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Posts Tagged ‘Pietro Grasso’

Anche Gentiloni ha la fiducite. Sulle leggi si vota e basta

lunedì, aprile 3rd, 2017

Primo_Consiglio_dei_ministri_del_governo_GentiloniPersino il chiaro atto d’accusa di Pietro Grasso è rimasto inascoltato. Decretazione d’urgenza e voti di fiducia, disse il presidente del Senato pochi giorni prima del referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre parlando agli studenti della Luiss, “mortificano il ruolo primario del Parlamento” che fatica a svolgere la propria funzione a causa della “frammentazione politica e del trasformismo”.

Il risultato? Mercoledì, proprio a Palazzo Madama, il Governo di Paolo Gentiloni ha posto l’ennesima questione di fiducia (passata con 145 voti sì e 107 no), stavolta sul cosiddetto decreto legge migranti che prevede l’apertura di nuovi centri di identificazione ed espulsione (Cie) e procedure più rapide per l’espulsione degli immigrati irregolari. Sarà che quello guidato dall’ex ministro degli Esteri è considerato come un Esecutivo “fotocopia” del precedente con a capo Matteo Renzi, fatto sta che l’andazzo è rimasto pressoché identico. Dal 12 dicembre, giorno in cui è entrato in carica, il Governo ha già usato lo strumento della fiducia 6 volte: una media di due al mese, come ha fatto notare Openpolis.

Il confronto – In precedenza, la stessa era già stata posta due volte per il decreto salva banche (sia alla Camera sia al Senato), due volte per il Milleproroghe (anche in questo caso in entrambi i rami del Parlamento) e a Palazzo Madama per l’approvazione del ddl sul codice penale. Non proprio benissimo, se si considera che il rapporto fra voti di fiducia e leggi approvate è al 40% e in questa legislatura ne sono già state poste 82: “solo” 10 sotto il Governo di Enrico Letta, 66 durante quello dell’ex sindaco di Firenze e segretario del Pd e 6 – appunto – da quello di Gentiloni. E potrebbe non essere finita qui se è vero, come riferito nei giorni scorsi da alcuni organi di stampa, che dopo due anni di tira e molla anche il ddl concorrenza si appresta a sbarcare nell’Aula di Palazzo Madama “blindato” dalla fiducia. Staremo a vedere. Quel che è certo, al momento, è che dal quarto Governo di Silvio Berlusconi in poi (2008/2011), soltanto Mario Monti e i “suoi” tecnici avevano raggiunto livelli superiori (45,13%) con una media di 3 al mese.

Oltre i limiti – Insomma, i nostri Esecutivi hanno un evidente problema di “fiducite”. Se n’era accorto, già una decina d’anni fa, pure l’oggi presidente emerito Giorgio Napolitano. Messaggio che l’ex capo dello Stato aveva più volte ribadito prima di passare il testimone a Sergio Mattarella. La fiducia, disse per esempio “Re Giorgio” nel 2011, “non dovrebbe eccedere limiti oltre i quali si verificherebbe una inaccettabile compressione delle prerogative delle Camere”. Com’è andata a finire? Che due anni fa, come noto, il Governo Renzi decise addirittura di porla sulla legge elettorale, quell’Italicum che non solo non è stato “copiato” da mezza Europa (“Matteo” dixit) ma che è stato pure “rottamato” dalla Corte costituzionale, scatenando l’ira sia delle opposizioni sia della minoranza del Pd.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 1 aprile 2017 per La Notizia

