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Massoneria: il Grande Oriente d’Italia vuole rientrare nel palazzo del Senato

venerdì, ottobre 30th, 2015

Il gran maestro Stefano Bisi ha preparato un dossier. Per indirizzarlo al presidente Grasso. Chiede che siano onorati vecchi accordi. Formalizzati negli anni Novanta dopo una lunga controversia. Per riavere almeno parte dei locali della vecchia sede espropriata dal fascismo. Per allestirci un museo con vecchi cimeli massonici. A cominciare dagli indumenti di Garibaldi

Articolo_Massoniera_ilFatto.itIl presidente del Senato, Pietro Grasso, è avvisato: la massoneria vuole tornare a Palazzo Giustiniani. Proprio così. E questa volta fa sul serio. Il Grande Oriente d’Italia (Goi), la più numerosa comunione massonica italiana, è pronto ad andare fino in fondo. Rivendicando ciò che, stando agli accordi che lo stesso Goi sostiene di avere formalizzato tra la fine degli Anni ’80 e l’inizio del decennio successivo con l’allora presidente del Senato Giovanni Spadolini, gli “spetterebbe di diritto”. Ovvero “una limitata porzione dei locali” della struttura che oggi ospita l’appartamento di rappresentanza della seconda carica dello Stato e gli uffici dei senatori a vita da utilizzare come “sede del museo storico della massoneria italiana”. Oltre cento metri quadrati all’interno dei quali esporre, fra le altre cose, alcuni degli indumenti indossati dal primo libero “Muratore d’Italia”, Giuseppe Garibaldi. Avete capito bene, proprio di una rivendicazione pressante si tratta. All’interno di una lunga e complicata vicenda arricchita da numerose carte bollate.

ACCORDI VANI Una storia che tra grembiuli massonici, camicie nere e cavilli burocratici promette comunque scintille già nelle prossime settimane. “Il Goi è una delle poche istituzioni, se non l’unica nel nostro Paese, a non essere mai stata risarcita, nemmeno simbolicamente, della perdita dei propri diritti a causa della violenza fascista”, spiega a ilfattoquotidiano.it il numero uno Grande Oriente d’Italia, Stefano Bisi. Già, perché questa storia ha origini lontane. Che risalgono addirittura a oltre un secolo fa. Precisamente al 16 febbraio 1911, giorno in cui la società Urbs (appositamente costituita dal Grande Oriente d’Italia) acquistò Palazzo Giustiniani per un milione 55 mila lire. Sette piani e 405 vani che, da quel momento, divennero la sede nazionale della comunione massonica con a capo Ettore Ferrari. Almeno fino al 1926. Quando, con un decreto legge ad hoc, il fascismo sottrasse al Goi il cosiddetto “vaticano verde”. Caduto il regime mussoliniano, “i tentativi di riconquistare legalmente la nostra sede sono risultati del tutto vani – aggiunge Bisi – sia per gli errori di gestione commessi dagli avvocati a cui ci siamo affidati sia per la diffusa ostilità nei confronti del Grande Oriente d’Italia da parte della magistratura, ancora fortemente segnata dal fascismo”. Sarà. Comunque, da quel momento è cominciata la guerra a suon di carte bollate. Tanto che solo a luglio del 1961, spiegano al Goi, l’allora gran maestro Publio Cortini e il ministro delle Finanze dell’epoca, il democristiano Giuseppe Trabucchi, stipularono una convenzione attraverso la quale il demanio concedeva per vent’anni alla Urbs 48 locali all’interno di Palazzo Giustiniani. Canone annuo: un milione di lire. Prevedendo anche la possibilità di un “rinnovo di comune accordo fra le parti”. E ancora: diciassette anni dopo, presso la stessa sede, la società ottenne in concessione altri 25 locali. Ad un costo stavolta molto più alto: 9 milioni 600 mila lire l’anno.

ASPETTA E SPERA Ma non è tutto. Il 1° luglio 1981, dopo che il Goi aveva concluso l’acquisto di Villa il Vascello (sua attuale sede nazionale), a Roma, l’ufficio del Registro della Capitale contestò alla Urbs “l’occupazione senza titolo” dei locali di Palazzo Giustiniani. Diffidandola a lasciare gli immobili entro trenta giorni. “Eppure noi – dice Bisi – da un anno stavamo portando avanti le trattative per definire i termini di una nuova concessione”. Risultato? Nonostante il ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che concesse la sospensiva al provvedimento che di fatto “sfrattava” la loggia massonica dal Palazzo, fra marzo e maggio 1988 il Grande Oriente d’Italia riconsegnò i locali al Senato. Ma non certo a mani vuote. Fu infatti messa nero su bianco una transazione, definitivamente firmata il 14 novembre 1991 dal presidente della Urbs, Pietro Ruspini, e dall’Intendenza di Finanza di Roma, tramite la quale la presidenza del Senato (con la partecipazione del ministero delle Finanze) e la società si accordavano affinché a quest’ultima fosse concessa “una limitata porzione dei locali rilasciati per destinarli a sede del museo storico della massoneria italiana”. L’accordo prevedeva, protestano adesso i vertici massonici, la consegna dei locali in questione addirittura entro dodici-diciotto mesi.

