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Posts Tagged ‘Parlamento’

I collaboratori parlamentari sono senza regole e le Camere se ne fregano

venerdì, marzo 10th, 2017

Camera-Montecitorio-e1489039645650Non si sa nemmeno quanti sono in tutto. E già questo basterebbe per comprendere la reale portata del problema. Al punto che recentemente l’associazione che riunisce alcuni di loro ha indirizzato una nuova lettera ai questori di Montecitorio e Palazzo Madama per chiedere un repentino cambio di passo, dopo che alla precedente “non è arrivata risposta”. Proprio così. Stiamo parlando dei collaboratori parlamentari, quelli che spesso – in maniera non proprio edificante – vengono chiamati “portaborse”. Professionalità che affiancano deputati e senatori nel proprio lavoro quotidiano ma che, ancora oggi, sono praticamente privi di tutele. A cominciare da quelle contrattuali. Insomma, se all’Europarlamento si scopre addirittura che qualche deputato ha assunto come collaboratore un suo parente pagandolo la bellezza di oltre 120mila euro l’anno (nel 2005 Bruxelles ha adottato lo “Statuto dei deputati del Parlamento europeo” che all’articolo 21 regola la figura in questione), nel nostro Paese “non vi è alcun tipo di modello contrattuale al quale il parlamentare possa fare riferimento”, ha denunciato l’Associazione italiana collaboratori parlamentari (Aicp) presieduta da Valentina Tonti.

Non solo. “Non vi è alcuna relazione fra l’incarico ricoperto, il numero di ore lavorate e la retribuzione, non vi è alcuna chiarezza sul dovere di versamento delle tasse, contributi e non vi è alcun elemento di trasparenza”, ha accusato ancora l’Aicp, malgrado il fatto che “vi sia l’obbligo da parte del parlamentare di depositare presso gli uffici competenti il contratto del proprio collaboratore”. Così “permane il ricorso diffuso a contratti di lavoro atipici”, in particolare partite Iva e collaborazioni a progetto, “nonostante il rapporto di lavoro abbia, molto spesso, le caratteristiche del rapporto di lavoro subordinato”. Uno scandalo a tutti gli effetti, considerando il fatto che il Parlamento è il luogo dove si fanno le leggi e che oltre all’indennità (circa 5.000 euro) e alla diaria (circa 3.500 euro), ogni eletto riceve un rimborso spese per il proprio mandato. Stiamo parlando di 3.690 euro alla Camera e circa 4mila euro al Senato. Cifra – non proprio briciole – pensata per sostenere le attività istituzionali. Metà della quale, come ha ricordato nei giorni scorsi l’associazione Openpolis in un approfondimento sul tema, è sottoposta a rendicontazione quadrimestrale mentre l’altra metà è erogata forfettariamente. Cosa c’è tra le spese da certificare? Anche quella per il proprio collaboratore, ovvio.

Questo vuol dire che ogni deputato e senatore ha a disposizione una somma che può spendere per assumere un assistente. Eppure, come dicevamo, i dettagli del rapporto di lavoro sono lasciati alla piena discrezione del politico e dell’interessato. Ecco perché due giorni fa, dopo lo scoppio della vicenda europea, la Tonti ha commentato amaramente. “Solo laddove ci sono norme chiare e stringenti possono emergere irregolarità – ha detto –. A differenza di Bruxelles, non sappiamo quali siano gli esiti dei controlli fatti a campione dalle stesse Camere sulla documentazione dei nostri parlamentari perché non pubblici né conoscibili”. Come ha sottolineato l’Aicp, la professione è regolamentata anche in Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna. Ma ai nostri onorevoli, si sa, su certe cose piace fare orecchie da mercante.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 9 marzo 2017 per La Notizia

