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Infrazioni europee, Italia ai primi posti in classifica: già versati a Bruxelles oltre 180 milioni di euro di multe

giovedì, luglio 14th, 2016

Tanto ci è costato finora il mancato rispetto delle regole Ue secondo i calcoli di Openpolis. Ottanta milioni spesi solo per il caos riguardante discariche e rifiuti. Altri 53 per gli aiuti di Stato a imprese che non ne avevano diritto. Nell’anno in corso i procedimenti aperti nei confronti del nostro Paese sono 82. Il 18% riguarda la materia ambientale

commissione-675Un andazzo non certo edificante, che finora è costato all’Italia la bellezza di 183 milioni di euro di multe e sanzioni. Parecchi soldi. Che pure il nostro Paese avrebbe potuto risparmiare se solo avesse rispettato le regole. Evidentemente così non è stato tanto che oggi, nonostante un calo certificato, siamo ancora uno degli Stati membri dell’Unione europea con il maggior numero di procedure di infrazione aperte. Sono 82 in totale i casi che attualmente riguardano il Belpaese: 60 per violazione del diritto dell’Unione europea e i restanti 22 per mancato recepimento di direttive. Certo, va meglio se confrontiamo questo dato con quelli che fanno riferimento agli anni scorsi: a fine 2010, per esempio, i procedimenti aperti nei confronti dell’Italia erano 128, scesi a 99 nel 2012 fino a toccare gli 89 nel 2015 e, appunto, gli 82 nei primi sei mesi dell’anno in corso.

COME TE NESSUNO MAI – Ovviamente questo trend al ribasso non basta, considerando soprattutto il fatto che dal 1952 ad oggi, secondo i dati della Corte di giustizia europea elaborati dall’associazione Openpolis, l’Italia è il paese che più spesso è finito davanti alla corte con 642 ricorsi per inadempimenti. Nessuno ha fatto peggio visto che Francia e Grecia, che si piazzano subito dietro di noi staccando Germania e Spagna, si sono fermate rispettivamente a 416 e 400 ricorsi. In totale, quindi, dei 3.828 ricorsi arrivati alla Corte di giustizia europea negli ultimi 63 anni, il 16,77% ha riguardato l’Italia. Nel dettaglio, delle 82 infrazioni che attualmente coinvolgono il nostro Paese, il 18,29% è in materia ambientale mentre un 9,75% riguarda affari interni. Nei primi sei mesi del 2016 le infrazioni aperte sono state 14, tutte ancora nella fase della messa in mora e tutte (tranne due) per mancato recepimento di direttive Ue.

RISPONDERE PREGO – Al calo delle infrazioni fa però da contraltare l’aumento dei casi Eu Pilot nei confronti dell’Italia. Si tratta nello specifico di un sistema lanciato nel 2008 che rappresenta il meccanismo di risoluzione dei problemi di implementazione del diritto dell’Ue e di scambio di informazioni tra la Commissione e gli Stati membri, concepito per la fase antecedente all’apertura formale della procedura di infrazione. Se nel 2012 i casi che ci riguardavano da vicino erano 107, nel 2013 sono aumentati a 122 e nel 2014 hanno raggiunto quota 128. A fine 2015 il nostro risultava essere il Paese più coinvolto con 139 casi sui 1.348 totali (il 10,3%). Gli Stati membri della Ue hanno 70 giorni di tempo per rispondere ai reclami Eu Pilot: in media l’Italia risponde in 78. Solo tre paesi fanno peggio: Danimarca (81), Cipro (93) e Francia (95).

FUORI I SOLDI – Il mancato rispetto delle regole europee, come detto, ci costa parecchio, tanto che fino a questo momento l’Italia ha versato nelle casse di Bruxelles oltre 180 milioni di euro. Ad oggi invece stiamo pagando per quattro procedure d’infrazione. La prima risale al 2003 e riguarda la non corretta applicazione di tre direttive: una sui rifiuti, un’altra sui rifiuti pericolosi e un’altra ancora sulle discariche. In totale, negli anni l’Italia ha pagato solo per questo motivo 79,8 milioni di euro: l’infrazione più dispendiosa per il nostro Paese. Ma ad esserci costata particolarmente cara è stata anche la violazione relativa ai contratti di formazione lavoro. In questo caso è arrivata la condanna per gli aiuti di Stato alle imprese nel periodo compreso fra il 1995 e il 2001 per contratti di formazione lavoro ad alcune categorie di lavoratori che non ne avevano diritto in base alle regole comunitarie. Il conto? Anche stavolta molto salato: 53 milioni di euro. Le ultime due infrazioni sono quelle per il mancato recupero degli aiuti concessi a favore delle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia, 30 milioni, e per l’emergenza rifiuti in Campania, 20 milioni.

