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Silvio, perché temi le primarie? – da “Il Punto” del 27/07/2012

lunedì, luglio 30th, 2012

Primarie sì, primarie no. Primarie forse. Nel Pdl che sta ancora digerendo la nuova “discesa in campo” di Berlusconi, c’è chi chiede a gran voce che la scelta del candidato premier avvenga attraverso la consultazione degli elettori. «Noi siamo per farle a tutti i livelli, ma nel momento in cui Berlusconi si candida si possono serenamente evitare», ha dichiarato il segretario Angelino Alfano. Proprio lui, che sembrava ormai essere diventato a tutti gli effetti il leader giovane e capace del partito: quello che dialoga con Monti, Bersani e Casini. Colui che avrebbe dovuto riporre nel cassetto l’immagine sbiadita del Cavaliere, provato dall’ultima legislatura finita come ben sappiamo, e ridare anima e corpo al Pdl. Ora però il consiglio che viene dato agli eventuali sfidanti è quello di fare un passo indietro: il rischio è di finire schiacciati sotto il peso (politico) dell’ex premier. Analizzando lo scenario, sorge però spontanea una domanda: siamo sicuri che le cose stiano davvero così? L’elettorato del Pdl è realmente convinto che senza Berlusconi il partito sia destinato all’ecatombe? Ecco, forse è arrivato il momento di scoprirlo. Non è un caso che sia la fronda degli ex An – quella che, agli occhi dei più, sembra ormai prossima all’epurazione – a fare quadrato affinché le primarie si svolgano lo stesso: da Gianni Alemanno a Giorgia Meloni, passando per Andrea Augello e Franco Frattini. Quest’ultimo, dicono i ben informati, pare abbia posto al centro del suo impegno politico la costruzione della famigerata «casa dei moderati». Ad oggi impossibile, vista la chiusura del leader dell’Udc Casini dovuta proprio al nuovo corso aperto dal Cavaliere. Certo, il blocco dei discendenti del Movimento sociale non è del tutto compatto. Basti pensare a quanto dichiarato dall’ex ministro Altero Matteoli (leggi l’intervista a pag. 24), da sempre contrario a questo meccanismo che considera «come una fuga dei partiti dalle proprie responsabilità». Convinti che le primarie siano un passaggio necessario sono anche i “formattatori”. I quali, appresa la notizia che Berlusconi avrebbe abbandonato il ruolo di “padre nobile” del Pdl, si sono subito affrettati a dargli il benvenuto fra i candidati al volere popolare. Loro non l’hanno presa per niente bene. Anche perché, hanno fatto sapere, «al di là dall’essere “antiche” o “obsolete”, (le primarie) sono state approvate dall’ufficio di presidenza appositamente convocato lo scorso 8 giugno, il cui documento finale è stato sottoscritto da tutti i dirigenti di partito presenti all’incontro. Hanno già smacchiato la loro firma dal documento?». In questo senso dovrebbe essere proprio Berlusconi a dare un segnale, convocando le primarie e dimostrando a tutti che è ancora lui il leader, senza «se» e senza «ma», della sua creatura. Quella a cui – sempre per singola volontà – ha dato vita in una fredda domenica d’inverno del 2007 a piazza San Babila, con il famoso annuncio del “Predellino”. Il cerchio si è chiuso e, come il gioco dell’oca, si è tornati al punto di partenza. Ma se errare è umano, perseverare è diabolico. Dunque Silvio si muova in questa direzione. O ha paura di uscire sconfitto?

Twitter: @GiorgioVelardi

Minetti affaire, vuoi vedere che finisce così?

mercoledì, luglio 18th, 2012

Ha ragione l’ex ministro Giancarlo Galan quando, parlando delle dimissioni di Nicole Minetti, dice che «l’errore è stato candidarla», e che «la caccia alle streghe è una roba medievale». Perché mentre il Paese è con un piede nella fossa, la Sicilia rischia di essere «la nostra Grecia», il debito pubblico, la disoccupazione e il tasso di povertà aumentano, noi stiamo qui a domandarci: «Ma che fa la Nicole, lascia o no?». No, non lascia. E la richiesta avanzata per alzarsi una volta per tutta dalla poltrona che impropriamente occupa fa capire davvero qual è il senso di questo affaire: il denaro.