Privilegi, regalo di Pasqua in vista per gli alti burocrati parlamentari: “Dal Pd 3,5 milioni per le indennità di funzione”

domenica, marzo 20th, 2016

La denuncia del segretario dell’Ufficio di presidenza di Montecitorio, Riccardo Fraccaro (M5S). Che punta il dito contro la bozza di deliberazione che ripristina il ricco bonus per i dirigenti. E accusa il partito del premier: “Vuole cambiare verso alzando gli stipendi dei funzionari di Camera e Senato”

fraccaro_675Ci risiamo. A tre mesi dalla proroga del blocco delle indennità di funzione spettanti agli alti dirigenti della Camera, riesplode la polemica. A scatenarla è l’ennesima denuncia di Riccardo Fraccaro, deputato del Movimento 5 Stelle (M5S) e segretario dell’Ufficio di presidenza di Montecitorio. Che carica a testa bassa contro il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e il Partito democratico (Pd). L’ex sindaco di Firenze “vuole cambiare verso alzando gli stipendi dei funzionari del Parlamento e blindando questo aumento, che verrà agganciato alla disciplina costituzionale”, denuncia Fraccaro. Che mette sotto accusa “la bozza di deliberazione in tema di indennità e meccanismo di adeguamento retributivo messa a punto dai presidenti dem dei Comitati per gli affari del personale di Montecitorio e Palazzo Madama, Marina Sereni e Valeria Fedeli”, la cui approvazione riporterebbe, secondo l’esponente grillino, le indennità di funzione ai livelli del 2012. Per fare un esempio, quella del segretario generale della Camera dei deputati, che per effetto della sforbiciata del 2013 è stata ridotta a 662 euro al mese, tornerebbe a raggiungere i 2.200 euro

SI CAMBIA VERSO – “Il Pd – aggiunge Fraccaro – ha intenzione di reintrodurre le indennità di funzione del personale, per un costo complessivo di 3 milioni e mezzo di euro, legandole alle riforme”. Riferimento al ruolo unico dei dipendenti di Camera e Senato previsto nel nuovo articolo 40della Costituzione, come modificato dal ddl di riforma che porta il nome della ministra Maria Elena Boschi, al quale lo schema di deliberazione messo alla sbarra del M5s è collegato. Insomma, “invece di tagliare i costi della politica” il partito del segretario-premier “vuole alimentare sprechi e privilegi”, attacca il parlamentare grillino. Ma cos’è l’indennità di funzione? Si tratta, in sostanza, di una somma aggiuntiva in busta paga, spettante ai quadri direttivi, che “dovrebbe essere corrisposta solo a fronte di incarichi di particolare complessità”. Ma che invece, insorge Fraccaro, “con la proposta del partito di Renzi verrà elargita a pioggia calpestando la meritocrazia e favorendo le posizioni di vantaggio maturate sul piano dell’affiliazione politica”. Il tutto “gonfiando gli stipendi già dorati percepiti dai super-burocrati”.

STOP & GO – L’ultimo atto della querelle sulle indennità di funzione era andato in scena lo scorso dicembre. Quando il Comitato affari del personale della Camera, guidato appunto dalla vice presidente in quota Pd Marina Sereni, aveva deciso di prorogarne il blocco mantenendole ferme sui livelli più bassi raggiunti con la sforbiciata del 2013. Un provvedimento che era stato preceduto da roventi polemiche dopo che il M5S aveva denunciato il tentativo di ripristinare il ricco bonus ai livelli del 2012 nelle già pesanti buste paga dei burocrati della Camera. Denuncia alla quale era seguito un radicale cambio di rotta, che ha impedito ai discussi incentivi di sommarsi agli stipendi di dirigenti e funzionari a partire dal 1° gennaio 2016. E motivato con la necessità di arrivare in tempi brevi, spiegarono dal Comitato, “alla definizione del ruolo unico dei dipendenti di Camera e Senato” e “alla armonizzazione del relativo stato giuridico ed economico”.

PIATTO RICCO – Ma di che cifre stiamo parlando? Alla Camera dei deputati il segretario generale, cui spetta uno stipendio annuo superiore ai 300 mila euro, incassava fino al 31 dicembre 2012 altri 2.200 euro netti al mese contro i 662 attualmente percepiti per effetto del taglio del 2013. Ai vice segretari e al capo avvocatura, invece, spettavano 1.450 euro poi ridotti a 652. Il consigliere capo servizio e il consigliere capo della segreteria del presidente percepivano 1.197 euro rispetto agli attuali 598. Il consigliere capo ufficio della segreteria generale si era visto praticamente dimezzare l’indennità di funzione da 882 a 485 euro. Quella del consigliere capo ufficio o titolare di incarico di coordinamento equiparato era scesa da 630 a 378 euro mensili. E anche il coordinatore di unità operativa di V livello ed equiparati avevano subito una decurtazione: da 441 a 286 euro. Per armonizzare il trattamento economico tra Palazzo Madama e Montecitorio, la bozza di deliberazione prevede, all’articolo 1, che l’ammontare delle indennità di funzione per il personale iscritto nel ruolo unico dei dipendenti del Parlamento è fissato sul “valore più basso” tra quelli stabiliti al Senato e alla Camera alla data del 31 dicembre 2012. Ma non basta. Sul tavolo c’è anche un emendamento delle organizzazioni sindacali interne che prevede di calcolare le indennità di funzione “sulla base della media dei valori” stabiliti per i due rami del Parlamento sempre al 31 dicembre 2012. Se passasse, gli importi percepiti dagli alti burocrati sarebbero addirittura maggiori.

