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Qualcosa di sinistra – da “Il Punto” del 21/12/2012

venerdì, dicembre 28th, 2012

Luigi de Magistris lancia il Movimento Arancione e prepara l’alternativa al Monti-bis. Idv, Rifondazione, Comunisti italiani e Fiom saranno della partita così come il magistrato Antonio Ingroia, che potrebbe essere candidato premier. Mentre Bersani apre all’accordo con i moderati dopo le elezioni

ingroia_demagistris-dipietroDiceva Marcello Marchesi, eclettico intellettuale italiano scomparso nel 1978, che «la rivoluzione si fa a sinistra e i soldi si fanno a destra». Chissà se nel dare vita al suo Movimento Arancione Luigi de Magistris avrà preso spunto da quella frase. Perché lui non ne ha mai fatto mistero: vuole fare «la rivoluzione governando». Slogan che gli ha permesso di vincere a Napoli e grazie al quale ora vuole puntare al colpo grosso. Roma. Il Parlamento. L’alternativa al governo Monti. «Siamo un Movimento di donne e di uomini con la schiena dritta che hanno il coraggio di combattere», ha spiegato l’ex magistrato presentando la sua creatura. Perno centrale di “qualcosa di sinistra” che si batte contro «un mondo dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri» e affinché «i partiti tornino ad essere quelli di Gramsci e Berlinguer». De Magistris, comunque, non è da solo. A “sinistra della sinistra” sono tutti in fermento. Vecchi e non, usato sicuro e facce nuove. Mettere tutti d’accordo non sarà facile, e il sindaco di Napoli ha assicurato che «questo non è il posto dove qualcuno si da una riverniciata». Ma il tempo stringe, e Bersani che apre a Casini (malgrado l’oltranzismo di Vendola) lo fa per un semplice motivo: arginare la possibilità di un Monti-bis che prende corpo in maniera sempre più concreta.

Via dunque alla nascita di un Quarto Polo che sia alternativo ai centristi, che permetta all’asse trilaterale Pd-Sel-Psi di trovare un alleato forte che garantisca una solida maggioranza nelle due Camere e che scongiuri lo spettro di altri cinque anni di rigore eterodiretto. Che, soprattutto, guardi a realtà come “Cambiare si può”, neonato soggetto politico-culturale che vede al suo interno la presenza di personalità quali il sociologo Luciano Gallino, lo storico Marco Revelli e il magistrato antimafia Livio Pepino (più esponenti di Fiom e Prc). «Ci sembra che il centrosinistra di oggi abbia molto poco di sinistra. È più sinistro, che di sinistra», ha recentemente dichiarato de Magistris. Che pure non ha chiuso le porte ai democratici, a patto che – ha aggiunto il primo cittadino campano – «Bersani metta in campo una proposta politica alternativa a tutto quello che il Pd ha fatto finora». Gli incontri e i contatti, negli ultimi giorni, si sono intensificati. Le elezioni alle porte costringono gli arancioni a lavorare a ritmi serrati, anche perché fra il 4 e il 13 gennaio bisognerà depositare il simbolo e le liste elettorali. Certo, un modo per uscire dall’impasse ci sarebbe: un’alleanza senza «se» e senza «ma» con l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro. «Se c’è spazio per loro? Assolutamente sì», ha risposto de Magistris a chi gli chiedeva di un accordo con l’ex pm, che era in platea al Teatro Eliseo di Roma nel giorno del lancio del Movimento. Potrebbe essere un do ut des. Se infatti l’Italia dei valori entrasse a far parte della neonata famiglia arancione non ci sarà bisogno di raccogliere le firme da zero. E si potrebbe cambiare il simbolo ottimizzando i tempi. Elementi non secondari. Ma su quest’ultimo punto, nel partito di “Tonino”, le voci critiche non mancano. Sabato scorso, durante l’assemblea generale dell’Idv, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando è stato chiaro: «Dobbiamo andare alle elezioni con il nostro simbolo, il gabbiano deve tornare a volare. Ma siamo al servizio di tutti coloro che in questo Paese sono contro Berlusconi e Monti». Ancora: «Se dovesse esserci la volontà di ampliare il fronte saremmo disponibili al dialogo, ma il partito deve continuare ad esistere. E comunque tutte le decisioni vanno prese attraverso un esecutivo nazionale» (che si svolgerà il prossimo 27 dicembre).

