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Archive for agosto, 2017

Vitalizi, 5 bufale che sarebbe bello non sentire più

domenica, agosto 27th, 2017

Vitalizi-1Sui vitalizi, uno dei privilegi più odiosi di cui gode ancora la nostra classe politica, si è detto e scritto di tutto. Così, proprio mentre la proposta di legge Richetti approvata il 26 luglio 2017 in prima lettura dalla Camera sembra destinata a finire su un binario morto, complice l’ostruzionismo dello stesso Pd, qualcuno continua a fare affermazioni un tantino strampalate, per usare un eufemismo. Ecco quindi una lista di 5 bufale (che da adesso in poi sarebbe bello non sentire più).  

Prima bugia: i vitalizi sono “diritti acquisiti”. In un post pubblicato sul suo sito Internet il 10 novembre 2014 Pietro Ichino (Pd) ha spiegato perché questa affermazione, ripetuta continuamente da ex parlamentari e consiglieri regionali preoccupati dal possibile taglio dei loro assegni, non corrisponde al vero. Per il giuslavorista, infatti, questo argomento «non ha alcun fondamento, né legislativo ordinario, né tanto meno di rango costituzionale». Tuttalpiù, ha chiarito ancora Ichino, possono essere considerate «oggetto di “diritto acquisito” solo le rate di vitalizio già percepite (se legittimamente percepite)».

Seconda bugia: serve una legge per abolire i vitalizi. A differenza delle pensioni dei “comuni mortali”, i vitalizi non sono “regolati” da leggi dello Stato. Sono materia parlamentare. Ecco perché non serve una norma, che le Camere dovrebbero discutere ed eventualmente approvare, per modificare lo status quo. Basta che gli Uffici di Presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama si riuniscano, come avvenuto in recenti occasioni (la riforma entrata in vigore il 1° gennaio 2012 e la “delibera Sereni” del 22 marzo 2017), decidendo il da farsi. Sull’argomento il 21 giugno scorso è intervenuto Giuseppe Tesauro, presidente emerito della Corte Costituzionale. «Occorre chiedersi, in particolare, se lo strumento della legge ordinaria (…) sia quello giusto e sia costituzionalmente consentito. (…) Nel quadro di un sistema delle fonti del diritto articolato in base ai criteri di gerarchia e di competenza, i regolamenti parlamentari sono abilitati dalla Costituzione a sostituirsi, nella disciplina di determinate materie ad essi riservate, alla stessa legge formale. (…) Di conseguenza, una legge non può intervenire in materie di competenza dei regolamenti», ha annotato Tesauro sul Mattino, «perché altrimenti verrebbe violata l’indipendenza costituzionale garantita a ciascuna Camera. (…) In sostanza, nessuna altra fonte primaria potrà disciplinare o modificare materie coperte da riserva di regolamento parlamentare, nemmeno temporaneamente. Anche perché la legge è il risultato di un’attività bicamerale, la cui adozione si traduce sempre nell’interferenza di un ramo del Parlamento nell’autonomia dell’altro; interferenza che, con riguardo ad una materia già disciplinata tramite regolamento (quale quella dei vitalizi), solleva più di un dubbio».  

Terza bugia: i vitalizi non esistono più. Mica tanto. Per il calcolo della pensione degli Onorevoli non c’è più il vantaggioso sistema retributivo, sostituito da quello contributivo grazie alla già citata riforma del 1° gennaio 2012. Però, e qui sta il nocciolo della questione, la suddetta riforma non ha minimamente sfiorato tutti quelli che hanno maturato l’assegno prima della sua entrata in vigore (col retributivo, appunto). Così, ancora nel 2016, i vitalizi incidevano sui bilanci di Camera e Senato per un totale di 218 milioni di euro. Più di 18 milioni al mese. Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, lo ha definito «un sistema insostenibile» visto che «negli ultimi 40 anni la spesa è stata sempre più alta dei contributi». L’economista ha calcolato che il passaggio al contributivo per tutti porterebbe le Camere a risparmiare 76 milioni all’anno (760 milioni nei prossimi 10 anni).

Quarta bugia: il ricalcolo contributivo dei vitalizi spiana la strada a quello di tutte le prestazioni pensionistiche in essere. Lo ha sostenuto, fra gli altri, anche Rosaria Capacchione (Pd). Che evidentemente, pur essendo una (brava) giornalista, non ha letto attentamente il testo della pdl Richetti, approvata il 26 luglio dall’Aula della Camera, o i giornali. L’articolo 12 comma 5 stabilisce infatti che «in considerazione della difformità tra la natura e il regime giuridico dei vitalizi e dei trattamenti pensionistici, comunque denominati, dei titolari di cariche elettive e quelli dei trattamenti pensionistici ordinari, la rideterminazione di cui al presente articolo non può in alcun caso essere applicata alle pensioni in essere e future dei lavoratori dipendenti e autonomi».

Quinta bugia: al vitalizio non si può rinunciare. E dove sta scritto? Non sono tanti i casi di ex parlamentari o consiglieri regionali che hanno rifiutato l’assegno. Ma ci sono. Qualche nome? Enrico Endrich (ex parlamentare del MSI) e Luciano Benetton (ex senatore del PRI) ma anche gli ex consiglieri di Emilia-Romagna e Piemonte, Matteo Richetti e Mariano Rabino, oggi deputati di Pd e Ala-Scelta Civica. Insomma, volere è potere.