SORPRESA PASQUALE – Una modifica della disciplina vigente che farebbe la felicità, secondo Fraccaro, di un esercito di burocrati: “Come ad esempio i 123 dipendenti di IV livello su 265 e i 138 funzionari di V livello su 151”. Un rischio che per il segretario dell’Ufficio di presidenza va scongiurato “fissando dei tetti perenni alle retribuzioni ed eliminando le varie indennità dei funzionari”. Per evitare che, dopo la delusione per il regalo di Natale sfumato, la bella sorpresa possa arrivare, stavolta, nell’uovo di Pasqua.

(Articolo scritto il 19 marzo 2016 con Antonio Pitoni per ilfattoquotidiano.it)

Produzione legislativa in Italia, rapporto di Openpolis: governo pigliatutto mentre il Parlamento sta a guardare

martedì, gennaio 5th, 2016

5208949152_32edf4cc84_oUno squilibrio diventato ormai una prassi consolidata. E che sembra non avere fine. Da una parte il Parlamento e dall’altra il governo, con quest’ultimo che la fa da padrone se si analizza l’esercizio della funzione legislativa in Italia. Delle oltre 565 leggi approvate nelle ultime due legislature, infatti, ben 440 sono state presentate dai vari esecutivi che si sono succeduti. Una percentuale significativa, pari al 77,8% del totale. Con il primato che spetta al governo di Enrico Letta: nel periodo in cui è stato in carica, il Parlamento ha presentato soltanto l’11,1% delle leggi approvate contro l’88,89%. Ecco perché, nel suo ultimo rapporto, Openpolis parla senza mezzi termini di «un premierato all’italiana».

Comanda il governo. Nel nuovo studio, l’osservatorio civico sulla politica italiana ha preso in considerazione la XVI Legislatura e i primi tre anni della XVII. Periodo nel quale, come noto, si sono alternati quattro governi: quelli di Silvio Berlusconi e Mario Monti fra il 2008 e il 2013 e quelli di Enrico Letta e Matteo Renzi dal 2013 ad oggi. Con una costante: la produzione legislativa del nostro Parlamento è praticamente rimasta sempre in mano al governo. Deputati e senatori? Di fatto stanno a guardare. Prima di essere sostituito da quello guidato dall’ex commissario europeo, l’esecutivo del Cavaliere ha presentato l’80,29% delle leggi approvate, mentre Camera e Senato si sono fermate al 19,71%. La musica non è cambiata nemmeno con l’arrivo di Monti a Palazzo Chigi. Certo, si sono registrate percentuali più basse: 68,14% (governo) contro 31,86% (Parlamento). Ma la sostanza è rimasta la stessa. Per non parlare poi degli ultimi due esecutivi. Letta, come detto, ha battuto ogni record lasciando a Camera e Senato soltanto le briciole, ma anche il premier-segretario del Partito democratico – il gruppo che dal 2013 ad oggi ha presentato il 73,33% delle 30 proposte di legge di iniziativa parlamentare che hanno completato l’iter – sembra essere sulla buona strada. Finora il suo governo ha presentato l’80,43% delle leggi approvate contro il 18,84% del Parlamento.