Di più ha fatto Francesco “Pancho” Pardi, il quale ha distribuito ad alcuni militanti un documento di due pagine in cui ha sottolineato che nel caso in cui il partito confluisca «nell’alveo del Movimento Arancione si verificherà al massimo il salvataggio di una parte assai limitata della nostra classe dirigente nazionale. E come questa si mescolerà a tutti gli altri soggetti confluenti – concludeva il senatore dipietrista – è materia di incertezza del futuro». E Di Pietro? Il suo intervento è stato un mix di rabbia e orgoglio. Il leader dell’Idv ha chiesto a Bersani «di rispondere a chi chiede l’unità del centrosinistra. Se saremo chiamati a rappresentare l’alternativa al governo Monti – ha tuonato rivolto al vincitore delle primarie – allora vuol dire che il vero centrosinistra siamo noi». Poi il messaggio, diretto senza giri di parole, ai possibili alleati: «È arrivato il momento di metterci la faccia, la firma e il nome. Noi non siamo asini da soma, non abbiamo bisogno di gente che dice: “Appena vinci sto con te”. Vogliamo unirci a quelle forze che la pensano come noi, a quelle realtà che parlano allo stesso elettorato. Le persone che si riconoscono nel Movimento Arancione sono quelle che condividono i principi dell’Italia dei valori. Chi vuole intraprendere un cammino insieme esca allo scoperto. Noi alle elezioni ci saremo, soli o ben accompagnati». Un appello il cui destinatario, fanno sapere fonti dell’Idv, non è solo de Magistris, ma anche tutte quelle forze sociali e sindacali con cui recentemente il partito ha aperto un dialogo. Non è un mistero che, grazie alla mediazione dell’ex segretario Fiom Maurizio Zipponi (ora responsabile lavoro dell’Idv), negli ultimi mesi i contatti fra Di Pietro e Landini si fossero intensificati. Poi, con la “maledetta” puntata di Report e il crollo verticale nei sondaggi patito dall’Idv (che oscilla ora fra l’1,5 e il 2%), i rapporti sono stati congelati. E, sempre per restare sull’argomento, il sindacato dei metalmeccanici figura tra le forze che hanno presentato in Cassazione i due quesiti referendari per abrogare le modifiche all’articolo 18 e all’articolo 8 dello statuto dei lavoratori. Nella “foto del Palazzaccio”, oltre a Nichi Vendola, ci sono anche il presidente dei Verdi Angelo Bonelli, il segretario del Pdci Oliviero Diliberto e quello di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero. Gli ultimi due hanno espresso le loro perplessità su una possibile alleanza fra l’orizzonte arancione e il duo Pd-Sel. Per Ferrero, in particolare, «le proposte che fa Bersani aggravano la crisi. A rincorrere il Pd impieghiamo male il nostro tempo». Più cauto Diliberto: «”Con i democratici a tutti i costi” e “mai con loro” sono entrambe posizioni sbagliate – ha spiegato dalle colonne de Il Manifesto –. È ovvio che io preferisco stare nel centrosinistra, ma non ad ogni costo».

