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I collaboratori parlamentari sono senza regole e le Camere se ne fregano

venerdì, marzo 10th, 2017

Camera-Montecitorio-e1489039645650Non si sa nemmeno quanti sono in tutto. E già questo basterebbe per comprendere la reale portata del problema. Al punto che recentemente l’associazione che riunisce alcuni di loro ha indirizzato una nuova lettera ai questori di Montecitorio e Palazzo Madama per chiedere un repentino cambio di passo, dopo che alla precedente “non è arrivata risposta”. Proprio così. Stiamo parlando dei collaboratori parlamentari, quelli che spesso – in maniera non proprio edificante – vengono chiamati “portaborse”. Professionalità che affiancano deputati e senatori nel proprio lavoro quotidiano ma che, ancora oggi, sono praticamente privi di tutele. A cominciare da quelle contrattuali. Insomma, se all’Europarlamento si scopre addirittura che qualche deputato ha assunto come collaboratore un suo parente pagandolo la bellezza di oltre 120mila euro l’anno (nel 2005 Bruxelles ha adottato lo “Statuto dei deputati del Parlamento europeo” che all’articolo 21 regola la figura in questione), nel nostro Paese “non vi è alcun tipo di modello contrattuale al quale il parlamentare possa fare riferimento”, ha denunciato l’Associazione italiana collaboratori parlamentari (Aicp) presieduta da Valentina Tonti.

Non solo. “Non vi è alcuna relazione fra l’incarico ricoperto, il numero di ore lavorate e la retribuzione, non vi è alcuna chiarezza sul dovere di versamento delle tasse, contributi e non vi è alcun elemento di trasparenza”, ha accusato ancora l’Aicp, malgrado il fatto che “vi sia l’obbligo da parte del parlamentare di depositare presso gli uffici competenti il contratto del proprio collaboratore”. Così “permane il ricorso diffuso a contratti di lavoro atipici”, in particolare partite Iva e collaborazioni a progetto, “nonostante il rapporto di lavoro abbia, molto spesso, le caratteristiche del rapporto di lavoro subordinato”. Uno scandalo a tutti gli effetti, considerando il fatto che il Parlamento è il luogo dove si fanno le leggi e che oltre all’indennità (circa 5.000 euro) e alla diaria (circa 3.500 euro), ogni eletto riceve un rimborso spese per il proprio mandato. Stiamo parlando di 3.690 euro alla Camera e circa 4mila euro al Senato. Cifra – non proprio briciole – pensata per sostenere le attività istituzionali. Metà della quale, come ha ricordato nei giorni scorsi l’associazione Openpolis in un approfondimento sul tema, è sottoposta a rendicontazione quadrimestrale mentre l’altra metà è erogata forfettariamente. Cosa c’è tra le spese da certificare? Anche quella per il proprio collaboratore, ovvio.

Questo vuol dire che ogni deputato e senatore ha a disposizione una somma che può spendere per assumere un assistente. Eppure, come dicevamo, i dettagli del rapporto di lavoro sono lasciati alla piena discrezione del politico e dell’interessato. Ecco perché due giorni fa, dopo lo scoppio della vicenda europea, la Tonti ha commentato amaramente. “Solo laddove ci sono norme chiare e stringenti possono emergere irregolarità – ha detto –. A differenza di Bruxelles, non sappiamo quali siano gli esiti dei controlli fatti a campione dalle stesse Camere sulla documentazione dei nostri parlamentari perché non pubblici né conoscibili”. Come ha sottolineato l’Aicp, la professione è regolamentata anche in Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna. Ma ai nostri onorevoli, si sa, su certe cose piace fare orecchie da mercante.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 9 marzo 2017 per La Notizia

Portaborse: pasto caldo alla mensa assicurato, ma regolamentazione della professione ancora lontana

giovedì, marzo 31st, 2016

Accordo raggiunto tra l’associazione dei collaboratori parlamentari e i deputati-questori. Grazie al quale potranno frequentare uno dei centri di ristorazione di Montecitorio. Ma restano inascoltate le vecchie richieste. Per ottenere regole contrattuali sul modello del Parlamento europeo. E rapporti di lavoro diretti con le amministrazioni di Camera e Senato. Mentre continuano a registrarsi casi di lavoro in nero 