Risparmi possibili, Camera e Senato provano a razionalizzare: dal ruolo unico degli eletti all’unificazione dei servizi

giovedì, febbraio 11th, 2016

Ilfattoquotidiano.it è entrato in possesso di un documento dei collegi dei questori. Dove sono elencati gli interventi possibili. A cominciare dallo status dei parlamentari per superare le differenze di trattamento tra deputati e senatori. Malan (Forza Italia): “Effetti solo sulle situazioni in essere, nessuna estensione delle indennità ai futuri inquilini di Palazzo Madama dopo la riforma costituzionale”. Si punta all’integrazione anche dei settori informatico, tecnico-immobiliare e sanitario. Nuove regole per la redazione dei bilanci e un solo polo bibliotecario

grasso-boldrini675Parola d’ordine: razionalizzazione. Ovvero risparmiare accorpando i servizi fotocopia per ritoccare al ribasso i relativi costi. Se fosse un’azienda privata non ci sarebbe nulla di strano. Soprattutto in tempo di crisi economica. Ma trattandosi di Camera Senato il discorso è molto più delicato. Certo, l’effetto sarà una sorta di spending review. Ma in ballo, tornando al paragone con il privato, sembra di trovarsi davanti a un vero e proprio piano di ristrutturazione industriale. Messo nero su bianco in due documenti redatti dai collegi dei Questori di entrambi i rami del Parlamento, che ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare e che di qui ai prossimi mesi dovrebbero tradursi in atti concreti. Anche alla luce della riforma costituzionale ormai prossima all’approvazione finale delle Aule (ma con l’incognita del referendum). In tema di risorse, tuttavia, la coperta è corta. E se anche nel 2016 proseguirà il trend del contenimento dei costi, il margine si sta progressivamente riducendo. Non a caso, quest’anno, bilanci alla mano, la Camera riuscirà a tagliare le spese solo dello 0,93% mentre al Senato la cura dimagrante produrrà un calo dello 0,09%. Un segnale positivo, certo. Ma si può fare di più. Per questo i Questori hanno predisposto una lista di “settori da integrare e unificare”. Quello amministrativo, per esempio. Ma anche l’informatico, il tecnico-immobiliare e dei servizi sanitari.

TUTTI PER UNO – In testa alla lista c’è però un punto che ruota intorno agli inquilini di Montecitorio e Palazzo Madama. “Con riferimento allo Status dei parlamentari occorre procedere all’armonizzazione delle discipline vigenti presso i due rami del Parlamento – chiarisce il documento recentemente approvato dal consiglio di presidenza del Senato –, circa le competenze spettanti ai deputati e senatori, in carica e cessati dal mandato, nonché ai loro aventi diritto, anche alla luce delle prospettive della riforma costituzionale in itinere”. Un punto che ha finito per alimentare il sospetto che nel documento dei Questori si nasconda in realtà un espediente per estendere anche ai futuri senatori – che in base alla riforma dovrebbero svolgere il mandato gratuitamente percependo unicamente l’indennità corrisposta dai rispettivi consigli regionali di provenienza – gli emolumenti previsti per quelli in carica. “Un equivoco”, assicura il senatore questore Lucio Malan di Forza Italia. “L’armonizzazione si riferisce esclusivamente ai trattamenti in essere e non a quelli futuri – chiarisce –. Con la creazione di un ruolo unico dei parlamentari si supereranno le discrasie di trattamento tra deputati e senatori e non si produrrà alcun effetto sui futuri inquilini di Palazzo Madama qualora la riforma superasse la prova del referendum”. Semmai, il problema si porrà per gli ex senatori. “Perché sarebbe paradossale un Senato di senatori non pagati che, però, paga i vitalizi agli ex”, fa notare ancora Malan.