In molti, però, concordano sulla possibilità che sia il magistrato Antonio Ingroia il candidato premier ideale del Quarto Polo. Un’idea che lo stesso de Magistris ha lanciato pochi giorni fa nel corso di un’intervista a MicroMega, e che ha etichettato come «un grande segnale di discontinuità, un elemento di rottura e di costruzione nello stesso tempo». Per il momento «il partigiano della Costituzione» ha mostrato cautela. «Sto prendendo in considerazione in che modo aiutare questo Movimento, ciascuno deve assumersi la sua responsabilità in questo momento del Paese» ha spiegato il magistrato prima di precisare che «correre troppo non è mai consigliabile. Io non vesto toghe o casacche colorate, né rosse né arancioni». L’appoggio a Ingroia, che stava indagando sulla trattativa Stato-mafia prima di accettare la nomina a direttore di un’unità di investigazione per la lotta al narcotraffico su incarico dell’Onu in Guatemala, ha fatto fare un momentaneo passo indietro a due possibili componenti del Movimento Arancione: il sindaco di Milano Pisapia (Sel) e quello di Bari Emiliano (Pd), che sposerebbero il progetto solo se lo stesso si ponesse nell’alveo del centrosinistra. Per il momento, comunque, quello degli arancioni è un work in progress. Ora palla passa nel campo di Vendola e Bersani. Ma è certo che, se il segretario del Pd continuerà ad affermare che la sua ricetta per il 2013 è «l’agenda Monti più qualcosa», la possibilità di coalizzarsi sarà morta ancora prima di cominciare.

Twitter: @mercantenotizie

«L’Idv non si scioglie e riparte con forza. Alleanze? Siamo già nel centrosinistra» – da “Il Punto” del 21/12/2012

giovedì, dicembre 27th, 2012

Belisario_IdvUna precisazione, prima di cominciare: «Eviterei di definire ciò che sta nascendo come “Quarto Polo”. Non porta bene e mi da l’idea di qualcosa di residuale. Credo che, in questa nascente aggregazione di forze, ci sia bisogno di partire prima di tutto dalla società civile tenendo presente quanto di buono c’è ancora nella politica e nei movimenti». È questo il pensiero di Felice Belisario, capogruppo al Senato dell’Italia dei valori.

Che Idv esce dall’assemblea di sabato scorso e, soprattutto, da dove intendete ripartire?

«Sicuramente l’Idv si è rafforzata. Il partito ha ripreso la voglia di combattere e crede di poter ripartire con forza. In questi anni i nostri gruppi parlamentari alla Camera e al Senato sono stati indicati da tutti come i più produttivi: significa che abbiamo progetti e persone per bene anche nelle istituzioni. La prossima campagna elettorale non sarà una passeggiata di salute, ma i dirigenti territoriali sono caricati e pronti».

Lei non vuole chiamarlo Quarto Polo. Diciamo, allora, che sta nascendo qualcosa “a sinistra della sinistra”?

«Io direi che sta prendendo vita un’aggregazione che difende i principi fondanti della Costituzione, che mette al primo posto gli articolo 1 e 3 della nostra Carta – ovvero che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e che la legge è uguale per tutti – e quei principi che si riferiscono alla scuola pubblica, alla sanità pubblica e alla parità di genere».

Qual è l’orizzonte programmatico di questa aggregazione? Cercherete la convergenza con la coppia Pd-Sel?

«Noi dell’Italia dei valori siamo stati chiari: lavoreremo fino all’ultimo istante per far comprendere al Partito democratico che c’è la necessità di far convergere le forze, di fare in modo che anche le diversità diventino una risorsa. Certo, non possiamo pensare a rifare l’Unione, perché quella è stata un’esperienza fallimentare che ha portato la destra alla vittoria. Però domando: non le sembra che un’alleanza che va da Casini e Montezemolo fino a Vendola sia una Unione del 2013? La confusione che è oggi sul piatto della politica dovrebbe insegnare qualcosa al Pd».

Nei mesi scorsi Vendola è stato molto vicino ad Antonio Di Pietro. E, è bene ricordarlo, figura in quella lista di forze che con voi hanno appoggiato i referendum sugli articoli 8 e 18. Ora però sembra essersi sfilato. Cosa ne pensa?

«Diciamo che in questa fase Vendola mi pare un po’ timido. Ha paura di scontentare il Pd ma anche i suoi, che vogliono tornare in Parlamento…».

Nella nuova creatura che sta nascendo dovrebbero confluire anche Prc e Pdci. Il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero, è stato chiaro: «Basta perdere tempo con il centrosinistra». C’è la possibilità di andare da soli?