DOSSIER PER GRASSO Eppure, “nonostante i numerosi pareri favorevoli di ministero delle Finanze, presidenza del Senato e Consiglio di Stato alla concessione dei locali di Palazzo Giustiniani al Goi – prosegue il numero uno del Grande Oriente d’Italia – la nomina di un nuovo presidente di Palazzo Madama, Carlo Scognamiglio, e l’improvvisa morte di Spadolini prima ritardarono e poi di fatto impedirono il mantenimento degli impegni presi. In tutti questi anni ci siamo scontrati contro un muro di gomma rappresentato dagli apparati burocratici del Senato e con la sostanziale indifferenza dei suoi nuovi presidenti”. Ecco perché il Gran Maestro e i suoi hanno messo a punto un dossier nel quale vengono ripercorse tutte le tappe dell’annosa questione. “Nelle prossime settimane lo invieremo al presidente Grasso, nella speranza che finalmente ci venga dato quanto ci spetta – conclude Bisi –. Basta considerare la massoneria soltanto come qualcosa di negativo: pur con i nostri difetti siamo un pezzo della storia d’Italia”. Chissà se anche a Palazzo Madama la pensano allo stesso modo.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 29 ottobre 2015 su ilfattoquotidiano.it)

Riforme, Verdini cerca altri 10 senatori per aiutare Renzi (e essere decisivo)

lunedì, settembre 7th, 2015

Denis_verdiniDenis Verdini torna alla carica. La prossima settimana il Senato riapre i battenti per discutere di riforme costituzionali e l’ex plenipotenziario di Forza Italia vuole giocare un ruolo da protagonista. Dimostrando al premier, l’amico Matteo Renzi, di essere non solo un alleato fidato ma, soprattutto, determinante. Per riuscirci è deciso a raddoppiare, portando il suo nuovo gruppo parlamentare Alleanza liberalpopolare-autonomie, dagli attuali 10 senatori del recente battesimo ad almeno 20.

Con la sinistra del Partito democratico sul piede di guerra, infatti, c’è il serio rischio che la stampella offerta da Verdini al presidente del Consiglio non basti ad assicurare i numeri necessari per riscrivere la Costituzione. Anche perché, pure tra gli attuali componenti di Ala, non manca chi, a cominciare dai cosentiniani e dai lombardiani, non sembra affatto disposto ad immolarsi “senza se e senza ma” alla causa del renzismo. Come ha dimostrato, prima della pausa estiva, il voto sulla riforma della Rai che, proprio a causa del “no” dei verdiniani, ha sottratto al governo la delega per riscrivere la disciplina del canone. Un campanello d’allarme da non sottovalutare per Verdini che si è già messo alla ricerca di possibili rinforzi. Prendendo di mira, anche nei giorni più caldi del mese di agosto, soprattutto i colleghi delgruppo Gal che l’ex fedelissimo di Silvio Berlusconi non fa mistero di voler annettere alla sua Ala. A cominciare soprattutto dall’ex Movimento 5 stelle Bartolomeo Pepe e dall’ex leghista Michelino Davico, che da poco ha aderito però ai Moderati di Giacomo Portas, deputato eletto nelle liste del Pd.

Così, negli ultimi giorni, i telefoni hanno iniziato a squillare incessantemente. E chi ha ricevuto la chiamata, o uno dei suoi tanti, insistenti, pressanti sms, racconta di un Verdini determinatissimo. “Dobbiamo arrivare a venti perché è ormai sicuro che Renzi romperà con la sinistra dem e in questa partita vale la pena esserci”, è il ragionamento che l’ex esponente di Fi ripete con insistenza. Con la solita ciliegina finale dell’ambitissima poltrona sullo sfondo: “Siamo talmente importanti da poter legittimamente ambire ad incarichi di governo”.

Parole che, giurano i destinatari delle sue telefonate e delle sue promesse, rivelano grande confidenza con il giglio magico del premier. “Renzi farà…”, “Lotti dice…”, sono le espressioni più ricorrenti utilizzate da Verdini nell’opera di reclutamento dalla quale dipende la riuscita del suo piano: salvare il governo dalle imboscate nel Vietnam del Senato assicurando i numeri in grado di mettere al sicuro il cammino delle riforme costituzionali. Un obiettivo sul quale l’ex braccio destro di Berlusconi ha deciso di rischiare tutto. Giocandosi la faccia nell’ultimo scampolo estivo di campagna acquisti.

