per bocca del presidente Nicola Surico la Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo) lancia l’allarme: «Le giovanissimecontinueranno a rivolgersi al web per bypassare la ricetta e il test di gravidanza. Noi abbiamo contestato subito la scelta di autorizzare la pillola con l’obbligo del test di gravidanza tramite analisi del sangue, ma la nostra critica non è stata recepita. E con l’uso di Internet non sapremo mai quante pazienti assumono il farmaco. L’Italia dovrebbe adeguarsi all’Europa».

Twitter: @GiorgioVelardi

Terremoto a orologeria – da “Il Punto” del 13/04/2012

lunedì, aprile 23rd, 2012

Lo scorso 24 febbraio, a “Il Punto”, l’ex ministro Galan aveva dichiarato di essere favorevole ad una «separazione consensuale» fra ex An e Forza Italia. Tutto tacque. Poi un mese dopo arriva l’intervista a “Il Giornale” in cui ribadisce il concetto, e il partito va nel caos. Mentre al suo interno c’è chi afferma che l’unità ritrovata sia in realtà una “tregua armata” in vista delle amministrative

«Per quanto mi riguarda, sono assolutamente favorevole ad una “separazione consensuale” con gli ex An e ad un ritorno a Forza Italia. Perché diciamocelo con sincerità: nei quattro anni del Predellino non ci siamo amalgamati. Secondo, e lo dico con amicizia nei confronti degli ex An, ci guadagneremmo entrambi in termini di voti». Così parlò Giancarlo Galan più di un mese fa. Sul numero de Il Punto del 24 febbraio, infatti, l’ex ministro di Agricoltura e Beni culturali manifestò la sua propensione ad un ritorno alla fase di progettazione. «Dov’è finita l’idea di partito innovatore e diverso che dicevamo di voler essere?», si domandò. Il colloquio è stato ignorato. Ma poi, esattamente trentasette giorni dopo, Galan rilascia un’intervista a Il Giornale. E dice: «Alle elezioni amministrative qualche esperimento qua e là lo si poteva anche fare. Una separazione consensuale. Con gli ex An dico che ci conviene, andremmo meglio divisi, restando in una federazione ma separati. La fusione tra An e Forza Italia non è riuscita». Scoppia il putiferio. Il vulcanico Ignazio La Russa invita il collega «a farsi un partito con Fini», Berlusconi convoca un vertice a Palazzo Grazioli e chiede ai suoi di stare uniti. Sorrisi e strette di mano all’uscita, ma c’è chi – presente alla riunione – rivela a Il Punto: «La tendenza è quella di tenere “sopita” questa spaccatura. È un’unità ritrovata in funzione delle prossime amministrative. Difficoltà ce ne sono: anche il tema della riforma della legge elettorale sarà un gran bel problema. Per fortuna non sono volati i coltelli, anzi Galan è stato pure applaudito nel corso del suo intervento. Certo, non da tutti» (facile capire chi abbia tenuto le mani saldamente incollate al tavolo). Quindi l’armistizio paventato dai pezzi da novanta del partito dopo l’incontro del 3 aprile scorso appare in realtà come una “tregua armata” per evitare che il partito si sfaldi a meno di un mese dall’appuntamento con le urne. Anche perché i temi sul tavolo di Angelino Alfano sono molteplici: dalle elezioni alla riforma della legge elettorale e del mercato del lavoro, dal proliferare di liste civiche con la dicitura «Forza» alla sospensione (che culminerà con l’espulsione?) dei 14 fra assessori e consiglieri regionali che a Verona hanno appoggiato la ricandidatura del leghista Flavio Tosi.