«Noi siamo nel centrosinistra, come testimoniano le alleanze che abbiamo stretto in tantissime Regioni d’Italia – Lombardia, Molise, Lazio, Liguria, Toscana, Puglia… –, nella maggioranza delle Province e nella quasi totalità dei Comuni, eccezion fatta per Napoli e Palermo. Abbiamo il dovere di essere coerenti con la politica che facciamo sul territorio. Se a livello nazionale si andrà divisi, certamente non per colpa dell’Italia dei valori, ce ne faremo una ragione e proveremo a lavorare seguendo una via diversa. Però noi, ribadisco, proveremo fino alla fine a rafforzare il centrosinistra, non a indebolirlo».

Si parla della possibilità di far confluire l’Idv nel Movimento Arancione, ovviamente rinunciando al nome e al simbolo. C’è questa possibilità?

«Chiariamoci: l’Idv non si scioglie. Faremo un congresso rifondativo e da lì ripartiremo, togliendo il nome di Di Pietro e uscendo da una visione personalistica della politica. Io, come Italia dei valori, non confluisco da nessuna parte: possiamo entrare a far parte di qualcosa di diverso, ma non ci facciamo annettere né dal Movimento Arancione né da altri. Serve qualcosa di più grande che alle elezioni consenta a forze sane di rientrare in Parlamento e di frenare questa deriva populistico-bancaria».

De Magistris ha indicato Antonio Ingroia come candidato premier…

«Il sindaco di Napoli è andato avanti, il magistrato gli ha risposto che forse corre troppo. Conosco personalmente Ingroia e lo stimo, credo sia una grande personalità su cui non ho nulla da obiettare. Come Italia dei valori, però, non abbiamo fatto ancora alcuna valutazione».

Twitter: mercantenotizie

La guerra di Gigi – da “Il Punto” del 5/10/2012

giovedì, ottobre 11th, 2012

«Dottò, lei lo sa com’è Napoli. È una città complicata. Il sindaco sta provando a cambiare le cose, ma non è mica facile». È questo il parere del tassista che ci accompagna a Palazzo San Giacomo, dove incontriamo Luigi de Magistris. Da giugno dello scorso anno, primo cittadino di un realtà dalle tante contraddizioni. Da una parte ci sono i bambini che giocano a calcio in piazza del Plebiscito con le maglie di Hamšík, Cavani e Messi – erede dell’indimenticato Maradona –, dall’altra le zone dove la mano armata della criminalità continua a porre in secondo piano gli sforzi della nuova amministrazione. Fra queste c’è Scampia, «per cui l’amministrazione approverà a breve una delibera-quadro che prevede interventi concreti», rassicura de Magistris. E la politica nazionale? «Alle elezioni non escludo la presenza di una lista arancione. Una realtà che punti sul pubblico e sul privato e che si avvalga del forte contributo dei sindaci».

Sindaco, lei ha più volte ribadito la volontà di fare «la rivoluzione governando». Quindici mesi dopo la vittoria alle elezioni com’è cambiata la “sua” Napoli?

«C’è bisogno di fare una premessa: noi governiamo la città, da un anno e quattro mesi, senza soldi. Abbiamo dovuto fare i conti con un taglio orizzontale – il più alto d’Italia per complessivi da quando faccio il sindaco – di 350 milioni di euro. In una condizione simile o saremmo dovuti andare in dissesto, o la situazione sarebbe dovuta peggiorare rispetto alla precedente amministrazione. Invece la città è migliorata, in particolare sotto due aspetti: i rifiuti – sono fiero di aver restituito agli abitanti una Napoli senza immondizia, anche se resta ancora molto lavoro da fare – e il fatto di essersi rianimata da un punto di vista civico. Questa era una realtà depressa, mentre oggi i napoletani rispondono alle nostre iniziative e riempiono gli spazi pubblici. Abbiamo riportato la persona al centro dell’azione, e siamo l’unica città in Italia che malgrado i problemi finora esposti registra un trend positivo nella presenza di turisti».