camera-deputati-notte-675Da oggi anche loro avranno diritto ad un pasto caldo “a prezzi sostenibili” e “senza discriminazioni”. Servendosi in uno dei bar-mensa della Camera. Una conquista alla quale si è giunti al termine di una lunga mediazione fra l’organizzazione che li riunisce e i deputati-questori dopo la chiusura del ristorante di piazza San Silvestro gestito, fino a due anni fa, dalla Milano 90 dell’immobiliarista Sergio Scarpellini. I collaboratori parlamentari esultano. Per loro sono finiti i tempi dei panini mangiati velocemente nei bar del centro fra una seduta d’Aula e l’altra. Pagati, manco a dirlo, di tasca propria. A cifre non sempre popolari. Problema risolto, anche se ne rimangono tanti altri sul tappeto. E anche più importanti. Perché nonostante la soluzione sui pasti salutata con favore dall’Associazione italiana collaboratori parlamentari (Aicp) attraverso un apposito comunicato, “resta ancora molto da fare per riconoscere una piena dignità professionale alle centinaia di persone che lavorano tra Camera e Senato”, dice a ilfattoquotidiano.it la presidente Valentina Tonti.

SOLUZIONE ALL’ITALIANA – Quella che riguarda gli assistenti di deputati e senatori, un vero e proprio esercito di persone se si calcola che ogni parlamentare si avvale di almeno un collaboratore, è una questione che si perde negli annali. Da tempo a Montecitorio e Palazzo Madama si parla di regolamentare per legge la loro figura, magari sul modello di Germania, Gran Bretagna, Francia o del Parlamento europeo. Realtà nelle quali il rapporto contrattuale fra parlamentari e collaboratori è gestito dall’amministrazione della Camera di appartenenza. E nel nostro Paese? “Il collaboratore – spiega Tonti – viene retribuito con il rimborso spese per l’esercizio del mandato”: circa quattromila euro al mese inseriti nella busta paga degli eletti per pagare però anche consulenze, ricerche e uffici, soggetti a rendicontazione solo per metà. La classica soluzione all’italiana, dunque. A dire il vero, in passato era stato fatto un tentativo: a ottobre 2012 la Camera aveva approvato un provvedimento ispirato al modello vigente nel Parlamento europeo. Introducendo pure il divieto di assumere parenti, coniugi o affini entro il secondo grado. Com’è andata a finire? Come nel gioco dell’oca. Il disegno di legge fu incardinato al Senato, ma la fine anticipata della legislatura riportò la situazione al punto di partenza. E dal 2013 ad oggi tutto è rimasto fermo.

FERME AL PALO – “Questo Parlamento ha finora dimostrato di non voler affrontare con la necessaria determinazione la questione dei collaboratori”, aggiunge la presidente dell’Aicp. Al momento, chiusi nel cassetto della commissione Lavoro di Montecitorio, si contano quattro disegni di legge sul tema presentati da Partito democratico, Sinistra Italiana, Movimento 5 Stelle e Nuovo centrodestra. “La strada legislativa non è nemmeno la più efficace – spiega Tonti –. Oltre ai tempi propri dell’iter previsto per la discussione della norma, l’attuazione di un’eventuale legge sarebbe poi subordinata alle delibere degli uffici di presidenza di Camera e Senato. Che potrebbero comunque anche decidere senza una misura specifica”. Negli ultimi anni “abbiamo promosso l’approvazione di numerosi ordini del giorno riguardanti la nostra figura in occasione dell’esame del bilancio delle due Camere” ma “sono finora rimasti lettera morta”. Cosa chiede l’Aicp? “Che i collaboratori – spiega Tonti – vengano retribuiti direttamente dalla amministrazioni di Camera e Senato”.  Che però sembrano nicchiare, mentre continuano a registrarsi casi di persone che lavorano con contratti irregolari o addirittura pagate in nero dagli stessi onorevoli.

Twitter: @GiorgioVelardi  

(Articolo scritto il 30 marzo 2016 per ilfattoquotidiano.it)

Portaborse al palo – da “Il Punto” del 21/12/2012

venerdì, dicembre 21st, 2012

portaborsePensavano che fosse finalmente arrivato il loro momento. E invece, con la fine anticipata della legislatura, il ddl che avrebbe regolamentato la figura dei collaboratori parlamentari – più comunemente chiamati “portaborse” – non vedrà mai la luce. Il provvedimento, ispirato al modello del Parlamento europeo (dove i collaboratori parlamentari vengono pagati direttamente dall’amministrazione di Bruxelles e non dai singoli deputati) è stato approvato alla Camera all’inizio di ottobre, ma non ancora calendarizzato al Senato. Nello stesso periodo, un’inchiesta de “Il Punto” aveva reso noti i soprusi subiti da alcuni “portaborse”. Che, visto l’accaduto, sono purtroppo destinati a continuare.