UN RITORNO DI «FORZA» – La prima è stata «Forza Lecco», nata in casa dell’ex ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla. Poi, a seguire, sono arrivate anche «Forza Verona», «Forza Veneto» e «Forza Toscana». Ma di liste civiche come quelle appena sciorinate ne spuntano ormai ogni giorno (altre sono ancora in fase embrionale in altre città d’Italia). E dietro queste manovre – fanno sapere da ambienti interni al Pdl – c’è il benestare di Berlusconi. Tranne a Verona (se ne parlerà più avanti). A Lecco la corrente nata in opposizione al ruolo degli ex An nel partito ha ricevuto la benedizione nientemeno che dell’ex titolare della Funzione pubblica Renato Brunetta. A ribadirlo anche una nota diffusa dal coordinamento locale: «Brunetta, verso il quale proviamo profonda stima e ammirazione per l’eccezionale lavoro svolto alla guida del ministero, ha sottolineato la positività nella nascita della nostra associazione, indicandoci come “un laboratorio arrivato alle cronache nazionali, che è il benvenuto”». Analogo il discorso per «Forza Veneto», «un’area culturale nata per riportare nel Pdl il genuino spirito di Silvio Berlusconi», come ha dichiarato uno dei promotori dell’iniziativa, Alessandro Zanon. Anche qui, manco a dirlo, il motivo che ha portato alla nascita della nuova creatura sono le tensioni con gli eredi dell’Msi, che qualcuno – tranchant – chiama «ex fascisti». Espressione diversa, ma motivazioni identiche, hanno portato in Friuli-Venezia Giulia alla nascita di «Popolo di Gorizia». Una lista venuta alla luce in cambio della promessa della Lega Nord di appoggiare la rielezione del sindaco uscente, Ettore Romoli (Pdl). E che dire di Como? Alle primarie del partito vince Laura Bordoli (An più Comunione e Liberazione), con i laici che non digeriscono il risultato e tuonano: «I fascisti rimangono fascisti, se non ti uniformi a questa banda prendi i manganelli in testa». La partita è ancora aperta, malgrado la mediazione di La Russa e Verdini. Senza dimenticare i casi che riguardano Monza, Imperia e il Trentino Alto Adige, dove si sono formate addirittura due compagini («Forza Trentino» e «Forza Alto Adige», entrambe su spinta della berlusconiana Micaela Biancofiore). Infine c’è chi, come Isabella Bertolini, dopo aver tirato su «Forza Emilia Romagna» ha dichiarato a L’Opinione delle Libertà: «Bisogna chiedersi perché tantissimi di quelli che nel 1994 hanno votato Forza Italia l’anno prossimo avranno seri problemi a barrare il simbolo del Popolo della Libertà». Già, perché?

CASI LIMITE – Sono quelli di Verona e de L’Aquila. Nel capoluogo veneto, dopo un batti e ribatti durato mesi, si è andati incontro ad uno scenario che ha dell’incredibile. La nascita di «Forza Verona», formata da una cospicua fetta di amministratori Pdl uscenti che hanno deciso di appoggiare la ricandidatura del sindaco leghista Flavio Tosi – e non di Luigi Castelletti, scelto dal partito –, ha visto l’intervento diretto di Alfano, che ha sospeso i 14 “dissidenti”. Maroni non ha gradito la presa di posizione del segretario, tanto da etichettare il suo come «un atteggiamento da vecchio democristiano. Se sono traditori non puoi solo sospenderli, mi sembra una mezza misura che non capisco», ha aggiunto l’ex ministro dell’Interno. Dello stesso avviso anche Tosi: «Alfano non poteva fare di meno, non voleva fare di più». Poi c’è L’Aquila. E anche qui sono dolori. Perché il governatore della Regione, Gianni Chiodi, ha fatto da “padrino politico” al candidato sindaco dell’Mpa Giorgio De Matteis (attuale vicepresidente del consiglio regionale), uno che è riuscito nell’impresa di mettere insieme parti di Udc, Casa Pound e i Verdi. Scelta che però non viaggiava sulla stessa lunghezza d’onda di Alfano e Cicchitto, che hanno preferito Pierluigi Properzi (docente universitario), provocando una spaccatura evidente negli elettori di centrodestra di una città che vive ancora con i fasti del terremoto del 6 aprile 2009 negli occhi e nel cuore.

PERICOLO RIFORME – Quella del mercato del lavoro, prima di tutto. Ma anche le modifiche alla Costituzione e una nuova legge elettorale che cancelli il (mica tanto odiato) “Porcellum”. La paura che circola nelle stanze di via dell’Umiltà è quella che, in caso di tonfo alle amministrative, un’eventuale nuova diaspora lasci terreno fertile ai progetti del centrosinistra (che pure non se la passa tanto meglio) in tema di riforme. Ecco perché Alfano, dal palco di Taormina, ha fatto intendere che il nuovo mercato del lavoro va progettato e costruito prima di maggio. Perché quello che succederà dopo è ancora tutto da capire. Berlusconi ha parlato di una «nuova cosa» da presentare a margine della tornata elettorale – di che si tratti ancora non è dato sapere –, stoppando i malumori nati sul tema del nuovo sistema di voto dichiarando che il modello migliore «è un proporzionale alla tedesca, perché consente di correre da soli e di indicare il leader». Rendersi conto che nel Pdl ci sia bisogno di rinnovamento è come scoprire l’acqua calda. Nei sondaggi il partito oscilla fra il 20 e il 24 per cento, recuperando terreno dopo la caduta verticale dei mesi scorsi. Ma non basta. Perché quanto auspicato da Alfano nel giorno del suo insediamento come segretario («il partito degli onesti» e «la casa dei moderati») ha un cammino ancora lungo da percorrere. Ecco perché l’Udc e la “nuova” Lega di Maroni sono osservati speciali. E chissà che alla fine la «nuova cosa» non metta d’accordo tutti.