Il vicesindaco Sodano ha dichiarato che il vostro vero problema è quello di essere fuori dalle vecchie logiche centrodestra- centrosinistra. Quante difficoltà ha trovato e sta trovando nello scardinare gli equilibri preesistenti?

«Tantissime, perché c’erano sistemi che abbiamo rotto e che riguardano i rifiuti, le burocrazie interne e le mediazioni politiche. Noi oggi prendiamo decisioni importanti confrontandoci con la città, con il consiglio comunale, aprendo dibattiti in rete. C’è una mediazione alta delle politica: personalmente non ho mai alzato il telefono per chiedere il permesso di prendere le decisioni. Quel sistema a cui fa riferimento Sodano resiste e in parte si oppone, anche perché noi non abbiamo nessuna sponda politica a livello nazionale. Napoli non ha avuto finora alcun sostegno né dal governo né dal Parlamento, i quali non hanno scritto nessuna pagina concreta sulla città da quando io sono sindaco. Questo avviene perché, a mio avviso, l’esperienza napoletana non viene vista ancora positivamente dagli apparati partitocratici che noi abbiamo scardinato».

Ne ha in parte già parlato lei poc’anzi, ma torniamoci su. Napoli è stata inserita, di recente, nella lista di città a rischio default. Che autunno sarà il vostro? 

«Noi siamo in pre-dissesto da un anno, è un miracolo non essere andati oltre. La situazione è grave, ma sono convinto che ne usciremo. Certo, il governo dovrebbe fare la sua parte. Noi abbiamo registrato interventi importanti su Milano, Roma, Catania e Palermo. E mentre il Capo dello Stato dice che senza Napoli non si può fare sviluppo, l’aiuto concreto dell’esecutivo – che vorremmo ci fosse – non arriva. Anche perché abbiamo ereditato un debito di 1,5 miliardi di euro, dovuto a politiche di inefficienza e sprechi portate avanti negli ultimi quindici anni da chi ci ha preceduto. Ciò vuol dire non poter fare assunzioni e concorsi, e non poter pagare le imprese. Domando: quanto può reggere ancora una città in queste condizioni senza un intervento concreto a livello centrale?».

In questi mesi si è detto e scritto molto sulle defezioni nella sua giunta: Rossi, Vecchioni, Narducci e Realfonzo. Si è fatta, spesso, un po’ di confusione. Cerchiamo di mettere ordine… 

«Io prima dell’estate, con un’espressione scherzosa – ma fino ad un certo punto – dissi: “Costituiamo il gabinetto di guerra”. L’esperienza napoletana è una guerra contro la camorra, la partitocrazia, è una battaglia civile per il cambiamento e noi lottiamo come leoni anche per diciotto ore al giorno. Non tutti reggono una situazione simile. I casi citati sono molto diversi, e non è escluso che ce ne potrebbero essere degli altri: questo perché c’è chi potrebbe essere un ottimo assessore in tempi “di pace”, ma non è all’altezza in quelli “di guerra”».

Cos’è successo con loro, dunque?

«Roberto Vecchioni non è stato un componente della giunta, ma una scelta che ho fatto per ammirazione e passione nei confronti di un grande cantautore quale lui è. Il suo errore – mi prendo però anche le mie responsabilità – è stato quello di aver pensato di venire a fare l’artista, invece doveva mettere in campo anche una capacità manageriale. Quando si è trovato di fronte ad una situazione difficile come quella di Napoli non se l’è sentita di proseguire. Abbiamo però ottimi rapporti, collaborerà con il forum delle culture, a livello umano è rimasto tutto come prima. Raphael Rossi (ex presidente di Asìa, la società del comune di Napoli che si occupa di rifiuti, ndr) ha polemizzato con l’amministrazione ma non con me personalmente. Anche lui ha pagato il fatto di non essere la persona giusta per governare un momento di conflitto: ciò è avvenuto per la mancata capacità di conoscere fino in fondo Napoli. Ma più che focalizzarmi su di lui mi concentrerei su chi lo ha sostituito: Raffaele Del Giudice ha rappresentato un salto di qualità, perché conosce vicolo per vicolo questa città e ha – con i fatti – contrastato la camorra e saputo aprire un dialogo con i lavoratori».