SERVIZI IN COMUNE – Ma le novità non finiscono qui. “Nell’ambito delle attività amministrative, particolare rilievo va poi dato al settore delle gare e contratti – si legge ancora nel documento –. Lo schema prevede che le Amministrazioni procedano periodicamente ad una verifica dei fabbisogni comuni per i quali sia possibile svolgere congiuntamente le procedure di selezione del contraente. Effettuate tali verifiche si potranno definire in comune i capitolati delle gare che, una volta deliberate da entrambi i Collegi dei Questori, potranno essere condotte da un’unica amministrazione, di volta in volta individuata, con funzione di centrale unica di committenza”. Il documento impegna le amministrazioni di Camera e Senato “a procedere congiuntamente” ad una ricognizione per “individuare concretamente le procedure di gara che potranno essere svolte in comune nel corso dei prossimi due anni”. E “a sottoporne gli esiti ai collegi dei Questori entro il 31 marzo 2016”. Lo stesso discorso va fatto anche per quanto riguarda il settore informatico. L’obiettivo è quello di “pervenire alla istituzioni di un Polo informatico parlamentare volto ad ottimizzare l’utilizzo delle risorse professionali e tecnologiche disponibili, a rendere omogenei i servizi offerti e a rafforzare i processi di innovazione”. Nella lista delle armonizzazioni c’è anche l’unificazione dei servizi sanitari. “Si tratta di una prospettiva sulla quale i due collegi hanno già concordato in un’ottica di contenimento dei costi,  l’ottimizzazione delle procedure e di miglioramento dei servizi offerti agli utenti (parlamentari e personale), con la specificazione che a tale unificazione si potrà procedere adottando presso entrambi i rami del Parlamento un medesimo modello organizzativo, che faccia leva anche su un rapporto convenzionale con un soggetto esterno, comunque individuato attraverso un’apposita procedura ad evidenza pubblica”.

BIBLIOTECA BICAMERALE – Che dire, poi, del settore tecnico-immobiliare? Anche in questo caso, “si procederà all’individuazione di spazi che, in aggiunta a quelli già utilizzati a tal fine (come avviene con il Palazzo del Seminario per le Commissioni bicamerali), potranno essere messi a disposizione per lo svolgimento di attività e servizi comuni, o che potranno comunque consentire una razionalizzazione logistica nella prospettiva della riforma costituzionale in itinere”. Il tutto attraverso una “armonizzazione delle regole di contabilità e di redazione dei due bilanci”. Ma i processi di integrazione riguarderanno anche il settore della documentazione e ricerca. Con particolare riferimento al Polo bibliotecario che “appare suscettibile di un’ulteriore evoluzione”. Il punto di approdo finale “potrà essere l’istituzione della Biblioteca del Parlamento. Un analogo processo di gestione unificata – inoltre – dovrà riguardare gli archivi storici delle due Camere”. Nel settore delle Commissioni bicamerali e di inchiesta, infine, “sono già oggi in atto forme di collaborazione tra le due Amministrazioni che potranno essere estese a tutti gli organi bicamerali. Forme ulteriori di collaborazione, nella prospettiva di incrementare il livello già esistente di coordinamento, dovranno interessare anche il supporto delle attività di segreteria delle delegazioni parlamentari presso le Assemblee internazionali”. Tutto ciò in tempi rapidi, con “i vertici delle due Amministrazioni che riferiranno ai competenti organi di direzione politica sull’andamento di tali processi”.

(Articolo scritto con Antonio Pitoni il 10 febbraio 2016 per ilfattoquotidiano.it)

La massoneria ci riprova: dopo il silenzio di Grasso, lettera ai partiti per fare museo nel palazzo del Senato

mercoledì, gennaio 6th, 2016

Il Gran Maestro Bisi non ha avuto risposta al suo dossier per chiedere che sia riconcesso uno spazio al Grande Oriente d’Italia. Ora ci riprova con due missive indirizzate ai capigruppo

giustiniani-Una lettera. Anzi, due. Spedite direttamente al presidente del Senato, Pietro Grasso, e ai capigruppo delle forze politiche che siedono a Palazzo Madama. Dal Partito democratico a Forza Italia fino al Movimento 5 Stelle e ai ‘verdiniani’ di Ala. Insomma, stavolta il Grande Oriente d’Italia (Goi) è davvero determinato a riprendersi ciò che, a suo dire, gli spetta di diritto. Ovvero una porzione di Palazzo Giustiniani, la struttura che attualmente ospita l’appartamento di rappresentanza della seconda carica dello Stato e gli uffici dei senatori a vita un tempo di proprietà della più numerosa comunione massonica italiana, da utilizzare come sede del museo storico della massoneria. Circa centro metri quadrati all’interno dei quali esporre, nelle intenzioni del Goi, anche alcuni indumenti indossati dal massone italiano più famoso del mondo, Giuseppe Garibaldi. Una vicenda della quale ilfattoquotidiano.it si è recentemente occupato, anticipando i contenuti di un dossier che il Gran Maestro, Stefano Bisiha messo a punto e poi inviato al presidente del Senato. Accompagnato da una lunga lettera nella quale viene ripercorsa una questione che, fra grembiuli massonici, camicie nere e cavilli burocratici è iniziata oltre cento anni fa.