Twitter: @GiorgioVelardi

Soliti “nuovi” avanzano – da “Il Punto” del 30/03/2012

mercoledì, aprile 4th, 2012

L’ex numero uno di Confindustria si prepara a scendere in campo. «Se la politica non si rinnova faremo la nostra parte», ha più volte ribadito. Fini gli tende la mano, ma il progetto politico di Italia Futura sembra essere un altro: fare da garante al “patto di legislatura”

«Del doman non v’è certezza», assicurava alla metà del 1400 Lorenzo de’ Medici nella sua “Canzone di Bacco”. E nel domani della politica italiana accade lo stesso. Le certezze sono crollate da quando Mario Monti è diventato presidente del Consiglio, varando misure dure che i partiti – quelli che ora sembrano aver ritrovato un innato «spirito nazionale» – non hanno avuto il coraggio di mettere nero su bianco negli ultimi vent’anni. Ovvio che il cammino verso il 2013, quando terminerà l’esperienza politica dell’ex Commissario europeo e dei suoi ministri, sia irto di ostacoli. E allora ecco comparire figure nuove (o pseudo tali) sulla strada che porta alle urne. Italia Futura, il “serbatoio di pensiero” fondato nel luglio del 2009 da Luca Cordero di Montezemolo, scalda i motori. Si trasformerà in un partito, con il presidente della Ferrari candidato premier? «Forse», dicono i ben informati. È ormai chiaro che l’ex presidente di Confindustria sia pronto alla sua personale “discesa in campo”. Il gruppo di seguaci è variegato, ma formato da facce già viste. E il suo progetto potrebbe non essere quello di proporsi come leader di un partito – o di una coalizione – che lo porti a Palazzo Chigi. Bensì, fare da garante a quel “patto di legislatura” che il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini continua a chiedere con insistenza.

TRA FINI E CASINI – A destra? O a sinistra? Meglio al centro. Tra Fini e Casini. Anche se tutti e tre gli schieramenti (meglio: alcune parti di essi) vogliono accaparrarsi «the uncrowned king of Italy», come lo ha definito pochi mesi fa il Wall Street Journal. C’è chi, però, lo ha fatto capire in maniera netta. «Io e Luca diciamo cose simili, ci sentiremo e ci incontreremo in vista della costituente di centrodestra. Se son rose fioriranno», ha annunciato poco meno di quindici giorni fa Gianfranco Fini da Pietrasanta, dove si è svolta la convention di Futuro e Libertà. Che, ha tenuto a precisare il presidente della Camera, «non è un partito – perché i partiti finiscono per diventare nomenclatura –, ma un atto d’amore per l’Italia, nato dalla ribellione a Berlusconi». Per Fini la realtà appare però a tinte fosche. Oscurato da Casini, l’ex leader di Alleanza nazionale si è trovato nuovamente schiacciato sotto il peso di una figura forte com’è oggi il numero uno dell’Udc. Meglio studiare una exit strategy dal Terzo polo, aprendo a tutte quelle forze (politiche o meno che siano, visto che Italia Futura è ancora un think tank) per risollevare le sorti di una creatura che rischia di essere dimenticata in malo modo dalla storia della politica italiana. Montezemolo, per ora, resta a guardare. Anche perché, malgrado il direttore di Italia Futura Andrea Romano abbia dichiarato che «Casini e Montezemolo sono come l’acqua con l’olio, impossibili da amalgamare» (l’Unità, 23 agosto 2011), è proprio quel «governo di unità nazionale» chiesto a gran voce da Casini ad ingolosire il presidente della Ferrari. Infatti, proseguendo per altri cinque anni con la formula del ”tutti insieme appassionatamente”, in Parlamento Montezemolo potrebbe dare vita al progetto di quel «fronte liberale e democratico» di cui Carlo Calenda, Andrea Romano e Nicola Rossi (ex senatore del Pd ora nel gruppo misto, e “mente economica” della fondazione) hanno parlato in un recente articolo pubblicato sul sito di Italia Futura. La scorsa estate, quando il governo Berlusconi varò la manovra “lacrime e sangue”, lo stesso Rossi fu il relatore di un manifesto in dieci punti con cui Italia Futura chiedeva la dismissione del patrimonio mobiliare e immobiliare dello Stato e degli enti locali, l’abolizione delle Province e delle pensioni di anzianità, l’introduzione di un unico contratto di lavoro e la possibilità di licenziamenti per motivi organizzativi ed economici, più una serie di liberalizzazioni in settori strategici quali i servizi pubblici locali e il trasporto ferroviario regionale (Montezemolo è anche numero uno di Ntv, Nuovo Trasporto Viaggiatori). Un programma che ricalca in parte quello del governo Monti: un segno di continuità evidente, dunque. E molti interpreti, anche se il presidente del Consiglio deciderà – come ha più volte dichiarato – di non voler guidare un nuovo esecutivo, potrebbero essere gli stessi.