(Articolo scritto il 13 luglio 2016 per ilfattoquotidiano.it)

Carceri, problema europeo

martedì, marzo 5th, 2013

Quello della grave condizione dei penitenziari non è un dramma solo italiano. Ecco i dati del primo osservatorio europeo indipendente sulle condizioni di detenzione

Carceri_1_1«La situazione è gravissima, in gioco c’è l’onore dell’Italia». Nel corso della visita nel carcere milanese di San Vittore, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha parlato così della condizione al collasso che caratterizza i nostri penitenziari. Circostanza che fa risultare il nostro Paese maglia nera in Europa, alla luce di un tasso di sovraffollamento che supera il 140%. Il capo dello Stato ha dichiarato che se fosse stato per lui avrebbe firmato l’amnistia «non una ma dieci volte», specificando però che c’è stata «l’assenza delle condizioni politiche». L’Italia non è comunque l’unica Nazione in cui le carceri sono un “problema”. Sfogliando i dati dello European Prison Observatory, il primo osservatorio europeo indipendente sulle condizioni di detenzione sostenuto dalla Ue e coordinato da Antigone (che ha monitorato 8 Stati: Regno Unito, Francia, Spagna, Grecia, Lettonia, Polonia e Portogallo, oltre all’Italia), si scopre una realtà complessa per buona parte dei Paesi del Continente.

FRANCIA E GRECIA - Particolarmente difficile è la situazione di Francia e Grecia. Il Paese attualmente guidato da François Hollande ha assistito ad una drammatica crescita della propria popolazione carceraria, aumentata del 36%rispetto al 2001. Oggi nei penitenziari francesi ci sono 64.787 detenuti, 3.809 in più del 2010. Ma a preoccupare è un altro dato: quello delle morti in carcere, che nel 2012 sono state addirittura 535, il numero più elevato fra tutti gli Stati su cui è stata posta l’attenzione. I progetti di edilizia carceraria degli ultimi anni non sono stati in grado di ridurre il sovraffollamento, pari al 113,2%, creando un maggiore isolamento dei detenuti e comportamenti violenti anche contro il personale di polizia penitenziaria. Basse, invece, sono le percentuali di minori e donne detenute, che si attestano rispettivamente all’1,1 e al 3,4%; il 20% dei carcerati è invece di origine straniera (si tratta di un dato rimasto sostanzialmente stabile fra il 2008 e il 2012). Percentuale che fa ben sperare è invece quella dei detenuti che scontano una condanna definitiva: 88,8%, il che sta a significare un utilizzo tutto sommato contenuto della carcerazione preventiva. Poi, come detto, c’è la Grecia, il cui sistema è caratterizzato da condizioni di vita estremamente degradate. La popolazione carceraria ellenica è composta da 12.479 persone, con una percentuale spropositata di detenuti stranieri: 63,2% (nel 2008 era del 48,3%). Dopo l’Italia, inoltre, la Grecia è il Paese con il più alto tasso di sovraffollamento, pari al 136,5%, in crescita rispetto al 2010 quando era diminuito fino a toccare quota 123. A questi problemi, dice l’osservatorio nella sua analisi, se ne aggiungono altri due: la carenza di personale e l’abuso della carcerazione preventiva, a cui su unisce una cospicua presenza di detenuti accusati o condannati per crimini legati alla droga. Con il suo 4,7%, infine, la Grecia è la Nazione con la più alta percentuale di minori dietro le sbarre.