Missiva alla quale il presidente del Senato non ha però ancora fornito risposta, nonostante Bisi l’abbia spedita quasi due mesi fa, il 12 novembre 2015. Nelle due pagine e mezzo scritte di proprio pugno, il numero uno del Grande Oriente d’Italia ha ricordato a Grasso “il mancato adempimento da parte del Senato della Repubblica delle obbligazioni nascenti dall’atto transattivo intercorso il 14.11.1991 tra Intendenza di Finanza, Senato e Società Urbs”, appositamente costituita dal Goi nel 1911 per l’acquisto della struttura. Poi espropriata dal fascismo nel 1926. Accordo, quello firmato ai tempi in cui a presiedere l’Aula di Palazzo Madama c’era Giovanni Spadolini, che prevedeva “la concessione in uso da parte del Senato alla Urbs, e quindi al Grande Oriente d’Italia, di una porzione limitata dei locali stessi da adibire a museo storico della massoneria italiana. (…) Mi auguro che si possa aprire un canale di comunicazione per portare ad attuazione piena l’accordo transattivo del 1991 e fornire così finalmente una risposta adeguata alle altre finalità sottese che – conclude Bisi – attengono alla stessa memoria storica del nostro Paese”.

Ma non è tutto. Perché alla luce del silenzio di Grasso, il Gran Maestro del Goi ha preso nuovamente carta e penna e il 16 dicembre scorso ha scritto un’altra lettera. Indirizzandola, stavolta, a Luigi Zanda (Pd), Renato Schifani (Area popolare), Michele Giarrusso (M5S), Paolo Romani (FI), Lucio Barani (Ala), Mario Ferrara (Gal), Cinzia Bonfrisco (Conservatori e Riformisti), Gian Marco Centinaio (Lega Nord), Karl Zeller (Per le Autonomie) e Loredana De Petris (Gruppo Misto). Una missiva in questo caso più stringata, una pagina e mezzo circa, attraverso la quale Bisi chiede ai capigruppo dei partiti rappresentati a Palazzo Madama, “anche a nome di 23mila cittadini di questa Repubblica (cioè il totale degli iscritti al Goi, ndr), di contribuire alla soluzione di quanto sottoscritto per la realizzazione della piccola area museale della massoneria italiana”. Risposte? Per il momento nessuna. E chissà se arriveranno mai.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 5 gennaio 2016 per ilfattoquotidiano.it)

Comunicazione parlamentare, Grasso e Boldrini alle prese con la grana degli uffici stampa: nomi e criteri in alto mare

mercoledì, dicembre 2nd, 2015

Ci sono da rinnovare i contratti dei giornalisti di Palazzo Madama. Ma soprattutto stanno per lasciare i responsabili delle due strutture. Bisogna scegliere il metodo di selezione dei sostituti. Con un bando pubblico o per nomina diretta? Mannino (M5S) all’attacco: “Sciogliere il comitato per la Comunicazione di Montecitorio”