Com’è andata con Giuseppe Narducci e Riccardo Realfonzo, invece? 

«Al primo (ex assessore alla Sicurezza, ndr) non avrei mai revocato la delega pur essendo stato molto deluso da lui – anche in questo caso, come in precedenza, faccio mea culpa –, perché pensavo portasse capacità politiche, praticità, risoluzione dei problemi e un contrasto effettivo alla delinquenza e alla camorra. Al contrario c’è stato da parte sua un atteggiamento molto burocratico e formalistico all’interno della giunta. Ma per quanto lui ha rappresentato e rappresenta io non lo avrei mai mandato via. Lui ha deciso di andarsene scatenando una polemica che francamente fa torto a lui, perché nel corso dei mesi ha condiviso tutti gli atti e la vita di questa giunta. Diverso è il caso di Realfonzo (ex assessore al Bilancio, ndr), l’unico assessore che avevo già indicato in campagna elettorale, che potrebbe essere – tornando a quanto ho detto poc’anzi – un buon assessore in tempi “di pace”. Anche da lui, viste le competenze, mi aspettavo di più. Invece dopo un anno il bilancio del suo lavoro, in un ruolo strategico, è stato deludente. Serviva una svolta. La sua reazione è umanamente comprensibile, però bisogna evitare le drammatizzazioni. Il giorno prima che gli comunicassi la mia decisione mi mandò un messaggio in cui mi scrisse che io ero il leader nazionale del movimento arancione, e che dovevo candidarmi alla presidenza del consiglio; poi successivamente ha rilasciato un’intervista a il Fatto Quotidiano e ha detto che ho metodi democristiani e che sono il peggior sindaco d’Italia. È una replica che non aiuta la politica».

Una delle note dolenti di Napoli è Scampia. Pochi giorni fa lei ha parlato di un progetto di riqualificazione dell’area, esponendo i costi (5 milioni solo per abbattere le vele). Al di là dell’aspetto urbanistico, cosa farà la giunta de Magistris sotto l’aspetto sociale? 

«Per agire su Scampia ci vogliono i soldi ma finora, malgrado le difficoltà, abbiamo fatto tante cose. Ho visitato personalmente tutte le scuole del quartiere, siamo partiti con il “porta a porta” raggiungendo ottimi risultati, abbiamo istituito l’isola ecologica. Ed è passato un solo anno. A breve approveremo una delibera-quadro su Scampia: partiremo da qui per poi andare a toccare anche altre zone della città. Sarà un’opera di programmazione, in modo tale che i cittadini sappiano quali sono gli impegni che vogliamo rispettare».

Cosa prevede la delibera, in concreto? 

«Primo punto, l’abbattimento delle vele e la costruzione di aree verdi, centri sociali e laboratori. Riqualificheremo i parchi, e fisseremo un cronoprogramma stringente per l’assegnazione degli alloggi popolari in costruzione grazie ai fondi residui. Interverremo su chi, in modo abusivo e criminale, occupa abitazioni comunali. Abbiamo ottenuto i fondi per il completamento della cosiddetta “Università della Medicina”. E realizzeremo l’unità operativa della Polizia municipale. Poi – cosa a cui tengo molto – assegneremo gratuitamente un immobile molto grande alle associazioni che si impegnano concretamente sul territorio. Ai cittadini chiediamo, in cambio, di mobilitarsi: un quartiere ha bisogno della partecipazione attiva dei suoi abitanti».

A fine luglio, prima di venire a visitare la città, il ministro Severino ha dichiarato che mentre in Sicilia, dopo la morte di Falcone e Borsellino, si sviluppò un clima nuovo, qui a Napoli spesso le persone sono dalla parte della criminalità e non dalla giustizia. Come si esce da questa situazione? 