SPAGNA E REGNO UNITO - Anche in Spagna i numeri non fanno dormire sonni tranquilli. La popolazione carceraria è composta da 69.037 persone, -4.892 rispetto a due anni fa. Oltre all’elevato tasso di sovraffollamento, 98,7%, a caratterizzare il sistema spagnolo è la grave situazione relativa all’assistenza sanitaria. Secondo quanto afferma lo European Prison Observatory, a seguito della crisi economica l’amministrazione penitenziaria spagnola ha ridotto le prestazioni mediche, accadimento che ha prodotto la carenza di cure specialistiche con particolare riferimento alla salute mentale dei detenuti. Come la Francia, anche la Spagna presenta una percentuale elevata di reclusi che scontano una condanna definitiva: 81,9% (l’Italia è ferma invece al 58,8%).Alta, se messa a confronto con gli altri 8 Stati, è la percentuale di donne nei penitenziari: 7,6%. Spostandosi in Regno Unito la situazione è pressoché la stessa. Negli ultimi vent’anni si è assistito ad una crescita esponenziale della popolazione detenuta, oggi formata da 95.161 soggetti (+10.436 rispetto al 2010). Il sovraffollamento è pari al 108%; i minori detenuti sono appena l’1,9%, anche se nel Regno Unito, dove l’età della responsabilità penale è particolarmente bassa, coloro che hanno commesso reati e hanno meno di 18 anni sono affidati ad apposite istituzioni indirizzate alla rieducazione. A fare da contraltare a numeri non certo esaltanti c’è l’esplosione dell’uso di misure non detentive e di altre forme di pena, che rendono la Gran Bretagna uno dei Paesi maggiormente attenti in questo ambito insieme a Francia e Spagna.

GLI ALTRI PAESI - A chiudere il quadro ci sono PoloniaLettonia e Portogallo. In quest’ultimo caso, malgrado un tasso di criminalità relativamente basso se messo a confronto con gli altri Paesi europei, il numero di detenuti è cresciuto in fretta negli ultimi anni, fino ad attestarsi a 13.490 persone (2012), il 18,40% delle quali di origine straniera. Al tasso praticamente nullo di minori dietro le sbarre (0,6%) fanno da contraltare il numero di detenuti morti in carcere nell’ultimo anno (211) e il dato che riguarda il sovraffollamento: 111%. La Polonia avrebbe invece bisogno di una riforma più radicale del proprio sistema penitenziario, sottolinea l’osservatorio. I fattori dominanti sono la mancanza di lavoro e di cure mediche adeguate per i detenuti, nonché il mancato adeguamento delle strutture carcerarie – in cui sono rinchiusi 85.419 detenuti, con un tasso di sovraffollamento del 99,7%– agli standard europei. La Lettonia, infine, con i suoi 300 detenuti ogni 100mila abitanti presenta il tasso più alto di carcerazione fra i Paesi dell’osservatorio e uno dei più alti dell’intera Unione europea. Quali sono le cause principali che hanno portato ad una situazione ai limiti della sostenibilità? «Uno dei motivi scatenanti sta nel fatto che negli ultimi anni la minorità sociale è stata drasticamente affidata ai sistemi punitivi », afferma a Il Punto Mauro Palma, ex presidente del Comitato contro la tortura del Consiglio d’Europa e presidente onorario di Antigone. Una seconda causa, prosegue, è che «in sistemi democratici avanzati, che prevedono competizioni elettorali abbastanza frequenti e che sono caratterizzati da insicurezza sociale, il consenso è stato fondato sull’assecondare la mai appagata richiesta di sicurezza individuale quale surrogato della mancata sicurezza sociale, quindi sul proporre sempre più carcere». A ciò si unisce «un taglio a livello europeo di risorse ai sistemi di protezione sociale, con conseguente riflesso sul sistema detentivo, nonché una diversa dislocazione delle stesse risorse esistenti. Se si spendono più soldi per costruire strutture detentive piuttosto che utilizzarli per creare nuovi luoghi di accoglienza esterna si fa una scelta politica». Infine c’è quella che il presidente onorario di Antigone definisce «la categoria dell’indistinto », ovvero il mettere “tutti con tutti”, che porta in carcere con pene alte persone con profili delittuosi del tutto diversi. «Questa mancata distinzione è evidente per particolari tipi di reati, come quelli che riguardano l’uso di sostanze stupefacenti. Occorre quindi un’opera ampia di “depurazione” del sistema per garantire condizioni maggiormente dignitose per tutti, detenuti e non», conclude Palma.