Twitter: @mercantenotizie  

La casta colpisce ancora* – da “Il Punto” del 12/10/2012

mercoledì, ottobre 17th, 2012

Si è conclusa l’indagine della Direzione provinciale del Lavoro di Roma sui collaboratori parlamentari. 58 le irregolarità riscontrate alla Camera su un totale di 272 accrediti, 21 su 160 quelle al Senato. Resta il “buco nero” di 513 Onorevoli che sembrano non avere assistenti ma percepiscono l’indennità mensile. Il racconto di una testimone: «Pagata in nero per 10 anni». Le leggi violate nel luogo in cui vengono approvate 

«Il mio impegno alla Camera è iniziato nel 1998, quattordici anni fa. Dieci dei quali passati in nero. All’inizio ero in decreto Camera e, all’Onorevole per cui lavoravo, dovevo ridare indietro più della metà dei soldi in “mazzetta”. Poi è cominciato un lungo percorso al fianco di altre figure, sempre senza contratto. Finché nel 2009, dopo aver finalmente sottoscritto un regolare accordo, ho cominciato a stare male. Visto che non abbiamo mai avuto alcuna forma di tutela sono prima stata costretta ad andare a lavorare benché in mancanza di forze e poi, una volta ricoverata d’urgenza all’ospedale, mi sono vista recapitare una lettera di licenziamento senza preavviso dalla poco Onorevole persona a cui prestavo assistenza. Adesso ho un contratto e guadagno poco più di 700 euro al mese». Quello che avete appena letto è un passaggio della sconcertante testimonianza che Cristina, collaboratrice parlamentare, ha rilasciato in esclusiva a Il Punto. Le sue parole arrivano in concomitanza con la conclusione dell’ispezione che la Direzione provinciale del Lavoro di Roma guidata da Marco Esposito – su delega della Procura della Repubblica – ha portato avanti nel corso degli ultimi 24 mesi per fare luce sulla condizione dei cosiddetti “portaborse”.

I NUMERI DELL’INDAGINE - Un caso che questo giornale aveva seguito attentamente già nel 2010, proprio quando partì l’indagine dell’ispettorato del Lavoro. Anche allora le voci degli interessati raccontarono di contratti assenti, di ore di lavoro non pagate o retribuite in nero, di soprusi e accordi cambiati in corsa. Ora ci sono le cifre. Partiamo dalla Camera dei deputati, dove sui 272 collaboratori accreditati per l’accesso ai Palazzi – così come segnalato dal Segretariato generale – sono state riscontrate 58 irregolarità che riguardano la materia lavoristica, previdenziale e assicurativa, per un importo totale di sanzioni pari a 5.800 euro. «Si tratta di illeciti amministrativi, non abbiamo riscontrato elementi di rilevanza penale», sottolinea a Il Punto il direttore Marco Esposito. Nella lista ci sono 36 omesse o ritardate comunicazioni di assunzione o cessazione di rapporti di lavoro ai competenti Centri per l’impiego; 12 omesse istituzioni del Libro unico del lavoro (Lul, ossia un libro che sostituisce i libri paga e matricola e che è stato istituito con gli articoli 39 e 40 del decreto legge n. 112/2008); 4 omesse o infedeli registrazioni sul Lul; una omessa vidimazione dell’ex libro paga; un omesso versamento dei contributi; una riqualificazione del rapporto di lavoro e il relativo recupero contributivo e una omessa denuncia all’Inail (l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni) delle autoliquidazioni. Poi c’è il Senato. Per cui, afferma Esposito, «la metodologia di lavoro è stata diversa, perché ci sono stati forniti i nomi dei senatori che avevano chiesto l’accredito, e non dei collaboratori. Il sistema informatico di comunicazione obbligatoria a cui abbiamo accesso telematicamente ci ha permesso di fare il percorso inverso».A Palazzo Madama, sui 160 senatori che avevano chiesto l’accredito, le irregolarità rilevate sono state 21. Ovvero: 4 omesse istituzioni del Lul; una tardiva istituzione dello stesso Libro unico del lavoro; 10 omesse comunicazioni di assunzione e/o cessazione dei rapporti di lavoro ai competenti centri per l’impiego e (perfino) 6 sanzioni per l’impedimento all’ispezione. In questo caso l’importo finale è di 18.980 euro, per un totale – Camera più Senato – di 24.780 euro.