(Articolo scritto il 3 settembre 2015 con Antonio Pitoni su ilfattoquotidiano.it)

Onorevoli professioni*

sabato, aprile 20th, 2013

Ancora una volta è il partito degli avvocati a guidare la classifica delle professioni dei nostri eletti. Dietro di loro figurano docenti, dirigenti, imprenditori e impiegati. Il Parlamento rischia di trovarsi arenato sugli interessi di categoria

ITALY-POLITICS-PRESIDENTItaliani, popolo di santi, poeti e navigatori. Ma non in Parlamento, dove i nostri deputati e senatori sono per la maggior parte avvocati,docenti, dirigentiimpiegatiimprenditori e giornalisti, ma anche medici, ingegneri, commercialisti e perfino idraulici. La XVII Legislatura, che ha preso il via da poche settimane, vede sedere fra i banchi di Montecitorio e Palazzo Madama esponenti di numerose categorie professionali. Ci sono pure studenti (appartenenti per la maggior parte al Movimento 5 Stelle, fra cui il vicepresidente della Camera Luigi di Maio) e alcuni disoccupati. In un quadro simile, gli interessi di categoria rischiano di condizionare l’attività delle due Camere.

TOGHE IN POLITICA - La professione più in voga tra i parlamentari della XVII Legislatura? Quella dell’avvocato. Sono ben 113, in particolare 75 deputati e 38 senatori, gli eletti che fuori dalle aule di Montecitorio e Palazzo Madama svolgono l’attività forense. Un dato in linea con quello della precedente Legislatura, anche se fino a qualche settimana fa tra i banchi di Camera e Senato ne sedevano una ventina in più, rispettivamente 90 e 44. Una situazione che pone più di una perplessità su come i parlamentari avvocati riescano a conciliare l’esercizio della loro professione con l’esercizio del mandato parlamentare. Non solo per ragioni temporali, ma anche, e soprattutto, per questioni sostanziali. Il fatto che sussista un conflitto di interessi è più di un rischio. Quando si legifera su aspetti attinenti alla materia c’è il rischio concreto che gli interessi personali entrino in conflitto con gli interessi generali. Un esempio? Quando governo e Parlamento si sono occupati di liberalizzazioni le pressioni delle lobby sono state tutt’altro che velate, con il risultato che i provvedimenti iniziali sono stati ritoccati e annacquati. E il folto partito degli avvocati è decisamente bipartisan. Dal Pd al Pdl, passando per M5S, Scelta civica e Lega Nord, i principi del foro affollano i banchi di ogni partito. È il Pd la forza politica in cui sono maggiormente rappresentati, con 39 deputati e 10 senatori, seguita dal Pdl, che conta 21 avvocati a Montecitorio e 15 a Palazzo Madama, e dal M5S con una pattuglia decisamente più ridotta, 4 deputati e 4 senatori. Ma gli avvocati non sono gli unici che passano dalle aule di tribunale a quelle del Parlamento. Occupano alcuni scranni anche parlamentari magistrati. Nonostante siano molti di meno rispetto agli avvocati, la loro presenza nei Palazzi della politica fa discutere molto di più. Tra le tante polemiche che hanno segnato la campagna elettorale, infatti, una delle più accese è stata proprio quella sull’opportunità o meno della loro candidatura. Sono state chiesti limiti e regole per disciplinare il loro passaggio dalla magistratura alla politica. In particolare, nell’occhio del ciclone sono finiti Piero Grasso, candidato nelle liste democratiche e finito sullo scranno più alto di Palazzo Madama, Stefano Dambruoso, eletto a Montecitorio con Scelta Civica, e Antonio Ingroia, promotore di Rivoluzione civile che non è riuscito a superare lo scoglio delle soglie di sbarramento. Ma altri loro colleghi sono da tempo in Parlamento. Ci sono la deputata del Pd, Donatella Ferranti, al suo secondo mandato, i senatori del Pdl Francesco Nitto Palma e Giacomo Caliendo, in passato rispettivamente ministro e sottosegretario alla Giustizia nel governo Berlusconi e poi i democratici Anna Finocchiaro, Doris Lo Moro e Felice Casson.