Twitter: @mercantenotizie

Sanità “alla greca” anche in Italia? – da “Il Punto” del 30/03/2012

sabato, marzo 3rd, 2012

Per mesi, prima del cambio della guardia a Palazzo Chigi fra Silvio Berlusconi e Mario Monti, ci siamo domandati se avremmo fatto la fine della Grecia. Il pericolo sembra sventato, ma è ancora troppo presto per abbassare la guardia. La difficile situazione in cui versa la sanità italiana ci porta però ad essere nuovamente accostati alla Repubblica Ellenica.

Le corrispondenze che quotidianamente arrivano da Atene, capitale di un paese sempre più in ginocchio dopo la «cura da cavallo» prescritta dalla troika formata da Bce, Fondo monetario internazionale e Unione europea per evitare il default, ci hanno raccontato dello sciopero di ospedali pubblici e centri sanitari avvenuto lo scorso 29 febbraio. Strutture chiuse per 24 ore in segno di protesta contro la decisione del Ministero della Sanità di chiudere 50 ospedali pubblici e di ridurre del 17 per cento la retribuzione per il lavoro straordinario, stando a quanto denuncia la Federazione Nazionale dei Medici Ospedalieri di Grecia (Oenge). Secondo l’Ordine dei Medici, «l’unico obiettivo del governo è il taglio delle spese nel settore sanità». Ma lo sciopero di fine febbraio è stato la ciliegina sulla torta di una situazione al collasso.

Lo scorso novembre un’inchiesta del Wall Street Journal ha rivelato l’esistenza di un sistema parallelo di prestazioni e pagamenti in nero nella sanità pubblica greca, tanto che – stando a quanto scrive il più famoso e autorevole quotidiano economico al mondo – le liste d’attesa vengono aggiornate secondo le mazzette (in greco fakelaki) che i medici intascano dai malati. Un testimone ha rivelato di aver pagato 5mila euro per operarsi al cuore. Cosa c’è di strano, oltre al danno economico? La beffa, visto che l’intervento era coperto dalla sanità pubblica. Per evitare lungaggini “mortali”, però, meglio tirare fuori i soldi che rischiare di passare all’altro mondo. Ma ci sono altri tre dati che spaventano. Il primo riguarda i debiti che le strutture pubbliche hanno contratto nei confronti delle multinazionali farmaceutiche, da cui acquistano i medicinali. Sempre secondo il WSJ, fra il 2007 e il 2009 il passivo ha raggiunto la cifra di 5,4 miliardi di euro. Lo Stato, per cercare di rimediare alla drammatica situazione, ha pagato le case farmaceutiche con dei titoli di stato. In secondo luogo c’è la situazione al collasso di alcuni ospedali. Al Metaxàs, la grande clinica oncologica del Pireo, 2 infermieri gestiscono 54 pazienti, bisognosi di cure costanti. A Dafnì, un sobborgo della capitale, l’ospedale psichiatrico si è trovato nell’impossibilità di acquistare il cibo per i malati. Terzo (dato forse più preoccupante, visto il risvolto sociale): uno studio pubblicato su Lancet, rivista medica di fama mondiale, ha constatato l’aumento del tasso di abuso di droga e di malati di HIV in Grecia. In quest’ultimo caso, fra il 2010 e il 2011, si è registrato un +52 per cento. La metà è da attribuire ai consumatori di droga per endovena. Ma lo studio ha svelato un retroscena allarmante: alcuni contagiati si sono infettati apposta per ricevere i 700 euro che lo Stato fornisce ai malati di HIV e per avere accesso, con maggiore facilità, ai programmi che mirano a sostituire le droghe con versione sintetiche dell’eroina (ad esempio il metadone). Alla metà di marzo, poi, Medici Senza Frontiere ha fatto sapere che la malaria è diventata endemica (cioè costantemente presente) nella parte meridionale del Paese. È la prima volta che accade dopo la caduta del regime dei colonnelli (Anni ’70).

Nel 2011 la Grecia ha speso per la sanità 16 miliardi di euro: 10 provenienti dallo Stato, 6 dai privati. Il 36 per cento il meno rispetto al 2010, quando erano stati messi sul piatto 9 miliardi in più. Ogni mese il deficit cresce di 100 milioni di euro, mentre la sanità privata continua ad incassare denari portando sempre più famiglie ad indebitarsi pur di ricevere assistenza. Sanità “alla greca” anche in Italia? Preferiamo “assaggiare” altre ricette.