Per coloro che avessero perso il passaggio, pare infatti che nel face to face avuto pochi giorni fa con il (suo) Cavaliere, l’ex ballerina di “Colorado Cafè” – e igienista dentale – abbia chiesto un milione di euro cash per fare le valigie e sbolognare una volta per tutte. Roba da film dalla trama con i controfiocchi. Perché i partiti sono sì diventati delle aziende – o delle associazioni a delinquere, ma sono punti di vista –, ma una circostanza del genere (a memoria storica) non si ricorda.

Non solo. Perché la richiesta avanzata dalla consigliera regionale lombarda è anche quella di un contratto vitalizio con Mediaset. Di fatto: un ricatto. La Minetti dice al Pdl (e quindi a Berlusconi): «Non parlo per il bene di tutti e del partito». Tradotto: «Se “canto” il Popolo della Libertà esplode, quindi o cedete alle mie richieste oppure non sarò la sola a dover rassegnare le dimissioni». Attenzione, perché c’è anche un’altra opzione: ovvero che la bella Nicole lasci il partito fondato nel 2007 con l’annuncio del Predellino, ma che alla fine rimanga comunque in Regione. Una soluzione che non piace per niente a Berlusconi che, dopo il suo “ritorno in campo”, è impegnato come non mai nella fase di epurazione delle facce scomode e dei dissidenti.

La sensazione è comunque quella di essere solo all’inizio. Non mi stupirei di ritrovare la Minetti sulla copertina di qualche giornale di proprietà (diretta o indiretta) della famiglia Berlusconi, pronta a raccontare la «sua» verità e a far saltare qualche testa. Del resto, Nicole dovrà ricordare per sempre che senza il Cavaliere, oggi, non sarebbe dov’è. E allora quale occasione migliore di questa per usarla e fare un po’ di “ripulisti”? La cifra richiesta, alla fine, è nulla visto il conto in banca dell’ex premier. Vuoi vedere che finisce così?

Twitter: @GiorgioVelardi

Caro Pd, attento a Grillo! – da “Il Punto” del 13/07/2012

mercoledì, luglio 18th, 2012

”La gioiosa macchina da guerra” è tornata di colpo un’espressione attuale. Accostata al Partito democratico, che i sondaggi vedono in vantaggio in vista delle elezioni del 2013. Una battuta scherzosa che fu coniata da Achille Occhetto, ultimo segretario del Partito Comunista Italiano e protagonista della “svolta” che portò alla nascita del Pds. Un colloquio, quello intercorso con uno dei principali attori della storia della sinistra italiana, che gli ha permesso di ragionare sul passato e di fare ipotesi sul futuro. Del centrosinistra, ma anche e soprattutto dell’Italia.

Onorevole, se “la gioiosa macchina da guerra” da lei guidata – e di cui recentemente ha negato l’esistenza: «Non c’è mai stata» – non ha superato i crash test, quella con a bordo Pier Luigi Bersani dovrebbe viaggiare spedita. Così non è. Cosa non va nel Pd?
«Il problema del Partito democratico risiede nel suo atto di origine. Si è dato vita ad una semplice fusione a freddo fra apparati, mentre bisognava partire da una costituente programmatica che determinasse una vera e propria contaminazione ideale e politica fra le diverse tradizioni: quella comunista, socialista, del Partito d’Azione e cattolica di sinistra, da cui è animata la società italiana. Soprattutto, andava e va ancora oggi superato il pregiudizio secondo il quale per definirsi liberal bisogna essere moderati: a mio avviso si può essere liberal e al tempo stesso radicali, nel senso alto del termine. Bisogna cioè andare nella direzione del mutamento dell’attuale modello di sviluppo e della finanziarizzazione dell’economia italiana ed europea, sostenendo con forza la costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Uno dei punti cardine del programma della “svolta”, di cui non si è tenuto conto. Per fortuna, quando c’è una situazione di crisi, le idee giuste che vengono irrise ritornano a galla».

In molti hanno sottolineato l’esistenza di analogie fra il 1994 e il 2012. Lei invece le ha rigettate: perché?
«Credo che accomunare quanto accaduto diciotto anni fa con ciò che sta succedendo oggi sia una vera e propria idiozia. Nel 1994 eravamo alla fine della prima fase della storia della Repubblica: una situazione segnata dalla grave crisi dei partiti tradizionali, scomparsi sotto la mannaia di Mani pulite. Berlusconi riuscì, grazie ad un inganno mediatico, a presentarsi come “l’uomo nuovo” per il Paese, una figura che non aveva niente a che vedere con il passato. Ciò – come ben sappiamo – non era vero, perché il Cavaliere era figlio dei finanziamenti di Craxi. Il ’94 fu l’inizio di un arco storico che abbiamo definito “Berlusconismo”, che portò delle novità di tipo “dinamico”. Oggi siamo alla fine di questo arco, ma ci troviamo anche di fronte ad una prospettiva diversa, vuota. Credo quindi che coloro che facciano un paragone di questo tipo sbaglino, mettendo a confronto la notte con il giorno».

