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Carceri, problema europeo

martedì, marzo 5th, 2013

Quello della grave condizione dei penitenziari non è un dramma solo italiano. Ecco i dati del primo osservatorio europeo indipendente sulle condizioni di detenzione

Carceri_1_1«La situazione è gravissima, in gioco c’è l’onore dell’Italia». Nel corso della visita nel carcere milanese di San Vittore, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha parlato così della condizione al collasso che caratterizza i nostri penitenziari. Circostanza che fa risultare il nostro Paese maglia nera in Europa, alla luce di un tasso di sovraffollamento che supera il 140%. Il capo dello Stato ha dichiarato che se fosse stato per lui avrebbe firmato l’amnistia «non una ma dieci volte», specificando però che c’è stata «l’assenza delle condizioni politiche». L’Italia non è comunque l’unica Nazione in cui le carceri sono un “problema”. Sfogliando i dati dello European Prison Observatory, il primo osservatorio europeo indipendente sulle condizioni di detenzione sostenuto dalla Ue e coordinato da Antigone (che ha monitorato 8 Stati: Regno Unito, Francia, Spagna, Grecia, Lettonia, Polonia e Portogallo, oltre all’Italia), si scopre una realtà complessa per buona parte dei Paesi del Continente.

FRANCIA E GRECIA - Particolarmente difficile è la situazione di Francia e Grecia. Il Paese attualmente guidato da François Hollande ha assistito ad una drammatica crescita della propria popolazione carceraria, aumentata del 36%rispetto al 2001. Oggi nei penitenziari francesi ci sono 64.787 detenuti, 3.809 in più del 2010. Ma a preoccupare è un altro dato: quello delle morti in carcere, che nel 2012 sono state addirittura 535, il numero più elevato fra tutti gli Stati su cui è stata posta l’attenzione. I progetti di edilizia carceraria degli ultimi anni non sono stati in grado di ridurre il sovraffollamento, pari al 113,2%, creando un maggiore isolamento dei detenuti e comportamenti violenti anche contro il personale di polizia penitenziaria. Basse, invece, sono le percentuali di minori e donne detenute, che si attestano rispettivamente all’1,1 e al 3,4%; il 20% dei carcerati è invece di origine straniera (si tratta di un dato rimasto sostanzialmente stabile fra il 2008 e il 2012). Percentuale che fa ben sperare è invece quella dei detenuti che scontano una condanna definitiva: 88,8%, il che sta a significare un utilizzo tutto sommato contenuto della carcerazione preventiva. Poi, come detto, c’è la Grecia, il cui sistema è caratterizzato da condizioni di vita estremamente degradate. La popolazione carceraria ellenica è composta da 12.479 persone, con una percentuale spropositata di detenuti stranieri: 63,2% (nel 2008 era del 48,3%). Dopo l’Italia, inoltre, la Grecia è il Paese con il più alto tasso di sovraffollamento, pari al 136,5%, in crescita rispetto al 2010 quando era diminuito fino a toccare quota 123. A questi problemi, dice l’osservatorio nella sua analisi, se ne aggiungono altri due: la carenza di personale e l’abuso della carcerazione preventiva, a cui su unisce una cospicua presenza di detenuti accusati o condannati per crimini legati alla droga. Con il suo 4,7%, infine, la Grecia è la Nazione con la più alta percentuale di minori dietro le sbarre.

SPAGNA E REGNO UNITO - Anche in Spagna i numeri non fanno dormire sonni tranquilli. La popolazione carceraria è composta da 69.037 persone, -4.892 rispetto a due anni fa. Oltre all’elevato tasso di sovraffollamento, 98,7%, a caratterizzare il sistema spagnolo è la grave situazione relativa all’assistenza sanitaria. Secondo quanto afferma lo European Prison Observatory, a seguito della crisi economica l’amministrazione penitenziaria spagnola ha ridotto le prestazioni mediche, accadimento che ha prodotto la carenza di cure specialistiche con particolare riferimento alla salute mentale dei detenuti. Come la Francia, anche la Spagna presenta una percentuale elevata di reclusi che scontano una condanna definitiva: 81,9% (l’Italia è ferma invece al 58,8%).Alta, se messa a confronto con gli altri 8 Stati, è la percentuale di donne nei penitenziari: 7,6%. Spostandosi in Regno Unito la situazione è pressoché la stessa. Negli ultimi vent’anni si è assistito ad una crescita esponenziale della popolazione detenuta, oggi formata da 95.161 soggetti (+10.436 rispetto al 2010). Il sovraffollamento è pari al 108%; i minori detenuti sono appena l’1,9%, anche se nel Regno Unito, dove l’età della responsabilità penale è particolarmente bassa, coloro che hanno commesso reati e hanno meno di 18 anni sono affidati ad apposite istituzioni indirizzate alla rieducazione. A fare da contraltare a numeri non certo esaltanti c’è l’esplosione dell’uso di misure non detentive e di altre forme di pena, che rendono la Gran Bretagna uno dei Paesi maggiormente attenti in questo ambito insieme a Francia e Spagna.

