Ore 21.41 di sabato sera. Dopo l’approvazione della legge di stabilità Silvio Berlusconi rassegna le dimissioni e lascia la Presidenza del Consiglio. Davanti a Palazzo Chigi e al Quirinale parte la festa. Trenini, caroselli, champagne e pure qualche monetina, nel ricordo del 1993, di Bettino Craxi e dell’Hotel Raphael.
«Abbiamo vinto, ora siamo tutti più liberi!», gridavano alcuni manifestanti. E visto che il titolo era fatto qualche giornale, domenica mattina, ne ha ripreso il concetto e pure le parole mettendole in prima pagina. La fine del Berlusconi IV era necessaria, va detto a chiare lettere e senza giri di parole. Ma sabato l’Italia non ha vinto: al contrario, ha perso sonoramente. Perchè la sconfitta di un Governo è la sconfitta di un paese, così come quella del Cavaliere coincide con quella degli italiani (principalmente coloro che lo hanno scelto). Italiani indebitati fino all’osso, che non ce la fanno ad arrivare alla seconda settimana; ma anche pensionati, giovani e donne che ancora oggi nel mondo del lavoro vivono una condizione di secondarietà rispetto ai colleghi uomini. Ora, però, il problema è un altro: è stato fatto l’errore più grande che si potesse fare. Perchè ridare credibilità all’Italia con un Governo tecnico non era la strada da intraprendere in questo momento. Primo perchè affidare le redini del gioco ad un Primo ministro e ad una squadra di super professori con lauree nelle migliori università del mondo è la via più anti-democratica che si possa immaginare (il popolo sovrano non ha diritto di scelta). Secondo perchè la crisi di Governo si era latentemente aperta da diversi mesi, quindi i partiti avrebbero (ma qui il condizionale è d’obbligo) dovuto poter mettere in piedi una campagna elettorale in tempi rapidissimi.
Ciò non è accaduto per i soliti giochi di potere – e di poltrona – che da sempre contraddistinguono la politica italiana. Ora tocca a Mario Monti. E, anche in questo caso, sono apertamente scettico. A leggere il curriculum del professore viene da fargli un applauso: Commissario Europeo, prima Rettore e poi Presidente dell’Università Bocconi di Milano, tante pubblicazioni di alto spessore. Ma ci sono quelle tre voci – Goldman Sachs, Bilderberg Group e Trilateral Commission – che fanno tremare i polsi. Perchè si ha come il sentore di essere finiti in mano ad un tecnocrate messo lì ad arte dai burattinai scaltri dell’economia e della finanza per mandare in scena il loro spettacolino anche in Italia. Pochi giorni fa il comico Maurizio Crozza, nel corso del suo spettacolo Italialand, parlando di Monti ha utilizzato il termine «cetriolo». Espressione ad alto valore simbolico, molto probabilmente consona alla situazione.
Quello che colpisce poi di tutta questa strana situazione è la fretta con cui sono state approvate le misure che dovrebbero salvarci dal default e ridarci carburante per la ripartenza. Non ricordo, a memoria storica, il varo di una legge di stabilità in tre giorni. Così come non ho mai visto deputati e senatori lavorare di sabato. Quando si vuole si può, dunque. Peccato che siano più le volte in cui non si vuole che quelle in cui ci si rechi alle Camere anche nei giorni in cui non è necessario. Monti riporterà davvero stabilità sui mercati? Dalle prime impressioni pare di no: lo spread, che lunedì mattina era sceso fino a toccare i 437 punti base, in giornata è clamorosamente risalito fino a toccare quota 490. E la Borsa cede oltre 2 punti percentuali. Motivo di questo rollercoaster sono (anche) le consultazioni a cui il Presidente del Consiglio incaricato ha dato il via questa mattina. Le voci che si susseguono dicono che Monti vorrebbe anche esponenti politici nel suo Esecutivo («Rappresentanza politica ai massimi livelli», precisano i ben informati). Allora, a ben vedere, non si tratterebbe di un Governo tecnico, ma di un Governo politico. Quindi, domanda: non erano meglio le elezioni? E il programma? «È quello indicato nella lettera della Bce», ha frettolosamente tagliato corto qualcuno. Siamo sicuri? Si parla di reintroduzione dell’Ici (il segretario della Cgil Camusso ha già espresso parere contrario), di una patrimoniale e dell’anticipo al 2020 dell’innalzamente dell’età pensionabile a 67 anni. Snodi cruciali, certo, ma non tutti presenti nella missiva firmati Draghi-Trichet.
«Ci saranno molti sacrifici da fare», ha detto il neo premier. Peccato che gli italiani, Presidente, ne facciano già abbastanza. Cominciate voi – riducendovi lo stipendio, tagliando i vitalizi, rinunciando alle auto blu -, noi vi seguiamo. Avete la nostra parola.