Parlamento svilito. Ma non è tutto. Ci sono infatti altri tre aspetti da tenere in considerazione: quello dei tempi di approvazione delle leggi, quello della percentuale di successo dei ddl e quello del ricorso al voto di fiducia. Nel primo caso, non solo la percentuale di successo per le iniziative del governo è molto più alta, ma anche i tempi di approvazione sono più rapidi. Se in media l’esecutivo impiega 133 giorni a trasformare una proposta in legge (circa 4 mesi), il Parlamento ce ne mette 408. Più di un anno. Anche se nell’attuale legislatura si evidenziano trend opposti: mentre le proposte del governo sono più lente rispetto ai cinque anni precedenti, quelle del Parlamento sono più veloci. Comunque una magra consolazione alla luce di quanto detto finora. Anche perché mentre le proposte di deputati e senatori diventano legge lo 0,87% delle volte, per quelle del governo la percentuale sale al 32,02%. Risultato spesso raggiunto sfruttando l’escamotage della fiducia. In media, nelle ultime due legislature, il 27% delle leggi approvate ha necessitato di un voto di fiducia, con picchi massimi raggiunti dal governo Monti prima (45,13%) e Renzi poi (34,06%). Più “moderati” nell’utilizzo di questo strumento i governi Berlusconi (16,42%) e Letta (27,78%).

Regioni (e popolo) al palo. E le Regioni? Dal 2008 ad oggi queste hanno presentato 119 disegni di legge, ma soltanto 5 hanno completato l’iter. E tutti nei cinque anni precedenti. Tre dei cinque erano modifiche agli statuti regionali (di Sicilia, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna), uno è stato approvato come testo unificato in materia di sicurezza stradale mentre l’ultimo è stato assorbito nella riforma del federalismo fiscale sotto il governo Berlusconi. Non pervenute, invece, le leggi di iniziativa popolare: nelle ultime due legislatura solamente un disegno di legge presentato dai cittadini è diventato legge.

Twitter: @GiorgioVelardi

Onorevoli professioni*

sabato, aprile 20th, 2013

Ancora una volta è il partito degli avvocati a guidare la classifica delle professioni dei nostri eletti. Dietro di loro figurano docenti, dirigenti, imprenditori e impiegati. Il Parlamento rischia di trovarsi arenato sugli interessi di categoria

ITALY-POLITICS-PRESIDENTItaliani, popolo di santi, poeti e navigatori. Ma non in Parlamento, dove i nostri deputati e senatori sono per la maggior parte avvocati,docenti, dirigentiimpiegatiimprenditori e giornalisti, ma anche medici, ingegneri, commercialisti e perfino idraulici. La XVII Legislatura, che ha preso il via da poche settimane, vede sedere fra i banchi di Montecitorio e Palazzo Madama esponenti di numerose categorie professionali. Ci sono pure studenti (appartenenti per la maggior parte al Movimento 5 Stelle, fra cui il vicepresidente della Camera Luigi di Maio) e alcuni disoccupati. In un quadro simile, gli interessi di categoria rischiano di condizionare l’attività delle due Camere.

TOGHE IN POLITICA - La professione più in voga tra i parlamentari della XVII Legislatura? Quella dell’avvocato. Sono ben 113, in particolare 75 deputati e 38 senatori, gli eletti che fuori dalle aule di Montecitorio e Palazzo Madama svolgono l’attività forense. Un dato in linea con quello della precedente Legislatura, anche se fino a qualche settimana fa tra i banchi di Camera e Senato ne sedevano una ventina in più, rispettivamente 90 e 44. Una situazione che pone più di una perplessità su come i parlamentari avvocati riescano a conciliare l’esercizio della loro professione con l’esercizio del mandato parlamentare. Non solo per ragioni temporali, ma anche, e soprattutto, per questioni sostanziali. Il fatto che sussista un conflitto di interessi è più di un rischio. Quando si legifera su aspetti attinenti alla materia c’è il rischio concreto che gli interessi personali entrino in conflitto con gli interessi generali. Un esempio? Quando governo e Parlamento si sono occupati di liberalizzazioni le pressioni delle lobby sono state tutt’altro che velate, con il risultato che i provvedimenti iniziali sono stati ritoccati e annacquati. E il folto partito degli avvocati è decisamente bipartisan. Dal Pd al Pdl, passando per M5S, Scelta civica e Lega Nord, i principi del foro affollano i banchi di ogni partito. È il Pd la forza politica in cui sono maggiormente rappresentati, con 39 deputati e 10 senatori, seguita dal Pdl, che conta 21 avvocati a Montecitorio e 15 a Palazzo Madama, e dal M5S con una pattuglia decisamente più ridotta, 4 deputati e 4 senatori. Ma gli avvocati non sono gli unici che passano dalle aule di tribunale a quelle del Parlamento. Occupano alcuni scranni anche parlamentari magistrati. Nonostante siano molti di meno rispetto agli avvocati, la loro presenza nei Palazzi della politica fa discutere molto di più. Tra le tante polemiche che hanno segnato la campagna elettorale, infatti, una delle più accese è stata proprio quella sull’opportunità o meno della loro candidatura. Sono state chiesti limiti e regole per disciplinare il loro passaggio dalla magistratura alla politica. In particolare, nell’occhio del ciclone sono finiti Piero Grasso, candidato nelle liste democratiche e finito sullo scranno più alto di Palazzo Madama, Stefano Dambruoso, eletto a Montecitorio con Scelta Civica, e Antonio Ingroia, promotore di Rivoluzione civile che non è riuscito a superare lo scoglio delle soglie di sbarramento. Ma altri loro colleghi sono da tempo in Parlamento. Ci sono la deputata del Pd, Donatella Ferranti, al suo secondo mandato, i senatori del Pdl Francesco Nitto Palma e Giacomo Caliendo, in passato rispettivamente ministro e sottosegretario alla Giustizia nel governo Berlusconi e poi i democratici Anna Finocchiaro, Doris Lo Moro e Felice Casson.