GLI ALTRI PAESI - A chiudere il quadro ci sono PoloniaLettonia e Portogallo. In quest’ultimo caso, malgrado un tasso di criminalità relativamente basso se messo a confronto con gli altri Paesi europei, il numero di detenuti è cresciuto in fretta negli ultimi anni, fino ad attestarsi a 13.490 persone (2012), il 18,40% delle quali di origine straniera. Al tasso praticamente nullo di minori dietro le sbarre (0,6%) fanno da contraltare il numero di detenuti morti in carcere nell’ultimo anno (211) e il dato che riguarda il sovraffollamento: 111%. La Polonia avrebbe invece bisogno di una riforma più radicale del proprio sistema penitenziario, sottolinea l’osservatorio. I fattori dominanti sono la mancanza di lavoro e di cure mediche adeguate per i detenuti, nonché il mancato adeguamento delle strutture carcerarie – in cui sono rinchiusi 85.419 detenuti, con un tasso di sovraffollamento del 99,7%– agli standard europei. La Lettonia, infine, con i suoi 300 detenuti ogni 100mila abitanti presenta il tasso più alto di carcerazione fra i Paesi dell’osservatorio e uno dei più alti dell’intera Unione europea. Quali sono le cause principali che hanno portato ad una situazione ai limiti della sostenibilità? «Uno dei motivi scatenanti sta nel fatto che negli ultimi anni la minorità sociale è stata drasticamente affidata ai sistemi punitivi », afferma a Il Punto Mauro Palma, ex presidente del Comitato contro la tortura del Consiglio d’Europa e presidente onorario di Antigone. Una seconda causa, prosegue, è che «in sistemi democratici avanzati, che prevedono competizioni elettorali abbastanza frequenti e che sono caratterizzati da insicurezza sociale, il consenso è stato fondato sull’assecondare la mai appagata richiesta di sicurezza individuale quale surrogato della mancata sicurezza sociale, quindi sul proporre sempre più carcere». A ciò si unisce «un taglio a livello europeo di risorse ai sistemi di protezione sociale, con conseguente riflesso sul sistema detentivo, nonché una diversa dislocazione delle stesse risorse esistenti. Se si spendono più soldi per costruire strutture detentive piuttosto che utilizzarli per creare nuovi luoghi di accoglienza esterna si fa una scelta politica». Infine c’è quella che il presidente onorario di Antigone definisce «la categoria dell’indistinto », ovvero il mettere “tutti con tutti”, che porta in carcere con pene alte persone con profili delittuosi del tutto diversi. «Questa mancata distinzione è evidente per particolari tipi di reati, come quelli che riguardano l’uso di sostanze stupefacenti. Occorre quindi un’opera ampia di “depurazione” del sistema per garantire condizioni maggiormente dignitose per tutti, detenuti e non», conclude Palma.

Twitter: @mercantenotizie

Sarkò e Berlusconi leader a confronto – da “Il Punto” del 7/12/2012

martedì, dicembre 11th, 2012

Due esperienze che «non possono essere considerate delle parentesi nella storia politica dell’Italia e della Francia». Sono quelle di Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy, che Sofia Ventura, politologa e docente presso l’Università di Bologna, ha messo a confronto ne Il racconto del capo (Editori Laterza, 18 euro, pp. 176).

Professoressa, cosa accomuna «una storia francese» e «una storia italiana», ossia Sarkozy e Berlusconi?

«La comparazione si basa sul fatto che tutti e due sono stati percepiti come animali politici “strani”, provocando una reazione quasi violenta da parte delle élite politico-culturali di Francia e Italia. Entrambi hanno rotto con alcune convenzioni, Berlusconi in maniera molto più dirompente per due motivi: il primo riguarda il sistema politico che lo ha preceduto, basato sulla centralità della Dc; il secondo fa riferimento ad un linguaggio in codice e poco chiaro al grande pubblico che lui ha modificato contrapponendone un altro che nelle grandi democrazie era già utilizzato. Anche Sarkozy ha adottato uno stile più diretto e colloquiale, utilizzando intensivamente la televisione e sfruttando la sua capacità di fare notizia. In Francia, però, la rottura è stata meno forte perché la modernizzazione della comunicazione politica è iniziata già negli Anni ’60».