Casini ha aperto ad un’alleanza fra progressisti e moderati, Vendola ha chiesto che venga ricreato un centrosinistra forte che non escluda Di Pietro. Lei, che sostiene il governatore della Puglia, crede che alla fine si arriverà ad un punto di incontro oppure si darà vita ad una doppia alleanza – Pd e Udc contro Idv e Sel – che rischierebbe di provocare l’ennesima sconfitta?
«Le geometrie fatte a tavolino non tengono conto degli umori della società italiana. In questo Paese è in corso un distacco profondo dalla politica ufficiale, un malcontento che cresce e che rischia di andare esclusivamente nella direzione del voto di protesta. Il vero problema oggi non è quello di anteporre il gioco delle alleanze a tutto il resto, ma di concentrarsi sui programmi, di dire sulla base di quale progetto si vuole correre insieme. In uno scenario come quello che si sta disegnando ultimamente – cioè un centrosinistra dove ci sia solo il centro e non la sinistra – verrebbero a mancare valore e peso; la vera questione è far venir fuori dall’arco del centrosinistra idee capaci di intercettare il disagio e le aspirazioni del popolo italiano».

Parlava di «malcontento che cresce e che rischia di andare esclusivamente nella direzione del voto di protesta». Il pensiero corre a Beppe Grillo. Crede che ci sia la reale possibilità di veder trionfare il Movimento 5 Stelle alle prossime elezioni?
«Qualora non ci fosse un atteggiamento come quello che ho descritto poc’anzi, il Movimento di Beppe Grillo potrebbe fare del male, intercettando il malcontento popolare.Si potrebbe creare una situazione in cui Pdl e Pd perdano voti rispetto alla popolazione, ma i democratici riuscirebbero comunque ad ottenere una vittoria “fragile”. In una situazione come quella attuale, in cui sono necessarie grandi scelte, Grillo potrebbe creare seri problemi a chi governa ».

«Consiglio a Bersani di mettere insieme tre o quattro idee forti attorno a cui chiamare a raccolta tutto il popolo del centrosinistra », ha detto lei. Se fosse il leader dei democrat, da dove partirebbe?
«Prima di tutto bisognerebbe essere in campo, io non lo sono più da tempo. Però, a mio avviso, bisognerebbe spiegare bene agli italiani il tema del rigore. Mi viene in mente Berlinguer, che fu il primo a parlare di austerità ma rimase inascoltato. Collegati a ciò ci sono altri due elementi: l’equità e la redistribuzione della ricchezza. In Europa e nel mondo abbiamo un aumento spaventoso della concentrazione della ricchezza in pochissime mani: si parla addirittura di trecento famiglie che possiedono più di tutto il resto della popolazione mondiale. L’altra faccia della medaglia è un aumento delle condizioni di povertà. Un reale mutamento del modello di sviluppo deve necessariamente passare attraverso l’amalgama di questi due elementi, uscendo dalla dittatura finanziaria delle banche».

Del Pd appare poco chiaro un aspetto: il partito aveva la possibilità di vincere le elezioni dopo la caduta di Berlusconi, ma ha scelto di appoggiare l’esecutivo tecnico di Monti. Lei come ha interpretato questa decisione?
«L’errore è stato commesso un anno prima, quando c’era la possibilità di sferrare il colpo finale e far cadere Berlusconi. Invece si è tergiversato, e in poco tempo siamo rimasti vittima di questo “folletto malizioso” che si chiama spread. Vincendo in quel momento si sarebbero potuti affrontare per tempo i problemi della crisi finanziaria. Nel momento in cui, pochi mesi fa, il Cavaliere ha rassegnato le dimissioni, non so neanche io cosa si potesse fare. Ci sono stati due/tre giorni di terrore, il ricorso a Monti era in quel momento necessario. Ciò che mi lascia perplessoè il fatto che dopo una prima fase di tamponamento si sia andati avanti con un ulteriore tamponamento: in questo modo l’organismo deperisce. Si sta continuando a scaricare sui “soliti noti” ciò che non va».