grasso-boldrini675Vertici degli uffici da cambiare. Giornalisti da confermare o licenziare. Criteri di selezione in alto mare. Con i presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso, alle prese con la patata bollente. E il presidente di un organismo parlamentare delicato come il comitato per la comunicazione della Camera sull’orlo delle dimissioni. E tutto perché si deve cambiare. Non solo a Montecitorio, ma anche a Palazzo Madama. Con l’anno nuovo, gli uffici stampa di entrambi i rami del Parlamento potrebbero andare infatti incontro a cambiamenti radicali. Nel primo caso perché l’attuale numero uno, Anna Masera, scaduto il contratto biennale che la lega alla Camera tornerà a La Stampa. Ma sul metodo di selezione del suo sostituto è in corso uno scontro politico. Al Senato, invece, perché Iolanda Cardarelli, che dal 2009 guida l’ufficio stampa e Internet, andrà in pensione. In questo caso a sceglierne il successore sarà l’ufficio di presidenza, come previsto dal regolamento. Ma non si ancora se saranno confermati i tre addetti stampa di cui dispone attualmente Palazzo Madama. Il tutto fra le proteste degli esponenti del Movimento 5 Stelle (M5S). Scontenti dei metodi di scelta delle due nuove figure.

FUORI CONCORSO – Il prossimo 31 dicembre la Masera, che dal 1° gennaio 2014 gestisce sia l’ufficio stampa sia la comunicazione di Montecitorio, tornerà a lavorare per il quotidiano torinese. Per il quale, prima di richiedere l’aspettativa visto il nuovo incarico istituzionale, ricopriva il ruolo di caporedattore e social media editor. Ovvio, quindi, che dovrà essere scelto un successore. Ma in che modo avverrà questa nomina, che deve comunque passare attraverso la votazione dell’ufficio di presidenza? Attraverso un bando, come successo la volta scorsa vagliando decine di curricula, oppure no? I maligni dicono che la presidente dell’Assemblea, Laura Boldrini, vorrebbe ‘commissariare’ questo ufficio, affidando il coordinamento dello stesso ad uno degli addetti stampa della Camera. Il tutto per costruire ancora meglio la propria immagine in vista delle prossime elezioni. I nomi sul tavolo sono quattro: Fabio Rosati, Gennaro Pesante, Ida Bressa e l’ex inviato parlamentare di Radio Radicale Roberto Iezzi, dato come favorito vista anche la lunga esperienza maturata fra Montecitorio e Palazzo Madama. Contattato sull’argomento, però, il portavoce della Boldrini, Roberto Natale, smentisce l’ipotesi del ‘commissariamento’. “Da parte della presidente non c’è alcuna intenzione di muoversi lungo questa direzione portando l’ufficio stampa sotto la sua segreteria personale – spiega ailfattoquotidiano.it –. Rimarrà chiarissima la distinzione fra la comunicazione della presidente e quella della Camera”. Anche perché, tiene a precisare Natale, “ricordo che è stata proprio Boldrini a innovare la prassi per la quale, fino a questa legislatura, era solo il presidente a scegliere il capo ufficio stampa. Tutto ciò coinvolgendo il comitato per la comunicazione”.

GIACHETTI IN BILICO – Ma i ritardi nella scelta del metodo di selezione del nuovo capo ufficio stampa della Camera non piacciono per niente al M5S. “A meno che non si faccia una corsa contro il tempo, non ci sono margini per indire un nuovo bando per nominare il successore della Masera”, dice la deputata Claudia Mannino, segretaria d’Aula nonché componente del comitato per la comunicazione di Montecitorio guidato dal vicepresidente dell’Assemblea, Roberto Giachetti (Pd). “Mi stupisce il fatto che si voglia tornare indietro – aggiunge –, anche perché il lavoro fatto in questi due anni è stato innovativo e, con la campagna referendaria per la riforma costituzionale alle porte, mi sembra assurdo manipolare questo ruolo affidandolo esclusivamente alla presidenza. Domani (mercoledì 2 dicembre, ndr) è in programma un nuovo ufficio di presidenza nel quale l’argomento in questione non è nemmeno all’ordine del giorno”. Per questo “risulta inutile continuare a mantenere attivo questo comitato, che già si riunisce raramente – conclude la deputata grillina –. In via informarle, ho già chiesto a Giachetti di abolirlo: stiamo valutando di inviare una richiesta ufficiale”. Non è però da escludere, secondo quanto spiegano fonti parlamentari a ilfattoquotidiano.it, che lo stesso Giachetti possa anticipare tutti dimettendosi dall’incarico.