«Spiace che un ministro della Giustizia non abbia un quadro serio e concreto di quanto accade a Napoli. E che non si renda conto dei paragoni che fa. Tutti sappiamo cos’è successo a Falcone e Borsellino. La reazione della gente era doverosa, e la Severino dovrebbe anche sapere che dopo la stagione delle bombe le mafie hanno abbandonato tale strategia – che non portava risultati – cercando invece di penetrare nelle istituzioni. Un ministro della Giustizia “tecnico” dovrebbe anche sapere che servono meno caccia bombardieri e più benzina alla Polizia e ai Carabinieri, e che in un quartiere come Scampia – ma anche in tanti altri – ci sono cittadini che quotidianamente si impegnano sul territorio contrastando le piazze di spaccio. E spesso lo fanno in silenzio. Napoli si è risvegliata, si è rimessa in moto. Noi continuiamo a lavorare, ma da persone come lei mi aspetto meno demagogia e superficialità».

Ha fatto discutere la sua proposta di creare un quartiere a luci rosse. Ci spiega di cosa si tratta?

«Vorrei destinare un’area della città dove le coppie – quindi non c’entra nulla la prostituzione – che non hanno una casa possano andare senza avere paura di essere aggrediti o derubati. Un luogo di socialità come ne esistono anche in altre città d’Europa. Non mi piace, da cittadino prima che sindaco, chiudere gli occhi. Quindi l’altro tema, quello della prostituzione, va affrontato. C’è un aumento del fenomeno in tutta Italia, anche se a Napoli i dati sono più bassi rispetto a Roma e Milano. La priorità è punire i criminali e gli sfruttatori, partendo da un dato di fatto: c’è un’offerta perché c’è una domanda. Quindi noi vogliamo individuare zone non dove la prostituzione sia legalizzata, ma dove si può esercitare permettendo alle forze dell’ordine di avere maggiore controllo e dove possono essere recuperate più facilmente molte “vittime”, andando verso un contrasto del fenomeno. È un tema su cui bisogna discutere, e sui mi auguro ci possa essere un dibattito laico in consiglio che porti alla migliore soluzione possibile».

Entro fine mese sarà presentato il programma del movimento arancione. Com’è nato e cos’è davvero? 

«È un movimento nato nel periodo della campagna elettorale del 2011, unendo soprattutto Milano e Napoli. È un luogo adatto a chi vuole cambiare la politica, e a giorni pubblicheremo un manifesto – fatto di proposte che non guardano al contingente ma ai prossimi anni, senza aggregazioni ma con contenuti economici, sociali e politici – e gli daremo un nome. Ad ottobre lanceremo la prima iniziativa, e indicheremo i modi in cui intendiamo organizzarci e finanziarci, mettendo in rete un documento che apriremo ai cittadini che vogliono inserire i loro contenuti. È un movimento che dovrà operare da Nord a Sud, che non è contro i partiti ma distante da loro».

Ci sarà una lista arancione alle prossime elezioni? 

«Dipenderà da alcuni fattori. Per esempio dalla legge elettorale e dal fatto che io non mi posso candidare, perché Napoli ha bisogno di guardare negli occhi le persone a cui affidano il cambiamento. Io sarò uno dei trascinatori del movimento e ci metterò la faccia, anche perché stiamo registrando molte adesioni. Non escludo quindi che una lista ci possa essere. Non è certa, ma è pos- sibile. I sindaci daranno un contributo perché rappresentano una grande risorsa democratica per un Paese che deve continuare ad andare avanti malgrado le difficoltà».

In politica economica quali sono le linee guida del movimento? 

«Noi siamo contro le economie liberiste e il capitalismo senile. Il capitalismo è entrato in una crisi strutturale e non legata solo allo spread. Ciò significa provare a costruire dal basso forme di economia diverse, riscoprendo i servizi pubblici come un valore reale. Al tempo stesso vogliamo essere molto attenti a quel mondo privato – cooperative, piccole e media imprese –, che però non hanno nell’accumulazione del capitale l’obiettivo dell’investimento. Riteniamo poi che parte della proprietà pubblica debba essere consegnata ai cittadini che, nei vari quartiere e attraverso assemblee del popolo, decidono cosa fare di parti di città per attività di ogni tipo».