Massimo D’Alema ha parlato di Monti come di «un liberale con posizioni compatibili con il nostro orizzonte programmatico». Da chi ha alle spalle una storia come la sua, parole del genere sono suonate leggermente stonate. Crede che l’ex Commissario europeo possa essere il presidente del Consiglio ideale anche per la prossima legislatura?
«Evidentemente D’Alema conosce il vero orizzonte programmatico del Pd, cosa che sfugge ai più. Da quanto mi risulta ce ne sono almeno tre o quattro. L’eventuale rielezione di Monti non si può scindere dalla valutazione dei processi sul campo. Se andiamo avanti con l’attuale situazione di malcontento andremo incontro a forti tensioni sociali che renderanno difficile la sua ricollocazione al governo. Arriveremo ad un punto in cui la scelta tra un’ipotesi organica di centrosinistra – con una vera prospettiva di rinnovamento programmatico – ed il centrodestra diventerà inevitabile»

Matteo Renzi chiede la “rottamazione” dell’establishment del Partito Democratico: da Veltroni a Rosy Bindi, da Enrico Letta a D’Alema. Crede che quella del sindaco di Firenze sia una proposta a cui dare seguito?
«Ritengo che Renzi abbia ragione a proporre il mutamento di una classe politica che è lì da sempre e che non si smuove, qualsiasi cosa faccia. Il torto risiede però nel fatto di porre la questione soltanto in termini anagrafici. Lui più volte ha detto che “Tizio, Caio e Sempronio hanno fatto bene”, ma che “data l’età devono andarsene”. Io l’ho anticipato, mi sono “rottamato” molto prima. A parte ciò, credo che Renzi faccia meglio a dire dove si è sbagliato, e in quale direzione si deve andare. C’è un’altra cosa che non mi convince di lui: apprezzo che sia un liberal, ma ciò non vuol dire coniugare questa idea solo con il moderatismo. È possibile – e la tradizione italiana lo dimostra con i Salvemini, i Gobetti, i fratelli Rosselli – coniugare come ho detto prima la visione liberal con quella radical, di mutamento effettivo del modello sviluppo. E in questo senso, a differenza di Renzi, non si può stare con Marchionne».

Crede che Renzi abbia sbagliato partito?
«Ci sono due considerazioni da fare: Renzi ha sbagliato partito e il partito ha sbagliato se stesso, perché non è riuscito in quello che doveva essere il capolavoro di un partito democratico. Ovvero far sì che uomini onesti provenienti dalla tradizione cattolica potessero convivere in una sintesi più alta con quella socialista».

Berlusconi ieri e oggi. C’è chi consiglia al Cavaliere di fare «il padre nobile» del centrodestra, ma lui sembra non voler sentir parlare di pensionamento politico. Si aspetta l’ennesimo colpo di teatro, una nuova “discesa in campo” magari dopo aver ripulito il partito dai dissidenti?
«Berlusconi è un leone in gabbia che cerca il pertugio dal quale poter uscire. È ovvio che pensi ad un colpo di teatro. Bisogna però capire se lui aspiri a fare “il padre nobile” del Pdl – il che è legittimo – oppure stia cercando lo slancio per ritornare in sella come in passato. In questo senso, credo che la sua sia solo un’illusione».

Dove, a suo avviso, il Cavaliere ha fallito?
«Berlusconi ha commesso tre errori. Il primo: ha pensato di governare unendo forze eterogenee, una con vocazione nazionalista, l’altra scissionista; il secondo: i conflitti di interesse e le vicende private hanno preso il sopravvento su tutto il resto; quest’ultimo aspetto porta alla terza considerazione: la “repubblica dei cittadini” è stata sovrastata dagli interessi personali e di partito. Insomma, è stato tutto il contrario di tutto, cioè di quanto lui ha promesso nel 1994».

In un quadro come quello che abbiamo finora analizzato ci sono importanti riforme istituzionali da fare. Lo stallo sulla legge elettorale è imbarazzante: lei per quale tipo di sistema opterebbe?
«Se vengono messe avanti questioni che in questi pochi mesi non si possono realizzare, temo che si rischi di lasciare immutata la situazione, in cui c’è una vergogna che si chiama “Porcellum” che non permette ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti. Io dico che sarebbe più opportuno fare “meno ma meglio”: la necessità è quella di mettersi d’accordo per abolire l’attuale sistema. Se si guarda in prospettiva, invece, ritengo che il doppio turno alla francese sia la soluzione migliore».