DOCENTI E DIRIGENTI - Subito dietro gli avvocati ci sono docenti universitari e insegnanti che, insieme, raggiungono quota 110, 13 in più rispetto alla precedente Legislatura. Sono, rispettivamente, 53 a Montecitorio (33 nel gruppo del Pd, 5 in quello del Pdl e 6 nel M5S) e 57 a Palazzo Madama. Alla Camera i nomi maggiormente noti sono quelli di Carlo Dell’Aringa (Pd), professore di Economia politica all’Università Cattolica di Milano nonché componente del team che nel 2001 redasse il Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia su cui si basa la Legge Biagi; Andrea Romano (Scelta Civica), che insegna Storia contemporanea all’Università di Roma Tor Vergata ed è anche direttore di Italia Futura, il think tank fondato nel 2009 da Luca di Montezemolo; Renato Brunetta e Antonio Martino, economisti, entrambi rieletti con il Popolo della Libertà. Al Senato siedono invece lo storico Miguel Gotor (Pd), braccio destro di Pier Luigi Bersani durante la campagna per le primarie del centrosinistra, e Pietro Ichino, ordinario di Diritto del lavoro all’Università degli Studi di Milano, passato dai democratici alla Lista del premier uscente Mario Monti. A seguire c’è la categoria dei dirigenti. Un folto numero, anche in questo caso, se si pensa che sono 46 alla Camera e 33 al Senato. Proprio in quest’Aula un seggio è occupato dal “poltronissimo” Franco Carraro (Pdl), già presidente del Coni, della Figc e sindaco di Roma dal 1989 al ’93, mentre alla Camera il Pd ha “arruolato” l’ex direttore generale di Confindustria Giampaolo Galli. Tocca poi agli impiegati (99 in totale, di cui 59 alla Camera e 40 al Senato) e agli imprenditori. Se ne contano in tutto 93, 15 in meno a confronto con il quinquennio 2008/2013. Quello di Silvio Berlusconi è sicuramente il nome più noto in questa categoria. L’ex premier, alla sua sesta Legislatura, si trova questa volta a Palazzo Madama e non a Montecitorio come nelle cinque precedenti occasioni. Quarantotto sono invece i giornalisti che hanno posato la penna sul tavolo per affollare le Aule parlamentari. Meno, comunque, di quelli presenti nella Legislatura appena conclusa quando erano 90. Fra le new entryche hanno fatto maggiormente rumore ci sono l’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini (Pdl), l’ex numero uno di Rai News 24 Corradino Mineo (Pd) e l’ex vicedirettore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti, tutti e tre candidati ed eletti al Senato dai loro rispettivi partiti. Alla Camera ci sono invece Sandra Zampa (Pd), già capo ufficio stampa dell’allora presidente del Consiglio Romano Prodi, e Pierdomenico Martino (Pd), che in passato ha ricoperto il ruolo di capo ufficio stampa del partito guidato da Pier Luigi Bersani ed è caporedattore del quotidiano Europa. Quarantaquattro sono invece i medici (27 alla Camera e 17 al Senato), 24 gli ingegneri. Infine ci sono i sindacalisti (29). Fra i volti nuovi compaiono quelli di Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil dal 2002 al 2010 alla prima esperienza parlamentare con il Partito democratico; Giorgio Airaudo (Fiom), che dopo essersi definitivo un «esiliato di sinistra orfano di Berlinguer e stufo dei trasformismi opportunistici» ha varcato le porte di Montecitorio nelle file di Sel, e Renata Polverini, che prima di ricoprire la carica di governatore della Regione Lazio è stata segretario dell’Unione generale del lavoro (Ugl).