DOCENTI E DIRIGENTI - Subito dietro gli avvocati ci sono docenti universitari e insegnanti che, insieme, raggiungono quota 110, 13 in più rispetto alla precedente Legislatura. Sono, rispettivamente, 53 a Montecitorio (33 nel gruppo del Pd, 5 in quello del Pdl e 6 nel M5S) e 57 a Palazzo Madama. Alla Camera i nomi maggiormente noti sono quelli di Carlo Dell’Aringa (Pd), professore di Economia politica all’Università Cattolica di Milano nonché componente del team che nel 2001 redasse il Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia su cui si basa la Legge Biagi; Andrea Romano (Scelta Civica), che insegna Storia contemporanea all’Università di Roma Tor Vergata ed è anche direttore di Italia Futura, il think tank fondato nel 2009 da Luca di Montezemolo; Renato Brunetta e Antonio Martino, economisti, entrambi rieletti con il Popolo della Libertà. Al Senato siedono invece lo storico Miguel Gotor (Pd), braccio destro di Pier Luigi Bersani durante la campagna per le primarie del centrosinistra, e Pietro Ichino, ordinario di Diritto del lavoro all’Università degli Studi di Milano, passato dai democratici alla Lista del premier uscente Mario Monti. A seguire c’è la categoria dei dirigenti. Un folto numero, anche in questo caso, se si pensa che sono 46 alla Camera e 33 al Senato. Proprio in quest’Aula un seggio è occupato dal “poltronissimo” Franco Carraro (Pdl), già presidente del Coni, della Figc e sindaco di Roma dal 1989 al ’93, mentre alla Camera il Pd ha “arruolato” l’ex direttore generale di Confindustria Giampaolo Galli. Tocca poi agli impiegati (99 in totale, di cui 59 alla Camera e 40 al Senato) e agli imprenditori. Se ne contano in tutto 93, 15 in meno a confronto con il quinquennio 2008/2013. Quello di Silvio Berlusconi è sicuramente il nome più noto in questa categoria. L’ex premier, alla sua sesta Legislatura, si trova questa volta a Palazzo Madama e non a Montecitorio come nelle cinque precedenti occasioni. Quarantotto sono invece i giornalisti che hanno posato la penna sul tavolo per affollare le Aule parlamentari. Meno, comunque, di quelli presenti nella Legislatura appena conclusa quando erano 90. Fra le new entryche hanno fatto maggiormente rumore ci sono l’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini (Pdl), l’ex numero uno di Rai News 24 Corradino Mineo (Pd) e l’ex vicedirettore del Corriere della Sera Massimo Mucchetti, tutti e tre candidati ed eletti al Senato dai loro rispettivi partiti. Alla Camera ci sono invece Sandra Zampa (Pd), già capo ufficio stampa dell’allora presidente del Consiglio Romano Prodi, e Pierdomenico Martino (Pd), che in passato ha ricoperto il ruolo di capo ufficio stampa del partito guidato da Pier Luigi Bersani ed è caporedattore del quotidiano Europa. Quarantaquattro sono invece i medici (27 alla Camera e 17 al Senato), 24 gli ingegneri. Infine ci sono i sindacalisti (29). Fra i volti nuovi compaiono quelli di Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil dal 2002 al 2010 alla prima esperienza parlamentare con il Partito democratico; Giorgio Airaudo (Fiom), che dopo essersi definitivo un «esiliato di sinistra orfano di Berlinguer e stufo dei trasformismi opportunistici» ha varcato le porte di Montecitorio nelle file di Sel, e Renata Polverini, che prima di ricoprire la carica di governatore della Regione Lazio è stata segretario dell’Unione generale del lavoro (Ugl).