Twitter: @GiorgioVelardi

Terremoto a orologeria – da “Il Punto” del 13/04/2012

lunedì, aprile 23rd, 2012

Lo scorso 24 febbraio, a “Il Punto”, l’ex ministro Galan aveva dichiarato di essere favorevole ad una «separazione consensuale» fra ex An e Forza Italia. Tutto tacque. Poi un mese dopo arriva l’intervista a “Il Giornale” in cui ribadisce il concetto, e il partito va nel caos. Mentre al suo interno c’è chi afferma che l’unità ritrovata sia in realtà una “tregua armata” in vista delle amministrative

«Per quanto mi riguarda, sono assolutamente favorevole ad una “separazione consensuale” con gli ex An e ad un ritorno a Forza Italia. Perché diciamocelo con sincerità: nei quattro anni del Predellino non ci siamo amalgamati. Secondo, e lo dico con amicizia nei confronti degli ex An, ci guadagneremmo entrambi in termini di voti». Così parlò Giancarlo Galan più di un mese fa. Sul numero de Il Punto del 24 febbraio, infatti, l’ex ministro di Agricoltura e Beni culturali manifestò la sua propensione ad un ritorno alla fase di progettazione. «Dov’è finita l’idea di partito innovatore e diverso che dicevamo di voler essere?», si domandò. Il colloquio è stato ignorato. Ma poi, esattamente trentasette giorni dopo, Galan rilascia un’intervista a Il Giornale. E dice: «Alle elezioni amministrative qualche esperimento qua e là lo si poteva anche fare. Una separazione consensuale. Con gli ex An dico che ci conviene, andremmo meglio divisi, restando in una federazione ma separati. La fusione tra An e Forza Italia non è riuscita». Scoppia il putiferio. Il vulcanico Ignazio La Russa invita il collega «a farsi un partito con Fini», Berlusconi convoca un vertice a Palazzo Grazioli e chiede ai suoi di stare uniti. Sorrisi e strette di mano all’uscita, ma c’è chi – presente alla riunione – rivela a Il Punto: «La tendenza è quella di tenere “sopita” questa spaccatura. È un’unità ritrovata in funzione delle prossime amministrative. Difficoltà ce ne sono: anche il tema della riforma della legge elettorale sarà un gran bel problema. Per fortuna non sono volati i coltelli, anzi Galan è stato pure applaudito nel corso del suo intervento. Certo, non da tutti» (facile capire chi abbia tenuto le mani saldamente incollate al tavolo). Quindi l’armistizio paventato dai pezzi da novanta del partito dopo l’incontro del 3 aprile scorso appare in realtà come una “tregua armata” per evitare che il partito si sfaldi a meno di un mese dall’appuntamento con le urne. Anche perché i temi sul tavolo di Angelino Alfano sono molteplici: dalle elezioni alla riforma della legge elettorale e del mercato del lavoro, dal proliferare di liste civiche con la dicitura «Forza» alla sospensione (che culminerà con l’espulsione?) dei 14 fra assessori e consiglieri regionali che a Verona hanno appoggiato la ricandidatura del leghista Flavio Tosi.