SELEZIONE PUBBLICA – Al Senato la questione è apparentemente più semplice, anche se non mancano i mal di pancia. L’unica certezza al momento è che, come detto, l’attuale capo ufficio stampa e Internet, Iolanda Cardarelli, andrà in pensione dopo sei anni alla guida dell’importante organo parlamentare. A nominare il suo successore sarà direttamente l’ufficio di presidenza di Palazzo Madama. Il motivo? A differenza di Montecitorio, il capo ufficio stampa del Senato è un funzionario interno al quale sono affidate ulteriori competenze (come quella riguardante la gestione della libreria) e non per forza un giornalista. Diverso è il caso dei tre addetti stampa interni allo stesso ufficio. I quali in scadenza di contratto – che viene rinnovato ogni tre anni – saranno scelti direttamente dal presidente dell’Assemblea, Pietro Grasso, secondo quanto previsto da una recente delibera dell’ufficio di presidenza di Palazzo Madama. Al momento non esistono certezze sulla conferma degli attuali componenti: Marco Tagliavini, assunto tramite selezione pubblica nel 2001, Laura Trovellesi ed Eli Benedetti (entrambi a Palazzo Madama dal 2006). Un modus operandi che, come per Montecitorio, scontenta il M5S. Dice Laura Bottici, questore dei grillini al Senato: “Speravo in un cambio di rotta, in una selezione di professionalità fatta attraverso un bando pubblico. So che è difficile cambiare abitudini – conclude –, ma mi auguravo una scelta di professionisti indipendenti e non nominati”.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 1° dicembre 2015 per ilfattoquotidiano.it)

Massoneria: il Grande Oriente d’Italia vuole rientrare nel palazzo del Senato

venerdì, ottobre 30th, 2015

Il gran maestro Stefano Bisi ha preparato un dossier. Per indirizzarlo al presidente Grasso. Chiede che siano onorati vecchi accordi. Formalizzati negli anni Novanta dopo una lunga controversia. Per riavere almeno parte dei locali della vecchia sede espropriata dal fascismo. Per allestirci un museo con vecchi cimeli massonici. A cominciare dagli indumenti di Garibaldi

Articolo_Massoniera_ilFatto.itIl presidente del Senato, Pietro Grasso, è avvisato: la massoneria vuole tornare a Palazzo Giustiniani. Proprio così. E questa volta fa sul serio. Il Grande Oriente d’Italia (Goi), la più numerosa comunione massonica italiana, è pronto ad andare fino in fondo. Rivendicando ciò che, stando agli accordi che lo stesso Goi sostiene di avere formalizzato tra la fine degli Anni ’80 e l’inizio del decennio successivo con l’allora presidente del Senato Giovanni Spadolini, gli “spetterebbe di diritto”. Ovvero “una limitata porzione dei locali” della struttura che oggi ospita l’appartamento di rappresentanza della seconda carica dello Stato e gli uffici dei senatori a vita da utilizzare come “sede del museo storico della massoneria italiana”. Oltre cento metri quadrati all’interno dei quali esporre, fra le altre cose, alcuni degli indumenti indossati dal primo libero “Muratore d’Italia”, Giuseppe Garibaldi. Avete capito bene, proprio di una rivendicazione pressante si tratta. All’interno di una lunga e complicata vicenda arricchita da numerose carte bollate.