Sia l’ex presidente francese che l’ex premier italiano rappresentano una politica di stampo personalistico fondata sul «corpo del leader». A suo avviso siamo giunti alla fine di una simile visione della cosa pubblica?

«No, perché certe tendenze sono difficili da fermare, anche se – vista la situazione in cui versano le democrazie europee – si può tornare ad una condizione di maggiore sobrietà. La personalizzazione è entrata nel modo di concepire la politica. Un esempio sono le primarie del centrosinistra. Il confronto fra Bersani e Renzi andato in onda mercoledì scorso ha messo di fronte due figure che incarnano altrettante visioni: quella più “collettiva” del segretario, che stigmatizza sempre l’idea di un “uomo solo al comando” ma che ha scelto tre giovani da opporre all’avversario in maniera autonoma, e quella del sindaco di Firenze, più coerente con una nuova concezione della leadership. Bersani fa un racconto della sua concezione della politica che non corrisponde a quanto accade nella realtà, anche dentro al Pd».

Quanto il sindaco di Firenze ha innovato la politica, soprattutto a livello comunicativo?

«Premesso che l’innovatore “principe” è stato Berlusconi, se pur con dei grandi limiti, Renzi ha avuto il coraggio di utilizzare all’interno del centrosinistra nuove forme di comunicazione. Questa specie di show che in questi mesi ha portato in giro per l’Italia, parlando come i candidati americani, gli ha permesso di costruire un linguaggio – a volte troppo semplificato – che ha il merito di rivolgersi prima di tutto ai cittadini».

Torniamo a Sarkozy e Berlusconi. Ha senso, secondo lei, la nascita di una nuova formazione guidata dal Cavaliere?

«Sarkozy, che ha 57 anni, ha ancora le capacità per unire il centrodestra francese. La stessa cosa non si può dire di Berlusconi. Anche se facesse una propria lista il Cavaliere potrebbe raccogliere una percentuale di voti compresa fra il 5 e l’8%, ma non avrebbe più alcuna capacità di aggregazione. La sua creatura avrebbe solo un carattere folkloristico, visto che sono in molti quelli che nel Pdl non tollerano più i suoi atteggiamenti. L’ultimo momento importante della sua carriera è stato quello del “Predellino”, dopodiché la disastrosa esperienza di governo ne ha messo a nudo i limiti. Ora l’obiettivo sembra essere quello di sopravvivere. È la fine triste di un leader, che sembrava dovesse cambiare l’Italia e ora chiede un minimo di spazio».

Twitter: @mercantenotizie

Stipendi dei parlamentari, facciamo un po’ di chiarezza

martedì, dicembre 13th, 2011

Faccio una doverosa premessa: chi scrive non apprezza – forse non lo ha mai fatto, da quando segue la politica – i nostri parlamentari. Persone (troppo) spesso “prestate” alla politica, che se glielo vai a chiedere non sanno neanche cosa sia lo spread o il Pil, e non ci vuole una laurea in Economia alla tanto apprezzata “Bocconi” per saperlo.

Ma in questi ultimi giorni sta tenendo banco in maniera pesante e pressante la questione legata allo stipendio dei parlamentari. Che non si chiama stipendio – ci hanno insegnato pure questo – ma “indennità“. Perchè fa più scena, sembra pure qualcosa di negativo, tanto perchè lavorando un solo giorno alla settimana e guadagnando certe cifre ci deve essere qualcosa che non va.

Attenzione, però, al populismo e al qualunquismo. Qualcuno mi ha accusato – a ragione, me ne rendo conto – di essere anche io populista e qualunquista, in taluni casi. Ma su certe questioni va fatta chiarezza, altrimenti si rischia la tanto paventata “macelleria sociale”. Allora, diciamolo: i parlamentari italiani non guadagnano più dei loro colleghi europei. Anzi. Andando a guardare i numeri i francesi, gli inglesi e i tedeschi prendono qualcosina in più. Un nostro servitore dello Stato percepisce infatti 5.486,58 euro al mese, contro i 5.677 dei deputati francesi, i 6.350 degli inglesi e i 7.668 dei tedeschi. Un parlamentare europeo ne prende invece 7.807,12 (lordi). Le cifre da capogiro che i nostri parlamentari ricevono derivano dai benefit, che si chiamano – altra scoperta – “diaria” e contributo per il “Rapporto eletto-elettori”. «E che so?». Qui viene il bello. Nel primo caso si tratta di un rimborso spese di soggiorno a Roma: 3.503,11 euro concessi (o così dovrebbe essere) a tutti coloro che si spostano per venire nella Capitale. E dove sta l’inghippo? Che la diaria la prendono tutti, anche quelli che a Roma ci sono nati, cresciuti e stabiliti. I «romani de Roma», insomma. Poi c’è l’altro contributo. «N’artro?». Eh sì, ahinoi. Si tratta di 4.190 euro che il deputato Tizio o il senatore Caio usano per pagare gli eventi politici e la/e segretaria/e. A cui poi vanno aggiunti 3.000 euro annui per le spese telefoniche e i trasferimenti da e per l’aeroporto. In totale fanno 11.703,65 euro/mese. Più della media europea, stavolta sì. Basterebbe eliminare queste due “piccole” voci. Non è difficile, basta volerlo.