UN RITORNO DI «FORZA» – La prima è stata «Forza Lecco», nata in casa dell’ex ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla. Poi, a seguire, sono arrivate anche «Forza Verona», «Forza Veneto» e «Forza Toscana». Ma di liste civiche come quelle appena sciorinate ne spuntano ormai ogni giorno (altre sono ancora in fase embrionale in altre città d’Italia). E dietro queste manovre – fanno sapere da ambienti interni al Pdl – c’è il benestare di Berlusconi. Tranne a Verona (se ne parlerà più avanti). A Lecco la corrente nata in opposizione al ruolo degli ex An nel partito ha ricevuto la benedizione nientemeno che dell’ex titolare della Funzione pubblica Renato Brunetta. A ribadirlo anche una nota diffusa dal coordinamento locale: «Brunetta, verso il quale proviamo profonda stima e ammirazione per l’eccezionale lavoro svolto alla guida del ministero, ha sottolineato la positività nella nascita della nostra associazione, indicandoci come “un laboratorio arrivato alle cronache nazionali, che è il benvenuto”». Analogo il discorso per «Forza Veneto», «un’area culturale nata per riportare nel Pdl il genuino spirito di Silvio Berlusconi», come ha dichiarato uno dei promotori dell’iniziativa, Alessandro Zanon. Anche qui, manco a dirlo, il motivo che ha portato alla nascita della nuova creatura sono le tensioni con gli eredi dell’Msi, che qualcuno – tranchant – chiama «ex fascisti». Espressione diversa, ma motivazioni identiche, hanno portato in Friuli-Venezia Giulia alla nascita di «Popolo di Gorizia». Una lista venuta alla luce in cambio della promessa della Lega Nord di appoggiare la rielezione del sindaco uscente, Ettore Romoli (Pdl). E che dire di Como? Alle primarie del partito vince Laura Bordoli (An più Comunione e Liberazione), con i laici che non digeriscono il risultato e tuonano: «I fascisti rimangono fascisti, se non ti uniformi a questa banda prendi i manganelli in testa». La partita è ancora aperta, malgrado la mediazione di La Russa e Verdini. Senza dimenticare i casi che riguardano Monza, Imperia e il Trentino Alto Adige, dove si sono formate addirittura due compagini («Forza Trentino» e «Forza Alto Adige», entrambe su spinta della berlusconiana Micaela Biancofiore). Infine c’è chi, come Isabella Bertolini, dopo aver tirato su «Forza Emilia Romagna» ha dichiarato a L’Opinione delle Libertà: «Bisogna chiedersi perché tantissimi di quelli che nel 1994 hanno votato Forza Italia l’anno prossimo avranno seri problemi a barrare il simbolo del Popolo della Libertà». Già, perché?

CASI LIMITE – Sono quelli di Verona e de L’Aquila. Nel capoluogo veneto, dopo un batti e ribatti durato mesi, si è andati incontro ad uno scenario che ha dell’incredibile. La nascita di «Forza Verona», formata da una cospicua fetta di amministratori Pdl uscenti che hanno deciso di appoggiare la ricandidatura del sindaco leghista Flavio Tosi – e non di Luigi Castelletti, scelto dal partito –, ha visto l’intervento diretto di Alfano, che ha sospeso i 14 “dissidenti”. Maroni non ha gradito la presa di posizione del segretario, tanto da etichettare il suo come «un atteggiamento da vecchio democristiano. Se sono traditori non puoi solo sospenderli, mi sembra una mezza misura che non capisco», ha aggiunto l’ex ministro dell’Interno. Dello stesso avviso anche Tosi: «Alfano non poteva fare di meno, non voleva fare di più». Poi c’è L’Aquila. E anche qui sono dolori. Perché il governatore della Regione, Gianni Chiodi, ha fatto da “padrino politico” al candidato sindaco dell’Mpa Giorgio De Matteis (attuale vicepresidente del consiglio regionale), uno che è riuscito nell’impresa di mettere insieme parti di Udc, Casa Pound e i Verdi. Scelta che però non viaggiava sulla stessa lunghezza d’onda di Alfano e Cicchitto, che hanno preferito Pierluigi Properzi (docente universitario), provocando una spaccatura evidente negli elettori di centrodestra di una città che vive ancora con i fasti del terremoto del 6 aprile 2009 negli occhi e nel cuore.

PERICOLO RIFORME – Quella del mercato del lavoro, prima di tutto. Ma anche le modifiche alla Costituzione e una nuova legge elettorale che cancelli il (mica tanto odiato) “Porcellum”. La paura che circola nelle stanze di via dell’Umiltà è quella che, in caso di tonfo alle amministrative, un’eventuale nuova diaspora lasci terreno fertile ai progetti del centrosinistra (che pure non se la passa tanto meglio) in tema di riforme. Ecco perché Alfano, dal palco di Taormina, ha fatto intendere che il nuovo mercato del lavoro va progettato e costruito prima di maggio. Perché quello che succederà dopo è ancora tutto da capire. Berlusconi ha parlato di una «nuova cosa» da presentare a margine della tornata elettorale – di che si tratti ancora non è dato sapere –, stoppando i malumori nati sul tema del nuovo sistema di voto dichiarando che il modello migliore «è un proporzionale alla tedesca, perché consente di correre da soli e di indicare il leader». Rendersi conto che nel Pdl ci sia bisogno di rinnovamento è come scoprire l’acqua calda. Nei sondaggi il partito oscilla fra il 20 e il 24 per cento, recuperando terreno dopo la caduta verticale dei mesi scorsi. Ma non basta. Perché quanto auspicato da Alfano nel giorno del suo insediamento come segretario («il partito degli onesti» e «la casa dei moderati») ha un cammino ancora lungo da percorrere. Ecco perché l’Udc e la “nuova” Lega di Maroni sono osservati speciali. E chissà che alla fine la «nuova cosa» non metta d’accordo tutti.