ACCORDI VANI Una storia che tra grembiuli massonici, camicie nere e cavilli burocratici promette comunque scintille già nelle prossime settimane. “Il Goi è una delle poche istituzioni, se non l’unica nel nostro Paese, a non essere mai stata risarcita, nemmeno simbolicamente, della perdita dei propri diritti a causa della violenza fascista”, spiega a ilfattoquotidiano.it il numero uno Grande Oriente d’Italia, Stefano Bisi. Già, perché questa storia ha origini lontane. Che risalgono addirittura a oltre un secolo fa. Precisamente al 16 febbraio 1911, giorno in cui la società Urbs (appositamente costituita dal Grande Oriente d’Italia) acquistò Palazzo Giustiniani per un milione 55 mila lire. Sette piani e 405 vani che, da quel momento, divennero la sede nazionale della comunione massonica con a capo Ettore Ferrari. Almeno fino al 1926. Quando, con un decreto legge ad hoc, il fascismo sottrasse al Goi il cosiddetto “vaticano verde”. Caduto il regime mussoliniano, “i tentativi di riconquistare legalmente la nostra sede sono risultati del tutto vani – aggiunge Bisi – sia per gli errori di gestione commessi dagli avvocati a cui ci siamo affidati sia per la diffusa ostilità nei confronti del Grande Oriente d’Italia da parte della magistratura, ancora fortemente segnata dal fascismo”. Sarà. Comunque, da quel momento è cominciata la guerra a suon di carte bollate. Tanto che solo a luglio del 1961, spiegano al Goi, l’allora gran maestro Publio Cortini e il ministro delle Finanze dell’epoca, il democristiano Giuseppe Trabucchi, stipularono una convenzione attraverso la quale il demanio concedeva per vent’anni alla Urbs 48 locali all’interno di Palazzo Giustiniani. Canone annuo: un milione di lire. Prevedendo anche la possibilità di un “rinnovo di comune accordo fra le parti”. E ancora: diciassette anni dopo, presso la stessa sede, la società ottenne in concessione altri 25 locali. Ad un costo stavolta molto più alto: 9 milioni 600 mila lire l’anno.

ASPETTA E SPERA Ma non è tutto. Il 1° luglio 1981, dopo che il Goi aveva concluso l’acquisto di Villa il Vascello (sua attuale sede nazionale), a Roma, l’ufficio del Registro della Capitale contestò alla Urbs “l’occupazione senza titolo” dei locali di Palazzo Giustiniani. Diffidandola a lasciare gli immobili entro trenta giorni. “Eppure noi – dice Bisi – da un anno stavamo portando avanti le trattative per definire i termini di una nuova concessione”. Risultato? Nonostante il ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che concesse la sospensiva al provvedimento che di fatto “sfrattava” la loggia massonica dal Palazzo, fra marzo e maggio 1988 il Grande Oriente d’Italia riconsegnò i locali al Senato. Ma non certo a mani vuote. Fu infatti messa nero su bianco una transazione, definitivamente firmata il 14 novembre 1991 dal presidente della Urbs, Pietro Ruspini, e dall’Intendenza di Finanza di Roma, tramite la quale la presidenza del Senato (con la partecipazione del ministero delle Finanze) e la società si accordavano affinché a quest’ultima fosse concessa “una limitata porzione dei locali rilasciati per destinarli a sede del museo storico della massoneria italiana”. L’accordo prevedeva, protestano adesso i vertici massonici, la consegna dei locali in questione addirittura entro dodici-diciotto mesi.

DOSSIER PER GRASSO Eppure, “nonostante i numerosi pareri favorevoli di ministero delle Finanze, presidenza del Senato e Consiglio di Stato alla concessione dei locali di Palazzo Giustiniani al Goi – prosegue il numero uno del Grande Oriente d’Italia – la nomina di un nuovo presidente di Palazzo Madama, Carlo Scognamiglio, e l’improvvisa morte di Spadolini prima ritardarono e poi di fatto impedirono il mantenimento degli impegni presi. In tutti questi anni ci siamo scontrati contro un muro di gomma rappresentato dagli apparati burocratici del Senato e con la sostanziale indifferenza dei suoi nuovi presidenti”. Ecco perché il Gran Maestro e i suoi hanno messo a punto un dossier nel quale vengono ripercorse tutte le tappe dell’annosa questione. “Nelle prossime settimane lo invieremo al presidente Grasso, nella speranza che finalmente ci venga dato quanto ci spetta – conclude Bisi –. Basta considerare la massoneria soltanto come qualcosa di negativo: pur con i nostri difetti siamo un pezzo della storia d’Italia”. Chissà se anche a Palazzo Madama la pensano allo stesso modo.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 29 ottobre 2015 su ilfattoquotidiano.it)