LE ALTRE PROFESSIONI - Scorrendo le schede di deputati e senatori disponibili sui siti di Camera e Senato, non mancano poi esempi di parlamentari che svolgono lavori meno rappresentati, e in alcuni casi decisamente inaspettati. Ci sono architetticommercialistiagricoltori, commercianti, farmacisti e assicuratori. Ma non solo. Alcuni nomi spiccano in modo particolare. Si è parlato molto delle loro candidature in campagna elettorale e ora, dopo aver dimostrato i loro meriti sportivi, dovranno farsi valere in Parlamento Valentina Vezzali, plurimedagliata olimpica, eletta alla Camera nelle liste di Scelta Civica, e Josefa Idem, anche lei passata dai podi olimpici allo scranno parlamentare. Sono, invece, quattro gli operai. Tra loro alcune storie fortemente simboliche. A Montecitorio, infatti, è stato riconfermato Antonio Boccuzzi, eletto nel Pd nella scorsa Legislatura dopo essere sopravvissuto al rogo della Thyssen, mentre a Palazzo Madama ha fatto il suo ingresso per la prima volta Giovanni Barozzino, ora senatore di Sel, in passato operaio della Fiat di Melfi, licenziato nel 2010 insieme ad altri due colleghi con l’accusa di aver sabotato l’attività aziendale, poi riammessi dal tribunale del lavoro, ma mai reintegrati. Torna per la seconda volta in Parlamento, invece, la leghista Emanuela Munerato, operaia tessile, ricordata dai più per il suo intervento in aula contro la manovra economica del governo Monti, quando per esprimere il voto contrario delle camicie verdi è tornata ad indossare la sua tuta da operaia. Ha, invece, messo da parte, almeno per ora, i suoi attrezzi da idraulico Davide Tripiedi, 28 anni, eletto nel M5S. E proprio nel M5S si contano il maggior numero di studenti e disoccupati. Siedono oltre che tra gli scranni parlamentari anche dietro ai banchi universitari Paolo Bernini, Marta Grande, Azzurra Cancelleri e Luigi di Maio, che si è guadagnato anche la vice presidenza della Camera. Ma c’è anche chi è entrato in Parlamento da disoccupato, dieci deputati e due senatrici. A Montecitorio tra i cinque stelle ci sono Tatiana Basilio e Vincenza Labriola, entrambe casalinghe. Due le senatrici che hanno dovuto fare i conti con la perdita del lavoro: Vilma Moronese, parlamentare del M5S, e Alessia Petraglia, eletta nelle liste di Sel. La prima, entrata nel mondo del lavoro dopo il diploma in ragioneria, nella sua biografia scrive: «Nel 1990 per scelta e per necessità rinuncio agli studi universitari per lanciarmi direttamente nel mondo del lavoro». Ha lavorato presso una compagnia di assicurazioni, poi in diverse aziende, nell’ultima delle quali si occupava del recupero crediti. La seconda si definisce disoccupata, ma scorrendo la sua biografia quello che balza all’occhio è la sua esperienza da consigliere regionale in Toscana. Per ora un nuovo lavoro l’hanno trovato: parlamentari della Repubblica.

*con Lea Vendramel

«L’Idv non si scioglie e riparte con forza. Alleanze? Siamo già nel centrosinistra» – da “Il Punto” del 21/12/2012

giovedì, dicembre 27th, 2012

Belisario_IdvUna precisazione, prima di cominciare: «Eviterei di definire ciò che sta nascendo come “Quarto Polo”. Non porta bene e mi da l’idea di qualcosa di residuale. Credo che, in questa nascente aggregazione di forze, ci sia bisogno di partire prima di tutto dalla società civile tenendo presente quanto di buono c’è ancora nella politica e nei movimenti». È questo il pensiero di Felice Belisario, capogruppo al Senato dell’Italia dei valori.

Che Idv esce dall’assemblea di sabato scorso e, soprattutto, da dove intendete ripartire?

«Sicuramente l’Idv si è rafforzata. Il partito ha ripreso la voglia di combattere e crede di poter ripartire con forza. In questi anni i nostri gruppi parlamentari alla Camera e al Senato sono stati indicati da tutti come i più produttivi: significa che abbiamo progetti e persone per bene anche nelle istituzioni. La prossima campagna elettorale non sarà una passeggiata di salute, ma i dirigenti territoriali sono caricati e pronti».

Lei non vuole chiamarlo Quarto Polo. Diciamo, allora, che sta nascendo qualcosa “a sinistra della sinistra”?

«Io direi che sta prendendo vita un’aggregazione che difende i principi fondanti della Costituzione, che mette al primo posto gli articolo 1 e 3 della nostra Carta – ovvero che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e che la legge è uguale per tutti – e quei principi che si riferiscono alla scuola pubblica, alla sanità pubblica e alla parità di genere».

Qual è l’orizzonte programmatico di questa aggregazione? Cercherete la convergenza con la coppia Pd-Sel?

«Noi dell’Italia dei valori siamo stati chiari: lavoreremo fino all’ultimo istante per far comprendere al Partito democratico che c’è la necessità di far convergere le forze, di fare in modo che anche le diversità diventino una risorsa. Certo, non possiamo pensare a rifare l’Unione, perché quella è stata un’esperienza fallimentare che ha portato la destra alla vittoria. Però domando: non le sembra che un’alleanza che va da Casini e Montezemolo fino a Vendola sia una Unione del 2013? La confusione che è oggi sul piatto della politica dovrebbe insegnare qualcosa al Pd».

Nei mesi scorsi Vendola è stato molto vicino ad Antonio Di Pietro. E, è bene ricordarlo, figura in quella lista di forze che con voi hanno appoggiato i referendum sugli articoli 8 e 18. Ora però sembra essersi sfilato. Cosa ne pensa?

«Diciamo che in questa fase Vendola mi pare un po’ timido. Ha paura di scontentare il Pd ma anche i suoi, che vogliono tornare in Parlamento…».

Nella nuova creatura che sta nascendo dovrebbero confluire anche Prc e Pdci. Il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero, è stato chiaro: «Basta perdere tempo con il centrosinistra». C’è la possibilità di andare da soli?