Twitter: @GiorgioVelardi

La “legge bavaglio”? La fece già il centrosinistra, ma fanno tutti finta di non ricordare

lunedì, ottobre 10th, 2011

Faccio una premessa: sono contrario alla cosiddetta “legge bavaglio” e ad una classe politica (tutta, da destra a sinistra) che non riesce a risollevare le sorti di questo paese. Ma è proprio di un provvedimento che in questi giorni si sta discutendo con così tanto fermento – facessero le riforme, invece – nelle aule parlamentari che vi voglio parlare: il ddl sulle intercettazioni.

Più o meno sapete già di cosa si tratta, ma la vera novità è arrivata qualche giorno fa, quando l’onorevole Maurizio Paniz (Pdl) ha dichiarato durante un’intervista a Radio 24: «Il giornalista che pubblica ciò che non può pubblicare dovrebbe subire una sanzione pensale. Il carcere magari è un percorso più lungo. Che ne so, ci vorrebbe una sanzione da 15 giorni a un anno, poi il giudice graduerà a seconda della violazione, vedrà se sono possibili riti alternativi, pene pecuniarie o multe o – ribadisce Paniz – se il giornalista debba andare in carcere. Cosa che è tutto sommato molto rara nel nostro ordinamento per questa tipologia di situazione». È il mondo al contrario: la Camera è impantanata a votare l’autorizzazione o meno all’arresto (nell’ordine) di Papa, Tedesco, Milanese e Romano – tutti tranquillamente a spasso, tranne Papa che è a Poggioreale – e i giornalisti che fanno il loro mestiere, cioè informare, rischiano di finire dietro le sbarre.

Ma c’è di più, perchè l’ipocrisia della nostra classe politica non ha mai fine. Oggi i partiti di opposizione – tutti, nessuno escluso – si stracciano le vesti per protestare contro quello che dicono essere un «attacco alla democrazia». Ma quanti di voi sanno che il 17 aprile 2007 l’allora governo di centro-sinistra propose un ddl sulle intercettazioni a firma del ministro della Giustizia in carica Clemente Mastella con le stesse caratteristiche di quello attuale? Vi dò i numeri della votazione alla Camera: 447 sì e 7 astenuti. Neanche un deputato contrario. Uno, che ne so, che sbagliò a premere il pulsante durante la votazione. Niente. Ergo: hanno votato tutti in maniera compatta, dal Pdl al Pd, dall’Italia dei Valori (non c’era Antonio Di Pietro, ma il portavoce Donadi entusiasta affermò: «L’unanimità è un segno della forza del Parlamento») a Rifondazione comunista, che in quella legislatura sedeva – eccome – in Parlamento.

Pensate, votò a favore pure Giulia Bongiorno, diventata – dopo Manuela Arcuri, prima di scoprire la magagna – nuova eroina dell’opposizione. Vi cito qualche altro nome di politici con scarsa memoria, diciamo così: Carmelo Briguglio, Benedetto Della Vedova e Flavia Perina (oggi tutti portabandiera di Fli), Lorenzo Cesa e Luca Volontè (Udc) e persino Dario Franceschini (che martedì scorso ha detto: «Faremo di tutto per opporci a questa porcheria») e Massimo D’Alema, che arrivò addirittura a minacciare: «Parlate di 3-5mila euro di multa… ma li dobbiamo chiudere quei giornali». Il ddl non fu mai votato al Senato per la fine anticipata della legislatura. Democratici, eh?

Lega Nord, tutto pronto per Pontida

sabato, giugno 18th, 2011

Fra il pollice verso di Bossi, e il volto tirato di Maroni, il popolo della Lega Nord si radunerà domani a Pontida. Un periodo difficile per le migliaia di camicie verdi, che vedono il loro partito sempre più schiacciato da un alleato inconcludente e, agli occhi dell’opinione pubblica, ormai screditato.