La Casta non molla un euro

venerdì, agosto 11th, 2017

ROME 1991, GIULIO ANDREOTTIMolti diranno che è il solito, pretestuoso attacco alla Casta. Ce ne faremo una ragione. Perché leggere che a fine anno barbieri, elettricisti e ragionieri di Camera e Senato torneranno ai fasti di un tempo, arrivando a guadagnare, come nel caso dei consiglieri parlamentari (358mila euro l’anno), più di Mattarella o della Merkel provoca un certo senso di smarrimento oltreché di fastidio. Soprattutto se si calcola che il reddito medio dichiarato dagli italiani è di 20.690 euro l’anno.

Com’è stato possibile? Semplice: le delibere degli Uffici di presidenza delle due Camere che facevano “dimagrire” certe buste paga, datate 2014 (dopo che era scattata la soglia di 240mila euro per i compensi dei dirigenti di Stato), sono state impugnate e un anno dopo la Commissione giurisdizionale e il collegio d’appello si sono pronunciati dichiarando che i tagli erano legittimi ma dovevano essere temporanei: solo tre anni. A meno di una proroga, che sarebbe più “spintanea” che spontanea visto che è stata la stampa a ritirare fuori l’argomento. E che oltretutto pare esclusa.

Lorsignori, insomma, possono tornare a dormire sereni. Noi un po’ meno.

Twitter: @GiorgioVelardi

Editoriale pubblicato l’11 agosto 2017 su La Notizia

Renzi ha poco da festeggiare: “Il Jobs Act funziona male”. La bordata del professore Tiraboschi al Governo

mercoledì, agosto 2nd, 2017

Matteo_RenziPer dirla col gergo renziano, a leggere i dati sul lavoro diffusi ieri dall’Istat c’è poco da stare sereni. La pensa così anche Michele Tiraboschi, docente di Economia all’università di Modena e Reggio Emilia e presidente di Adapt, il centro studi sul lavoro fondato da Marco Biagi. “Una politica seria – spiega Tiraboschi – non può esultare per un tasso di disoccupazione in doppia cifra (11,1%) e ancor meno se si confronta col resto d’Europa”.

Eppure professore è quello che sta succedendo…
Se chi festeggia, invece di provare a difendere se stesso, leggesse con spirito critico questi dati avrebbe poco di cui gioire. L’Italia è fanalino di coda in Europa: la Germania ha un tasso di disoccupazione del 3,8%, il Regno Unito del 4,4. Il nostro 11,1% è un’enormità. Il resto è retorica. Sarebbe bello se dopo tre anni di Jobs Act anche chi l’ha voluto capisse cos’è che non funziona adottando dei correttivi.

Proviamo a guardare il bicchiere mezzo pieno: a giugno il tasso di occupazione femminile ha raggiunge il 48,8%. Buona notizia, non crede?
Sì, ma pure in questo caso bisogna fare attenzione ai facili trionfalismi. La vera notizia, leggendo quel dato, è che in Italia una donna su due in età di lavoro non ha un impiego. Nel Mezzogiorno è anche peggio: lavora solo una donna su tre. E le altre due? In questo senso, siamo di gran lunga il Paese peggiore d’Europa. La realtà è che in questi anni è stato fatto troppo poco per favorire l’occupazione femminile, soprattutto in termini qualitativi. È una grandissima emergenza che va presa di petto.

Lei poc’anzi parlava di correttivi da apportare al Jobs Act. Eppure ieri la sottosegretaria Boschi se n’è uscita domandando se qualcuno può ancora negarne il successo…
Credo che da parte della Boschi, ma non solo, ci sia una scarsa capacità di fare autocritica. L’obiettivo del Jobs Act non era quello di aumentare i posti di lavoro, ma di aumentare i posti di lavoro stabili sfruttando fra l’altro l’abolizione dell’art. 18. Invece i dati diffusi dall’Istat ci dicono che dal 1992 ad oggi non abbiamo mai avuto così tanti contratti a termine…

Cos’è che secondo lei proprio non ha funzionato?
Non si vedono le nuove politiche attive. Non è partito il contratto di ricollocazione: dopo tre anni siamo ancora fermi a una sperimentazione per 30.000 persone quando i disoccupati sono oltre 3 milioni. Sono dati oggettivi che confermano come il Jobs Act non stia funzionando nella parte ricostruttiva, oltre la demolizione del vecchio art. 18. Leggendo gli ultimi dati Istat c’è chi dice che qualcosa si muove, ma in realtà si tratta di un arretramento se guardiamo al miglioramento sostanziale che registrano tutti i nostri principali competitor europei.

Al di là del tasso di disoccupazione, l’altra grande questione (se prendiamo per esempio la situazione tedesca o britannica) è quella relativa al tasso di occupazione.
Proprio così. Nei Paesi del Nord Europa il tasso è dell’80% mentre da noi è fermo al 57. Troppo poco.

Qual è la ricetta per invertire la rotta?
Bisognerebbe dire “basta” alla politica del bonus ‘usa e getta’ abbattendo il costo del lavoro e investendo sulle competenze. In Germania ma non solo funziona benissimo uno strumento, l’apprendistato, che garantisce un’interazione fra scuola e mercato del lavoro. Noi invece siamo il Paese dei tirocini a 300 euro. E poi, come dicevo, andrebbero sviluppate politiche attive e di ricollocazione. Il piano Lavoro 4.0 annunciato da noi pochi giorni fa in Germania c’è da tre anni: un gap notevole.

È più un problema di volontà o di incapacità politica?
Direi sicuramente la seconda. In questi tre anni sono state distrutte le vecchie tutele senza costruire le nuove. Renzi, che è riuscito lì dove Berlusconi si era dovuto arrendere, ha messo in un angolo i corpi intermedi pensando di poter fare da solo a colpi di tweet. Una visione totalmente miope.

Articolo scritto il 1° agosto 2017 per La Notizia