«Noi siamo nel centrosinistra, come testimoniano le alleanze che abbiamo stretto in tantissime Regioni d’Italia – Lombardia, Molise, Lazio, Liguria, Toscana, Puglia… –, nella maggioranza delle Province e nella quasi totalità dei Comuni, eccezion fatta per Napoli e Palermo. Abbiamo il dovere di essere coerenti con la politica che facciamo sul territorio. Se a livello nazionale si andrà divisi, certamente non per colpa dell’Italia dei valori, ce ne faremo una ragione e proveremo a lavorare seguendo una via diversa. Però noi, ribadisco, proveremo fino alla fine a rafforzare il centrosinistra, non a indebolirlo».

Si parla della possibilità di far confluire l’Idv nel Movimento Arancione, ovviamente rinunciando al nome e al simbolo. C’è questa possibilità?

«Chiariamoci: l’Idv non si scioglie. Faremo un congresso rifondativo e da lì ripartiremo, togliendo il nome di Di Pietro e uscendo da una visione personalistica della politica. Io, come Italia dei valori, non confluisco da nessuna parte: possiamo entrare a far parte di qualcosa di diverso, ma non ci facciamo annettere né dal Movimento Arancione né da altri. Serve qualcosa di più grande che alle elezioni consenta a forze sane di rientrare in Parlamento e di frenare questa deriva populistico-bancaria».

De Magistris ha indicato Antonio Ingroia come candidato premier…

«Il sindaco di Napoli è andato avanti, il magistrato gli ha risposto che forse corre troppo. Conosco personalmente Ingroia e lo stimo, credo sia una grande personalità su cui non ho nulla da obiettare. Come Italia dei valori, però, non abbiamo fatto ancora alcuna valutazione».

Twitter: mercantenotizie

Portaborse al palo – da “Il Punto” del 21/12/2012

venerdì, dicembre 21st, 2012

portaborsePensavano che fosse finalmente arrivato il loro momento. E invece, con la fine anticipata della legislatura, il ddl che avrebbe regolamentato la figura dei collaboratori parlamentari – più comunemente chiamati “portaborse” – non vedrà mai la luce. Il provvedimento, ispirato al modello del Parlamento europeo (dove i collaboratori parlamentari vengono pagati direttamente dall’amministrazione di Bruxelles e non dai singoli deputati) è stato approvato alla Camera all’inizio di ottobre, ma non ancora calendarizzato al Senato. Nello stesso periodo, un’inchiesta de “Il Punto” aveva reso noti i soprusi subiti da alcuni “portaborse”. Che, visto l’accaduto, sono purtroppo destinati a continuare.

Twitter: @mercantenotizie  

Il Senato e la «materia conciaria»

venerdì, novembre 23rd, 2012

In tempi di crisi e spending review, al Senato si discute anche di come utilizzare i termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia» (più quelli da essi derivanti o loro sinonimi). Titolo breve del ddl n. 2642 (approvato il 14 novembre), che ha come relatore Cosimo Izzo (Pdl) e tra i cofirmatari Nicola Latorre (Pd): «Disposizioni in materia conciaria». Lo scopo? Duplice:«Da un lato preservare i consumatori da inganni sui prodotti conciari e di pellicceria; dall’altro, tutelare il settore produttivo di riferimento da azioni scorrette provenienti soprattutto da imprese di Paesi esteri, (…) che ponevano in essere veri e propri comportamenti anticoncorrenziali pregiudizievoli per l’industria nazionale».

La casta colpisce ancora* – da “Il Punto” del 12/10/2012

mercoledì, ottobre 17th, 2012

Si è conclusa l’indagine della Direzione provinciale del Lavoro di Roma sui collaboratori parlamentari. 58 le irregolarità riscontrate alla Camera su un totale di 272 accrediti, 21 su 160 quelle al Senato. Resta il “buco nero” di 513 Onorevoli che sembrano non avere assistenti ma percepiscono l’indennità mensile. Il racconto di una testimone: «Pagata in nero per 10 anni». Le leggi violate nel luogo in cui vengono approvate 

«Il mio impegno alla Camera è iniziato nel 1998, quattordici anni fa. Dieci dei quali passati in nero. All’inizio ero in decreto Camera e, all’Onorevole per cui lavoravo, dovevo ridare indietro più della metà dei soldi in “mazzetta”. Poi è cominciato un lungo percorso al fianco di altre figure, sempre senza contratto. Finché nel 2009, dopo aver finalmente sottoscritto un regolare accordo, ho cominciato a stare male. Visto che non abbiamo mai avuto alcuna forma di tutela sono prima stata costretta ad andare a lavorare benché in mancanza di forze e poi, una volta ricoverata d’urgenza all’ospedale, mi sono vista recapitare una lettera di licenziamento senza preavviso dalla poco Onorevole persona a cui prestavo assistenza. Adesso ho un contratto e guadagno poco più di 700 euro al mese». Quello che avete appena letto è un passaggio della sconcertante testimonianza che Cristina, collaboratrice parlamentare, ha rilasciato in esclusiva a Il Punto. Le sue parole arrivano in concomitanza con la conclusione dell’ispezione che la Direzione provinciale del Lavoro di Roma guidata da Marco Esposito – su delega della Procura della Repubblica – ha portato avanti nel corso degli ultimi 24 mesi per fare luce sulla condizione dei cosiddetti “portaborse”.