LE ALTRE PROFESSIONI - Scorrendo le schede di deputati e senatori disponibili sui siti di Camera e Senato, non mancano poi esempi di parlamentari che svolgono lavori meno rappresentati, e in alcuni casi decisamente inaspettati. Ci sono architetticommercialistiagricoltori, commercianti, farmacisti e assicuratori. Ma non solo. Alcuni nomi spiccano in modo particolare. Si è parlato molto delle loro candidature in campagna elettorale e ora, dopo aver dimostrato i loro meriti sportivi, dovranno farsi valere in Parlamento Valentina Vezzali, plurimedagliata olimpica, eletta alla Camera nelle liste di Scelta Civica, e Josefa Idem, anche lei passata dai podi olimpici allo scranno parlamentare. Sono, invece, quattro gli operai. Tra loro alcune storie fortemente simboliche. A Montecitorio, infatti, è stato riconfermato Antonio Boccuzzi, eletto nel Pd nella scorsa Legislatura dopo essere sopravvissuto al rogo della Thyssen, mentre a Palazzo Madama ha fatto il suo ingresso per la prima volta Giovanni Barozzino, ora senatore di Sel, in passato operaio della Fiat di Melfi, licenziato nel 2010 insieme ad altri due colleghi con l’accusa di aver sabotato l’attività aziendale, poi riammessi dal tribunale del lavoro, ma mai reintegrati. Torna per la seconda volta in Parlamento, invece, la leghista Emanuela Munerato, operaia tessile, ricordata dai più per il suo intervento in aula contro la manovra economica del governo Monti, quando per esprimere il voto contrario delle camicie verdi è tornata ad indossare la sua tuta da operaia. Ha, invece, messo da parte, almeno per ora, i suoi attrezzi da idraulico Davide Tripiedi, 28 anni, eletto nel M5S. E proprio nel M5S si contano il maggior numero di studenti e disoccupati. Siedono oltre che tra gli scranni parlamentari anche dietro ai banchi universitari Paolo Bernini, Marta Grande, Azzurra Cancelleri e Luigi di Maio, che si è guadagnato anche la vice presidenza della Camera. Ma c’è anche chi è entrato in Parlamento da disoccupato, dieci deputati e due senatrici. A Montecitorio tra i cinque stelle ci sono Tatiana Basilio e Vincenza Labriola, entrambe casalinghe. Due le senatrici che hanno dovuto fare i conti con la perdita del lavoro: Vilma Moronese, parlamentare del M5S, e Alessia Petraglia, eletta nelle liste di Sel. La prima, entrata nel mondo del lavoro dopo il diploma in ragioneria, nella sua biografia scrive: «Nel 1990 per scelta e per necessità rinuncio agli studi universitari per lanciarmi direttamente nel mondo del lavoro». Ha lavorato presso una compagnia di assicurazioni, poi in diverse aziende, nell’ultima delle quali si occupava del recupero crediti. La seconda si definisce disoccupata, ma scorrendo la sua biografia quello che balza all’occhio è la sua esperienza da consigliere regionale in Toscana. Per ora un nuovo lavoro l’hanno trovato: parlamentari della Repubblica.

*con Lea Vendramel

Professione Onorevole – da “Il Punto” del 21/09/2012

venerdì, settembre 28th, 2012

L’Associazione Openpolis monitora l’attività di deputati e senatori e permette ai cittadini di essere sempre informati su quanto realmente prodotto dagli oltre 900 parlamentari italiani. Di Pietro primeggia fra i leader di partito davanti a Casini, Alfano, Maroni e Bersani. Male i “big”, quasi tutti con un basso indice di produttività. Mentre si moltiplicano i cambi di casacca: a pagare dazio soprattutto il Pdl

