Nel suo ultimo libro, I dilettanti, Pino Pisicchio, ex sottosegretario dei governi Ciampi e Amato, oggi presidente del Gruppo Misto alla Camera, li definisce «i transumanti». Ma c’è anche chi, spregiativamente, li chiama «voltagabbana» o «trasformisti». Etichette a parte, quello dei parlamentari che decidono di cambiare casacca è un fenomeno che, nell’arco delle diciassette legislature, ha registrato notevoli tassi di crescita. Quella attualmente in corso, addirittura, ha già fatto segnare il record di deputati e senatori passati da uno schieramento all’altro: 210, 103 a Montecitorio e 107 a Palazzo Madama. Numeri monstre, se si considera che mancano ancora tre anni alla conclusione naturale del quinquennio e che, fra il 2008 e il 2013 – periodo segnato dalla “staffetta” a Palazzo Chigi tra Silvio Berlusconi e Mario Monti –, gli inquilini del Parlamento che si sono spostati dal gruppo di appartenenza iniziale sono stati 179 (121 alla Camera e 58 al Senato).
C’era una volta la fedeltà. Si tratta di un modus operandi quasi del tutto sconosciuto nella Prima Repubblica, il periodo storico compreso, in Italia, fra il 1948 il 1994. Dice Pisicchio: «Il controllo esercitato dagli elettori con il voto di preferenza e la forte tenuta dei partiti riuscivano a scoraggiare i cambi di casacca. O a renderli inutili: le articolazioni interne dei partiti, le correnti, l’impianto democratico che ne reggeva la dialettica sulla base del principio proporzionalistico, e, infine, le forti barriere ideologiche che demarcavano le appartenenze, rappresentavano elementi di contenimento e di dissuasione più che sufficienti. Semplicemente – conclude – non facevano sorgere il bisogno di mobilità parlamentare». Non è dunque un caso se, nel corso delle prime undici legislature, alla Camera il numero dei deputati appartenenti al Gruppo Misto (nel quale vengono inseriti coloro che non sono iscritti a nessun’altra componente) abbia oscillato fra le 8 e le 24 unità.
E poi arriva Tangentopoli. Se nelle ultime due legislature della Prima Repubblica la percentuale di «transumanti» era quindi compresa fra il 4% e il 6%, con l’avvento della Seconda il trend è notevolmente cambiato. Perciò “Tangentopoli” (1992) non ha solo spazzato via un’intera classe politica, ma ha segnato un passaggio fondamentale sul fronte della democrazia interna ai partiti. Con la «discesa in campo» di Silvio Berlusconi e la vittoria di Forza Italia alle elezioni del ’94, in Italia nasce un nuovo fenomeno: il partito personale. Scrive Mauro Calise nel libro Il partito personale: «La differenza principale consiste nel fatto che l’apparato collegiale, di tipo organizzativo e ideologico, con il quale operavano i partiti della Prima Repubblica è stato, in gran parte, smantellato e sostituito con un apparato personale. I partiti stanno diventando macchine personali al servizio di questo o quel leader politico. È un fenomeno trasversale, che riguarda destra e sinistra».
Via alla transumanza. Perciò a cominciare dalla XII Legislatura, che pure ha avuto durata breve, appena due anni, per via della caduta del governo guidato proprio da Berlusconi (poi sostituito da un esecutivo tecnico con a capo Lamberto Dini), il fenomeno dei cambi di casacca è diventato una prassi consolidata. Fra il 1994 e il ’96 il 19,24% dei parlamentari sono passati da un gruppo all’altro. Percentuali in crescita se prendiamo in esame la Legislatura successiva (1996-2001). In questo caso, il 21,16% di deputati e senatori ha deciso di “traslocare”. Solo alla Camera, in quegli anni, il Misto ha registrato una considerevole impennata nel numero dei propri aderenti: 94, il 15% dell’intera rappresentanza. Certo, in molti ricordano quanto scritto nella nostra Costituzione all’art. 67, secondo il quale «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Eppure ciò non è sufficiente a spiegare la complessità del fenomeno.
Cambi e ricambi. Basti pensare, ricordando le parole di Calise, a quanto è accaduto nella XVI Legislatura. Dove la “guerra” interna al centrodestra, che pure alle elezioni del 2008 aveva ottenuto ottimi risultati – solo alla Camera, grazie al “Porcellum”, la coalizione con a capo Berlusconi poteva contare su 336 deputati contro i 246 del centrosinistra –, ha portato alla scissione del Popolo della Libertà (Pdl) e alla formazione di Futuro e Libertà per l’Italia (Fli). Un partito guidato dal numero uno di Montecitorio ed ex leader di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, nato dopo il durissimo scontro andato in scena il 22 aprile 2010 alla direzione nazionale del Pdl. «O fai l’uomo politico o il presidente della Camera», disse Berlusconi a Fini. «Sennò che fai, mi cacci?», rispose lui. La rottura, insanabile, ha visto l’uscita dal Pdl di 70 deputati e 27 senatori. Stretto fra un congiuntura economica sfavorevole e il pressing delle opposizioni, a novembre 2011 Berlusconi ha rassegnato le dimissioni.
Espulsioni e mal di pancia. Come detto, comunque, è la legislatura attualmente in corso ad aver fatto registrare il record assoluto dei cambi di casacca: oltre 10 al mese. Anche stavolta i motivi sono disparati. C’è stata, ad esempio, l’ennesima scissione nel centrodestra: l’implosione del Pdl ha visto il ritorno in vita di Forza Italia, con Berlusconi ancora alla guida, e la nascita del Nuovo centrodestra capitanato da Angelino Alfano. Senza dimenticare la recente creazione, al Senato, del gruppo Conservatori e Riformisti che fa riferimento a Raffaele Fitto. Che dire, poi, dell’arrivo sulla scena del Movimento 5 Stelle? Fra espulsioni e abbandoni, la formazione di Beppe Grillo ha già perso 35 parlamentari. Alcuni dei quali transitati in altri gruppi a parte il Misto. Dopo l’avvento di Matteo Renzi, invece, il Pd si pone come «partito pigliatutto» accogliendo 24 nuovi deputati e senatori. Perdendo, però, uno dei leader della minoranza: Giuseppe Civati. E non è detto che sia finita qui.
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