IL “BUCO NERO” - Resta però un “buco nero”. Ovvero quello degli altri 358 deputati e 155 senatori che si presume siano sprovvisti di “portaborse” non avendo mai richiesto l’accredito per i loro collaboratori. È davvero così? Un interrogativo ancora aperto, come ribadisce Piero Cascioli, funzionario dell’Ispettorato del Lavoro, che afferma: «Abbiamo notiziato Camera e Senato sull’argomento, ma sono già a conoscenza di ciò. Anche perché l’indennità preposta anche al pagamento dei collaboratori viene comunque erogata ai parlamentari». «Chi di dovere sa cosa accade», racconta a questo proposito Cristina. «Io ho scritto alle più alte cariche dello Stato – presidente della Repubblica, della Camera, della Corte dei conti e anche al Cardinal Bagnasco – parlando, per esempio, dei tesserini che sono nella disponibilità di qualcuno e che contribuiscono ad alimentare il “mercato nero” dei collaboratori. C’è chi ne possiede 40, che ha sparso da tutte le parti, e che sono finiti nelle mani di persone che vengono pagate in nero perché senza contratto. Eppure la risposta che mi sono sentita dare quando ho interloquito con alcuni illustri esponenti delle istituzioni è stata: “Se lo ritiene opportuno, si rivolga alla magistratura” ». Poi il particolare choc: «Nella passata legislatura, per farmi tacere su quanto succedeva, mi fu detto che sarei stata “raccomandata” per vincere il concorso da funzionario alla Camera». Eppure Cristina, quando nel 2009 fu licenziata mentre era in ospedale, provò a denunciare l’accaduto. Però «mi hanno consigliato di desistere perché la persona che mi aveva messo alla porta era in stretto contatto con personalità importanti, e quindi “avrei preso solo schiaffi in faccia”». E la riforma di cui si parla in questi giorni?, le domandiamo. «È uno specchietto per le allodole ».

LA RIFORMA - Ma cosa prevede la riforma a cui il Parlamento ha deciso di mettere mano e che regola la situazione dei collaboratori parlamentari? L’obiettivo è disciplinare il rapporto di lavoro che li lega a deputati e senatori. Gli abusi, i compensi inadeguati, i contratti irregolari o la mancata contrattualizzazione sono riconducibili al fatto che attualmente deputati e senatori provvedono direttamente a pagare i propri collaboratori attingendo alla somma mensile che Camera e Senato versano loro a titolo di “Rimborso spese per l’esercizio del mandato”, pari rispettivamente a 3.690 e 2.090 euro. Una modalità che nel corso degli anni ha alimentato situazioni poco chiare e che si sta tentando di sanare con una proposta di legge bipartisan, approvata da Montecitorio nelle scorse settimane e passata ora all’esame di Palazzo Madama. Il modello di riferimento adottato è quello del Parlamento europeo, dove i collaboratori parlamentari vengono pagati direttamente dall’amministrazione di Bruxelles e non dai singoli deputati. Il provvedimento stabilisce, quindi, il diritto dei parlamentari ad avere l’assistenza di collaboratori per l’attività connessa all’esercizio delle funzioni inerenti il proprio mandato. L’unico limite, e questa è una novità, sta nel fatto che non possono essere assunti parenti, coniugi o affini entro il secondo grado. Spetterà alla Camera di appartenenza del parlamentare pagare la retribuzione al collaboratore, versare i relativi oneri fiscali e previdenziali e vigilare affinché le attività indicate nel contratto di lavoro siano connesse all’esercizio delle funzioni parlamentari e il contratto stipulato sia coerente con l’attività svolta. In questo modo si punta ad evitare casi di sfruttamento, di pagamenti inadeguati, di collaboratori parlamentari non contrattualizzati. Di fronte al primo via libera al provvedimento, però, i diretti interessati si dividono tra entusiasti e scettici. Le due associazioni che riuniscono i collaboratori, infatti, hanno due visioni diverse della situazione. Se il Coordinamento dei collaboratori parlamentari (Cocoparl), guidato da Emiliano Boschetto, ritiene che con questa legge le cose possano davvero migliorare per la categoria grazie all’introduzione del vincolo di destinazione delle risorse e del pagamento diretto da parte del Parlamento, l’Associazione nazionale collaboratori parlamentari (Ancoparl), presieduta da Francesco Comellini, piuttosto che una legge auspica una modifica dei regolamenti interni di Camera e Senato, che consentirebbe di chiudere la partita in tempi più rapidi. In effetti l’incognita sono proprio i tempi. Dopo l’approvazione di Palazzo Madama, gli Uffici di Presidenza di Camera e Senato dovranno adottare delle delibere volte a modificare i loro regolamenti. Lo faranno in tempo perché la nuova disciplina entri in vigore dalla prossima legislatura? Calcolando che l’iter alla Camera è durato due settimane in commissione e due settimane in aula, i tempi per arrivare all’approvazione definitiva ci sono. È solo una questione di volontà.

*con Lea Vendramel