I NUMERI DELL’INDAGINE - Un caso che questo giornale aveva seguito attentamente già nel 2010, proprio quando partì l’indagine dell’ispettorato del Lavoro. Anche allora le voci degli interessati raccontarono di contratti assenti, di ore di lavoro non pagate o retribuite in nero, di soprusi e accordi cambiati in corsa. Ora ci sono le cifre. Partiamo dalla Camera dei deputati, dove sui 272 collaboratori accreditati per l’accesso ai Palazzi – così come segnalato dal Segretariato generale – sono state riscontrate 58 irregolarità che riguardano la materia lavoristica, previdenziale e assicurativa, per un importo totale di sanzioni pari a 5.800 euro. «Si tratta di illeciti amministrativi, non abbiamo riscontrato elementi di rilevanza penale», sottolinea a Il Punto il direttore Marco Esposito. Nella lista ci sono 36 omesse o ritardate comunicazioni di assunzione o cessazione di rapporti di lavoro ai competenti Centri per l’impiego; 12 omesse istituzioni del Libro unico del lavoro (Lul, ossia un libro che sostituisce i libri paga e matricola e che è stato istituito con gli articoli 39 e 40 del decreto legge n. 112/2008); 4 omesse o infedeli registrazioni sul Lul; una omessa vidimazione dell’ex libro paga; un omesso versamento dei contributi; una riqualificazione del rapporto di lavoro e il relativo recupero contributivo e una omessa denuncia all’Inail (l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni) delle autoliquidazioni. Poi c’è il Senato. Per cui, afferma Esposito, «la metodologia di lavoro è stata diversa, perché ci sono stati forniti i nomi dei senatori che avevano chiesto l’accredito, e non dei collaboratori. Il sistema informatico di comunicazione obbligatoria a cui abbiamo accesso telematicamente ci ha permesso di fare il percorso inverso».A Palazzo Madama, sui 160 senatori che avevano chiesto l’accredito, le irregolarità rilevate sono state 21. Ovvero: 4 omesse istituzioni del Lul; una tardiva istituzione dello stesso Libro unico del lavoro; 10 omesse comunicazioni di assunzione e/o cessazione dei rapporti di lavoro ai competenti centri per l’impiego e (perfino) 6 sanzioni per l’impedimento all’ispezione. In questo caso l’importo finale è di 18.980 euro, per un totale – Camera più Senato – di 24.780 euro.

IL “BUCO NERO” - Resta però un “buco nero”. Ovvero quello degli altri 358 deputati e 155 senatori che si presume siano sprovvisti di “portaborse” non avendo mai richiesto l’accredito per i loro collaboratori. È davvero così? Un interrogativo ancora aperto, come ribadisce Piero Cascioli, funzionario dell’Ispettorato del Lavoro, che afferma: «Abbiamo notiziato Camera e Senato sull’argomento, ma sono già a conoscenza di ciò. Anche perché l’indennità preposta anche al pagamento dei collaboratori viene comunque erogata ai parlamentari». «Chi di dovere sa cosa accade», racconta a questo proposito Cristina. «Io ho scritto alle più alte cariche dello Stato – presidente della Repubblica, della Camera, della Corte dei conti e anche al Cardinal Bagnasco – parlando, per esempio, dei tesserini che sono nella disponibilità di qualcuno e che contribuiscono ad alimentare il “mercato nero” dei collaboratori. C’è chi ne possiede 40, che ha sparso da tutte le parti, e che sono finiti nelle mani di persone che vengono pagate in nero perché senza contratto. Eppure la risposta che mi sono sentita dare quando ho interloquito con alcuni illustri esponenti delle istituzioni è stata: “Se lo ritiene opportuno, si rivolga alla magistratura” ». Poi il particolare choc: «Nella passata legislatura, per farmi tacere su quanto succedeva, mi fu detto che sarei stata “raccomandata” per vincere il concorso da funzionario alla Camera». Eppure Cristina, quando nel 2009 fu licenziata mentre era in ospedale, provò a denunciare l’accaduto. Però «mi hanno consigliato di desistere perché la persona che mi aveva messo alla porta era in stretto contatto con personalità importanti, e quindi “avrei preso solo schiaffi in faccia”». E la riforma di cui si parla in questi giorni?, le domandiamo. «È uno specchietto per le allodole ».