«La legge elettorale verrà a questo punto e con ogni probabilità riformata in Parlamento a maggioranza». In mezzo allo stallo che vige da mesi intorno al cambiamento del sistema di voto, uno degli assi portanti del dibattito politico, è il segretario del Pri Francesco Nucara ad indicare la strada maestra. Malgrado le buone intenzioni, serpeggia la paura – fra gli elettori, più che tra le forze politiche – che alla fine si tornerà a votare con il “Porcellum”. Sarebbe la terza volta, potrebbe non essere l’ultima. Ma chi sono i «nominati» che finora hanno lavorato meglio e quali, invece, quelli che hanno fatto peggio? E i partiti? Quali di quelli presenti in Parlamento hanno perso più membri dall’inizio dell’attuale legislatura? L’associazione Openpolis, che si autodefinisce un «osservatorio civico della politica che analizza quotidianamente i meccanismi complessi che muovono l’Italia», promuove l’open government e permette ai cittadini di essere costantemente informati sull’attività degli oltre 900 parlamentari che compongono Camera e Senato.

SECCHIONI E FANNULLONI - Antonio Borghesi (Idv) e Gianpiero D’Alia (Udc). Non saranno fra i parlamentari più conosciuti, eppure sono quelli che alla Camera e al Senato fanno registrare il più alto indice di produttività, calcolato sulla base di criteri che verificano quanto una data attività sia stata effettivamente produttiva. «Andiamo a vedere che fine hanno fatto gli atti presentati dal parlamentare, quanti sono stati discussi, votati o diventati legge, quanti, invece, sono rimasti solo intenzioni», si legge su www.openpolis.it. Insomma: non serve scaldare la poltrona ma “fare”. Nella top ten alla Camera compaiono Franco Narducci (2°), Pier Paolo Baretta (3°), Maria Antonietta Farina Coscioni (6°), Roberto Zaccaria (9°) e Maurizio Turco (10°) del Partito democratico, Donato Bruno (4°), Manlio Contento (7°) ed Edmondo Cirielli (8°) del Pdl e Stefano Stefani (5°) della Lega Nord. I big di partito hanno invece andamenti molto differenti. Al 16° posto della radicale Rita Bernardini si alterna il 156° del capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, così come alla 41esima posizione dell’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano (Pd) si contrappone la 496esima occupata dal suo collega di partito Massimo D’Alema. In altre faccende affaccendati, quasi tutti i pezzi grossi di Montecitorio navigano nei bassifondi. Rosy Bindi è 425esima, Walter Veltroni 457esimo, Giuseppe Fioroni occupa la posizione numero 510 e Giovanna Melandri la 551. Va un po’ meglio all’ex segretario Dario Franceschini e ad Enrico Letta (vice di Bersani alla guida del Pd), che sono rispettivamente al 255esimo e al 267esimo posto. Sul fronte opposto, quello del Pdl, l’andazzo è simile. Renato Brunetta è “solo” 367esimo, Mara Carfagna 494esima, Raffaele Fitto 533esimo, Michela Vittoria Brambilla 567esima, Denis Verdini 616esimo e Niccolò Ghedini (avvocato di Silvio Berlusconi) addirittura 621esimo. Anche in questo caso non mancano le “mosche bianche”. Jole Santelli, vicecapogruppo alla Camera del partito, è 56esima, mentre Giorgio Jannone (presidente della Commissione di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale) è 85esimo. Tra le varie formazioni spicca l’attivismo dell’Italia dei valori. Molti dei deputati del partito di Antonio Di Pietro – che alla Camera conta 20 seggi – sono fra le prime cento posizioni. Il responsabile giustizia Federico Palomba è 37esimo, Fabio Evangelisti 47esimo e Francesco Barbato 92esimo. Al Senato, invece, alle spalle di D’Alia c’è Carlo Vizzini (Udc), presidente della commissione Affari costituzionali. Fra i “diligenti” di Palazzo Madama c’è un folto gruppo del Pdl formato da Lucio Malan (3°), Filippo Berselli (6°), Antonio D’Alì (7°), Antonio Azzolini (8°) e Giampaolo Bettamio (9°), a cui si uniscono i democratici Felice Casson (4°) e Stefano Ceccanti (5°) e il leghista Massimo Garavaglia (10°). E i pezzi da novanta? Nel Pdl Maurizio Gasparri è 95esimo, Altero Matteoli 158esimo, Gaetano Quagliariello 245esimo, Maurizio Sacconi 267esimo e Carlo Giovanardi 295esimo. Nel Pd spiccano i nomi di Enzo Bianco (20°) e di Anna Finocchiaro (76°); nell’Idv sono invece Luigi Li Gotti (12°), Elio Lannutti (17°), Pancho Pardi (34°) e Felice Belisario (43°) i più “produttivi”.