Anche perchè negli altri paesi tutti questi privilegi non esistono. O meglio: anche i parlamentari sopra citati hanno dei benefit, ma gli stessi non sono inseriti in modo “secco” nello stipendio, come accade in Italia. Spero di essere stato chiaro. La situazione è grave, me ne rendo/ce ne rendiamo conto. Ma evitiamo la caccia alle streghe. Periodi “caldi” ne abbiamo già vissuti e, per fortuna, siamo riusciti a metterli in cantina. Non riapriamo quelle scatole, il contenuto non è dei migliori.

Vuoi fare un colloquio di lavoro? Paga 100 euro

giovedì, agosto 11th, 2011

Il mondo è sull’orlo del precipizio. L’America ha rischiato per la prima volta nella sua storia il default, poi come una mazzata fra capo e collo è arrivato il dowgrade di Standard & Poor’s, che ha avuto conseguenze spaventose sui mercati. Anche la Francia (mercoledì si era diffusa la notizia di un possibile declassamento da parte di Moody’s e Fitch, poi smentito) e addirittura la Germania sono a rischio, malgrado le loro economie siano messe meglio – ma non troppo – della nostra. Dal punto di vista interno, ad aggravare la situazione, c’è il fatto che la sterile manovra varata dal Governo ha bisogno quotidianamente di essere monitorata e corretta.

Ebbene, in questo scenario apocalittico c’è chi ha pensato astutamente di disincentivare ragazzi e ragazze che cercano un’occupazione. In che modo? Facendo pagare loro il colloquio di lavoro. Si, avete capito bene: oltre che di spirito d’iniziativa, buona volontà e un vestiario adeguato, dovete presentarvi all’appuntamento con una banconota da 100 euro in mano per poter sostenere il colloquio con il capo d’azienda o con un suo consulente. Poi sta a lui scegliervi o meno (ma intanto i soldi li ha messi in tasca). Quanto appena raccontato accade a Milano, alla Alessandro Proto Consulting, società che opera nel campo della consulenza finanziaria e immobiliare.

«È una scelta strategica per operare una prima scrematura fra i candidati – dice il presidente Alessandro ProtoIn media ricevo 10-15 curriculum al giorno, contatto ragazzi dal profilo brillante ma che scopro poco ambiziosi durante il colloquio, per nulla intraprendenti o addirittura impreparati sulla mission della società». A questo punto ci si domanda quale sia la risposta dei candidati, e Proto risponde: «Positiva, direi: su dieci ragazzi contattati, cinque hanno accettato di pagare il colloquio, e di questi tre sono stati assunti». Quindi, a conti fatti, sono 200 euro guadagnati in modo pulito, senza che poi il candidato sia stato assunto. In conclusione va specificato che, da bravi economisti, vi rilasciano pure la ricevuta: sono davvero persone perbene, non c’è che dire.

Amici come prima

martedì, aprile 26th, 2011

Dopo il vertice bilaterale fra Berlusconi e Sarkozy, Italia e Francia sono tornati ad essere buoni amici. Nelle ultime settimane è successo di tutto, soprattutto sul fronte dell’immigrazione. Ma quando di mezzo ci sono i soldi (tanti) anche le cose più gravi vengono messe da parte, dimenticate.

Già, perchè chi pensa che quello di martedì sia stato solo un vertice per discutere della situazione in Libia e degli sbarchi di immigrati sulle nostre coste, sbaglia di grosso. Di quello si è parlato, per carità, ma alla base c’è altro. Ci sono la scalata di Lactalis su Parmalat, la nomina alla Bce di Mario Draghi e la questione Edison (passata sottotraccia ma comunque esistente).