PASSERA E SQUINZI – A cominciare dal superministro Corrado Passera, il cui nome è stato addirittura indicato per il dopo-Monti. Che l’ex amministratore delegato di Intesa Sanpaolo sia entrato in politica per restarci è ormai acclarato. Così come il fatto che i suoi rapporti con lo stesso Montezemolo siano floridi. Il 20 per cento di Ntv, infatti, è in mano all’istituto di credito per cui Passera ha lavorato fino a pochi mesi fa. Percentuale posseduta grazie alla Imi investimenti (società del gruppo che opera nel settore dell’equity investment), mentre il 33,5 per cento è detenuto complessivamente da Montezemolo, Diego Della Valle e Gianni Punzo. C’è di più: Intesa Sanpaolo è la banca che ha prestato più fideiussioni e garanzie alla società ferroviaria: un valore nominale di 51 milioni di euro su un totale di 85. Una salda amicizia, insomma. Poi c’è la questione Confindustria. Lo scorso 22 marzo Giorgio Squinzi, patron di Mapei, è stato nominato nuovo numero uno di Viale dell’Astronomia. Una scelta che ha deluso Montezemolo, che aveva puntato tutto sull’altro candidato, Alberto Bombassei, e che ha decretato la vittoria di Emma Marcegaglia, primo sponsor di Squinzi. Più vicino alle politiche della Fiat, il presidente di Brembo avrebbe addirittura permesso un rientro del gruppo automobilistico torinese in Confindustria – o almeno così aveva ipotizzato l’ad Sergio Marchionne –, dopo l’uscita del primo gennaio scorso. Una sconfitta che non dovrebbe comunque frenare le aspirazioni di Montezemolo.

LE PROSPETTIVE – Nel frattempo Italia Futura lavora alla sua espansione. Le sedi regionali sono già presenti in Basilicata, Liguria, Puglia, Marche, Toscana e Veneto, ultima in ordine di tempo ad essere inaugurata, il 3 marzo scorso. E nei distaccamenti è facile trovare esponenti del mondo dell’imprenditoria e della stessa politica. In Toscana, prima di essere nominato coordinatore nazionale, c’era Federico Vecchioni, già presidente di Confagricoltura e attualmente a capo di Agriventure (gruppo Intesa); nelle Marche la numero uno è Maria Paola Merloni (Pd), ministro ombra per le Politiche Comunitarie, mentre in Liguria c’è il proprietario della tv regionale Primocanale Maurizio Rossi. Ma un certo appeal Montezemolo lo suscita anche negli altri schieramenti politici: gli ormai noti “scajolani” sembrano pronti ad abbracciare le sue idee. Chi il matrimonio lo ha già celebrato è Giustina Destro, una delle dissidenti del Pdl, che in un’intervista al quotidiano il Riformista, datata 12 novembre 2011, ha assicurato che «Montezemolo guiderà il nuovo centrodestra». E le critiche? Ci sono anche quelle. L’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari, che una volta conclusa la sua esperienza col Pd aveva pensato di sottoscrivere il nuovo progetto, ha fatto sapere di non aver mai compreso appieno le intenzioni dell’ex leader degli industriali. «Speravo desse risposte, non è successo», ha dichiarato il filosofo. Il sentore è che queste arrivino presto. Molto prima di quanto immagini lo stesso Cacciari.