Poi? 

«La patrimoniale sui grandi patrimoni e le transazioni finanziarie. Poi deve essere applicata un’aliquota uguale all’Iva sui capitali scudati che rientrano dall’estero – ne guadagneremmo circa 15 miliardi di euro –, più l’immediata sospensione dell’acquisto di inutili e dispendiose commesse militari e l’interruzione delle missioni militari. Unita a ciò va portata avanti una riduzione forte del costo del lavoro per far ripartire le imprese, favorendo gli investimenti soprattutto nelle aree più depresse ».

La stampa parla di rapporti non idilliaci fra lei e Di Pietro, riguardo soprattutto agli attacchi dell’Idv al Pd e quelli a Napolitano sulla trattativa… 

«Il problema non sono le alleanze politiche. Chi governa, come faccio io a Napoli, deve avere un profilo istituzionale e può dire cose fortissime senza mancare di rispetto alle istituzioni. Anche quando prendono decisioni che non si condividono. Nella vicenda di Palermo io sono dalla parte dei magistrati, senza se e senza ma. Quelli coraggiosi e onesti, che cercano la verità, devono essere messi nelle condizioni di portare avanti le loro inchieste».

E i rapporti con Di Pietro? 

«Sono buoni. Partecipo molto poco all’attività di partito, ma a Vasto abbiamo parlato a lungo, analizzando le cose da fare. Credo che il nostro rapporto si evolverà quando lui si renderà conto che io non sono un pericolo per l’Idv, ma una risorsa».

Cosa pensa del coinvolgimento di Nicola Mancino nella trattativa? 

«Io l’ho conosciuto bene: è quello che ha presieduto la sezione disciplinare del Csm che mi strappò ingiustamente la toga di pubblico ministero perché facevo inchieste molto simili a quelle che vengono portate avanti in questo momento. Non potrei mai stare dalla sua parte, mi sembra ovvio».

Lei ha chiesto un dibattito pubblico a Grillo, con cui in passato ha avuto più di qualche scambio polemico. Cosa ha alimentato, secondo lei, il fenomeno del comico genovese? 

«Grillo ha una politica fatta di blog – cosa che ho fatto e faccio tutt’ora anche io, sfruttando i social network –, e sbaglia quando pensa che solamente lui possa rappresentare il bene del Paese. Il Movimento 5 Stelle non è antipolitica, anzi condivido un buon 80% di quello che dicono i suoi componenti. Un buon banco di prova è quello di Parma, dall’operato di Pizzarotti secondo me capiremo molte cose. La sua capacità di realizzazione dipenderà da ciò che faranno gli altri: se continueranno ad esserci “ammucchiate” o politiche vaghe da parte degli altri schieramenti, Grillo otterrà un risultato straordinario. Come movimento arancione li considero una risorsa, e spero di potermi confrontare con loro. Però devono evitare di guardare solo il loro orticello, altrimenti commetteranno errori simili a quelli che contestano agli altri partiti».

Se Renzi vincesse le primarie del Pd cosa cambierebbe? 

«Prima di tutto gli farei i complimenti. È giovane, fa il sindaco di Firenze, ci mette la faccia e delle idee, molte delle quali non condivido. Personalmente non lo considero un innovatore della politica: le sue proposte non sono quelle che secondo me possono portare a costruire una sinistra europea ed internazionale, che lotta contro la povertà e le disuguaglianze. È un misto di quanto dicono Pd e Pdl, quindi credo che ci si potrà incontrare per fare qualcosa di importante, ma vedo molto difficile una possibile alleanza fra me e lui».

In conclusione: bisogna tornare a scattare una nuova foto di Vasto, strappando quella del Palazzaccio? 

(Sorride) «Penso che le foto portino male, meglio non farle…».

Twitter: @GiorgioVelardi