Andiamo con ordine. Proprio oggi il gruppo agroalimentare francese Lactalis ha lanciato un’offerta pubblica di acquisto per comprare Parmalat (ne detiene già il 29%). “Non considero questa opa ostile“, ha fatto sapere Berlusconi; certo è che una dichiarazione del genere, alla luce di un piano italiano (Intesa San Paolo, Mediobanca e Unicredit) per comprare l’azienda di Collecchio, non è stata il massimo della furbizia.

Capitolo Draghi: l’attuale Governatore della Banca d’Italia, candidato alla guida della Banca centrale europea al posto di Trichet, ha ricevuto il via libera anche (e proprio) da Sarkozy, che ha fatto eco alla cancelliera tedesca Merkel. In ultimo, Edison. Poco meno di un mese fa, il colosso dell’energia francese Edf ha chiesto e ottenuto la rimozione di Umberto Quadrino, amministratore delegato del gruppo, sostituito con Bruno Lescoeur (vicepresidente di Edf). Alla base della richiesta ci sarebbe la volontà dei francesi di scalare la società che opera nel campo della fornitura di energia elettrica e gas metano, e che il Ministero dell’Economia vorrebbe mantenere sotto il controllo italiano (grazie anche all’ingresso di Enel ed Eni). Non dimentichiamoci, infine, di Air France e del suo 22% in Alitalia.

Amici come prima, quindi. Lo impongono le leggi di mercato.

Mi sballo, quindi sono

lunedì, aprile 25th, 2011

Se bevo, fumo e mi drogo sono figo. Se non lo faccio sono fuori dal gruppo, conto meno di zero. E allora perché non partecipare ad un rave party assumendo qualsiasi tipo di droga e bevendo litri di super alcolici? Poi tutti in macchina e, se i Carabinieri ti fermano per un controllo, via con le mazzate fino a mandarli all’ospedale, in pericolo di vita.

Quanto accaduto lunedì mattina a Sorano, provincia di Grosseto, è solo l’ultimo tragico episodio legato al consumo esagerato di droga e alcool che fanno gli adolescenti (e non solo). Ma cosa sono di preciso i rave party?

I rave nascono alla fine degli anni ’80 negli Stati Uniti, in un periodo in cui le lotte politiche e sociali, più la nascita delle cosiddette controculture europee, erano all’ordine del giorno. Da strumento di protesta, negli anni ’90 i rave party mutano, mettendo da parte il lato ideologico per trasformarsi in occasioni in cui bisogna solo ed esclusivamente sballarsi. Si moltiplicano gli appuntamenti: in Francia nascono i “Free party”, a Berlino ecco la “Love parade”, mentre Zurigo ospita la “Street parade” e Bologna la “Street rave parade”. Nessun controllo, niente limiti: bisogna solo recarsi in un capannone abbandonato, una chiesa sconsacrata o un bosco per ballare ore e ore, con la musica a diecimila watt e sotto l’effetto di stupefacenti e bevande alcoliche. In questo contesto i social network hanno un ruolo fondamentale: per aggirare qualsiasi tipo di sospetto, eventi di questo tipo vengono organizzati e pubblicizzati in particolare su Facebook o altri siti di aggregazione.

I dati elaborati anni fa dall’Osservatorio epidemiologico di Bologna sono inquietanti: l’80% di chi partecipa ad un rave si ubriaca almeno una volta a settimana e, su un’età media di 24 anni, tutti usano droghe da otto. Infine, il 50% di coloro che prendono parte a questo tipo di manifestazioni ha avuto problemi precedenti a causa della droga. In Francia, nel 2001, è stato varata la legge Mariani, che vieta l’organizzazione di rave senza l’autorizzazione dei prefetti locali. Nel nostro paese, invece, manca una legislazione ad hoc. Chissà che questa non sia la volta buona, visto che in Italia la regola è: dopo la tragedia arriva il provvedimento.

Eyeballing, l’ultima incredibile frontiera dello sballo

sabato, aprile 23rd, 2011

Al peggio non c’è mai fine, dice un vecchio adagio. E allora ecco scoperta l’ultima moda degli “sballatori” di tutta Europa: si chiama “eyeballing“, e consiste nell’assumere alcolici versandoseli direttamente negli occhi, in modo da farli arrivare nel sangue passando per le mucose (con effetto immediato). Su Internet già impazzano i video di studenti inglesi, tedeschi e francesi (http://www.youtube.com/watch?v=2fYse1oIWV4).

Campo de’ Fiori è invece l’ombelico italiano di questa nuova pratica. Attenzione, però: tale comportamento danneggia gli occhi, portando conseguenze che vanno dal bruciore all’arrossamento fino a lacerazioni e lesioni, tali da rendere necessario il trapianto di cornea.