Parlerà solo Bossi, e questa è già una notizia. Come a dire: le voci dei dissidenti presenti all’interno del partito (vedi governatore del Veneto Zaia, che ha votato 4 “Sì” ai referendum) non devono gettare altra benzina su un fuoco già ben acceso. Molto probabilmente si consumerà uno strappo con l’alleato di sempre, quel Berlusconi che fino a ieri si professava tranquillo ma che, in cuor suo, sa già di avere i giorni contati. Se Calderoli ha parlato di “sberle” (riferendosi alle due sconfitte subite alle amministrative e ai referendum), Bossi e Maroni sono molto più delusi dal mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati con il Pdl nel 2008. I 7 punti del programma di governo sono rimasti solo ed esclusivamente sulla carta: niente federalismo, quindi, niente aiuto alle famiglie e ai giovani, niente riforma fiscale e niente aiuti per il Sud (questo forse ai leghisti interessa meno). Niente di niente. Ecco quindi che l’elettorato dei lumbard mugugna e, appena ne ha il modo, fa capire alla nomenclatura la sua stanchezza. Se ai referendum è andato a votare il 20%  dei sostenitori del Popolo della Libertà, i leghisti accorsi alle urne hanno toccato quota 50% (uno su due), dato che avrà fatto sobbalzare sulla sedia Bossi, il quale aveva invitato tutti a rimanere a casa. Non dimentichiamoci poi la perdita di Milano, dopo diciotto anni di governo di centro-destra, vista la vittoria di Pisapia alle amministrative.

La Lega chiede riforme, un taglio netto per le spese delle missioni in cui i nostri soldati sono impegnati (specialmente quella in Libia), più “cattiveria” sulla questione sbarchi clandestini, e il federalismo. Ma siamo fuori tempo massimo, come già ampiamente sottolineato da alcuni illustri analisti. In tre anni di governo si poteva (e si doveva) fare molto, ma non si è fatto praticamente nulla. Tremonti potrebbe essere la soluzione per un governo tecnico utile a fare la riforma fiscale e cambiare la legge elettorale, ma gli attriti con Maroni delle ultime settimane fanno pensare che anche l’inquilino di Via XX Settembre sia arrivato ai ferri corti con l’establishment leghista. Cisl e Uil hanno avvisato il Governo (“Giù le tasse, oppure si va al voto“), mente l’agenzia Moody’s ha fatto sapere che potrebbe tagliare il rating ai titoli di Stato. Domani, dalle parole di Bossi, ne sapremo sicuramente di più. E chissà che stavolta la sberla, quella vera, non la dia proprio l’”amico” Umberto a Silvio in persona.

Viagra, Cialis e Levitra gratis!

venerdì, maggio 6th, 2011

Se pensate che il processo breve, la legge sulle intercettazioni telefoniche e la nomina dei nuovi sottosegretari siano inseriti in maniera totalmente sbagliata nell’agenda politica italiana, forse non avete letto questa notizia.

Giovedì 6 maggio, con un’interpellanza parlamentare classificata come “urgente“, 37 deputati di Pdl, Iniziativa Responsabile e Fli hanno chiesto al ministro della Salute di dare gratis il Viagra, il Cialis e il Levitra a chi ha avuto il cancro alla prostata (si fa riferimento solo a chi ha subito l’asportazione della prostata in seguito a un carcinoma). La richiesta nasce da un problema: per questi farmaci “è necessario un piano terapeutico del medico specialista e la loro rimborsabilità deve essere concordata insieme all’azienda titolare del medicinale“. Fin qui, direte voi, tutto bene. Anzi, a ben vedere, è anche un gesto nobile.  Poi si vanno a leggere i nomi di quei parlamentari che hanno o hanno avuto questo tipo di problema, e si trova quello del Presidente del Consiglio. Tra i firmatari della richiesta, inoltre, compare anche Umberto Scapagnini, ex sindaco di Catania ed ex medico personale di Berlusconi. Ma è pura malizia, sia chiaro. Per una volta pensiamo che chi ci governa abbia voluto davvero pensare alla collettività.

Il tutto è poi finito in una bolla di sapone. Il sottosegretario alla salute Francesca Martini ha infatti dichiarato: “La prescrizione di sildenafil, tadalafil e vardenafil (ovvero i tre farmaci citati in precedenza, ndr) per via orale a carico del Servizio sanitario nazionale è limitata ai pazienti con disfunzione erettile da danno transitorio o parziale del midollo spinale o del plesso pelvico, secondo un piano terapeutico specialistico“.