LA RIFORMA - Ma cosa prevede la riforma a cui il Parlamento ha deciso di mettere mano e che regola la situazione dei collaboratori parlamentari? L’obiettivo è disciplinare il rapporto di lavoro che li lega a deputati e senatori. Gli abusi, i compensi inadeguati, i contratti irregolari o la mancata contrattualizzazione sono riconducibili al fatto che attualmente deputati e senatori provvedono direttamente a pagare i propri collaboratori attingendo alla somma mensile che Camera e Senato versano loro a titolo di “Rimborso spese per l’esercizio del mandato”, pari rispettivamente a 3.690 e 2.090 euro. Una modalità che nel corso degli anni ha alimentato situazioni poco chiare e che si sta tentando di sanare con una proposta di legge bipartisan, approvata da Montecitorio nelle scorse settimane e passata ora all’esame di Palazzo Madama. Il modello di riferimento adottato è quello del Parlamento europeo, dove i collaboratori parlamentari vengono pagati direttamente dall’amministrazione di Bruxelles e non dai singoli deputati. Il provvedimento stabilisce, quindi, il diritto dei parlamentari ad avere l’assistenza di collaboratori per l’attività connessa all’esercizio delle funzioni inerenti il proprio mandato. L’unico limite, e questa è una novità, sta nel fatto che non possono essere assunti parenti, coniugi o affini entro il secondo grado. Spetterà alla Camera di appartenenza del parlamentare pagare la retribuzione al collaboratore, versare i relativi oneri fiscali e previdenziali e vigilare affinché le attività indicate nel contratto di lavoro siano connesse all’esercizio delle funzioni parlamentari e il contratto stipulato sia coerente con l’attività svolta. In questo modo si punta ad evitare casi di sfruttamento, di pagamenti inadeguati, di collaboratori parlamentari non contrattualizzati. Di fronte al primo via libera al provvedimento, però, i diretti interessati si dividono tra entusiasti e scettici. Le due associazioni che riuniscono i collaboratori, infatti, hanno due visioni diverse della situazione. Se il Coordinamento dei collaboratori parlamentari (Cocoparl), guidato da Emiliano Boschetto, ritiene che con questa legge le cose possano davvero migliorare per la categoria grazie all’introduzione del vincolo di destinazione delle risorse e del pagamento diretto da parte del Parlamento, l’Associazione nazionale collaboratori parlamentari (Ancoparl), presieduta da Francesco Comellini, piuttosto che una legge auspica una modifica dei regolamenti interni di Camera e Senato, che consentirebbe di chiudere la partita in tempi più rapidi. In effetti l’incognita sono proprio i tempi. Dopo l’approvazione di Palazzo Madama, gli Uffici di Presidenza di Camera e Senato dovranno adottare delle delibere volte a modificare i loro regolamenti. Lo faranno in tempo perché la nuova disciplina entri in vigore dalla prossima legislatura? Calcolando che l’iter alla Camera è durato due settimane in commissione e due settimane in aula, i tempi per arrivare all’approvazione definitiva ci sono. È solo una questione di volontà.

*con Lea Vendramel

Il Grande Fratello dei detenuti

lunedì, aprile 25th, 2011

Ma cos’è, il Grande Fratello?“. È stata la prima cosa che ho pensato dopo aver letto questa bizzarra notizia: negli Stati Uniti, precisamente nella contea di Maricopa (Arizona), uno sceriffo mette online le foto dei detenuti e chiede ai cittadini di votare la “foto segnaletica del giorno“.

Lui è Joe Arpaio, “lo sceriffo più duro d’America“, e dal 1992 controlla a Maricopa gli oltre 10.000 detenuti del carcere. Gli abitanti della contea, manco a dirlo, si sono catapultati sul web per esprimere la loro preferenza, ma la stravagante iniziativa non poteva non provocare la reazione di molte associazioni che difendono i diritti dei carcerati, che protestano per un motivo in particolare: il fatto che sotto la foto pubblicata sul sito, oltre alla data dell’arresto, venga inserito anche il nome e il cognome del detenuto.

Esiste, a livello giuridico, la presunzione di innocenza: chiunque venga accusato di un reato non può essere incolpato se non prima di un regolare processo. Tutto ciò Arpaio sembra averlo dimenticato, ma lo spietato vigilante combina anche di peggio: per colpire i detenuti più indisciplinati, infatti, lo sceriffo li costringe a indossare indumenti intimi rosa, molto simili a quelli femminili. A casa mia si chiama “mania di protagonismo“, ma per i conservatori statunitensi questo signore sarebbe un ottimo candidato al Senato nel 2012. A ognuno il suo.