L’HIT PARADE DEI LEADER - A ridosso delle prime dieci posizioni alla Camera dei deputati c’è Antonio Di Pietro (11°), presidente dell’Italia dei valori. L’ex pubblico ministero è il primo, fra i leader di partito, ad occupare un posto così alto in graduatoria, grazie ad un indice di produttività di 681.0. Molto più staccati i segretari di Pd, Pdl, Udc e Lega Nord. I dati, aggiornati al 13 settembre 2012, vedono Pier Ferdinando Casini 268esimo, con un indice di produttività di 168.8, malgrado un numero di presenze – che si riferiscono alle votazioni elettroniche che si svolgono alla Camera e al Senato dall’inizio della legislatura – superiore a quello di Di Pietro (58,48% contro 46,20). Bisogna invece scendere di oltre duecento posizioni per trovare Angelino Alfano. Erede designato di Silvio Berlusconi alla guida del Popolo della Libertà, anche se ancora relegato nelle retrovie, l’ex ministro della Giustizia occupa la casella numero 471. Quasi sempre in “missione” (69,76%), Alfano ha un indice di presenze molto basso, appena il 10,98%. Non va meglio a Roberto Maroni, successore di Umberto Bossi a capo della Lega Nord. Il «rottamatore» del Carroccio è 503esimo, con una percentuale impressionante di missioni (82,49%), un bassissimo numero di presenze (6,38%) e un indice di produttività di appena 93.6. Il cucchiaio di legno, per dirla in termini rugbistici, spetta però al segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani, solo 518esimo su 630 alla Camera: 70,01% le assenze, 85.7 l’indice di produttività.

EMORRAGIA PDL - Ottanta parlamentari in meno dall’inizio della legislatura. A tanto ammonta il deficit – ma la si potrebbe tranquillamente definire “emorragia” – del Pdl, che dal 2008 ad oggi ha perso ben 64 deputati e 16 senatori. Come lui nessuno mai, alla luce del fatto che il Pd ha visto “partire” 11 deputati e 14 senatori (25 parlamentari in totale) e l’Udc addirittura guadagnarne 11 (4 alla Camera e 7 al Senato). Insomma, il partito è ad un bivio: il suo futuro è legato alla decisione di Berlusconi di ricandidarsi o meno in vista delle elezioni del 2013. Il Cavaliere, in base alla nuova legge elettorale che sarà varata (sempre che la si faccia), dovrà decidere come riorganizzare il partito. Basta “traditori” – come scrisse quel famoso 8 novembre 2011 alla Camera su un foglio abilmente immortalato dai fotografi –, stop agli errori fatti in passato. Al Popolo della Libertà è infatti costata cara la diaspora finiana, dopo il noto «che fai, mi cacci?» del presidente della Camera: Fli conta ora 26 deputati (all’inizio erano 40) e 14 senatori (in quest’ultimo caso in coabitazione con l’Api). Ma ad aver voltato le spalle all’ex premier ci sono anche fedelissimi come Gabriella Carlucci, passata all’Udc, e Giorgio Stracquadanio, ultimo in ordine di tempo ad aver abbandonato la nave per aderire al Gruppo Misto. Non vanno poi dimenticati Paolo Guzzanti e Silvano Moffa, uno dei recordman del cambio di casacca nella legislatura 2008/2013: prima Pdl, poi Fli, Gruppo Misto e infine Popolo e Territorio (stesso percorso seguito anche da Barbara Siliquini e Catia Polidori). Va meglio, come preannunciato, al Pd. Fra i nomi noti ad aver lasciato i democrat figurano Paola Binetti, Renzo Lusetti ed Enzo Carra, ora tutti deputati dell’Udc, e Francesco Rutelli, che nel novembre 2009 ha dato vita ad Alleanza per l’Italia (Api). Bilancio in rosso anche per Italia dei valori e Lega Nord. Di Pietro ha dovuto fare i conti con “l’alto tradimento” di Antonio Razzi, Domenico Scilipoti e altri 6 deputati (più 2 senatori, Giuseppe Astore e Giacinto Russo), mentre il Carroccio ha perso pezzi solo al Senato. Dopo lo scandalo che ha portato al totale riassetto dei vertici leghisti la “pasionaria” Rosy Mauro, Lorenzo Bodega e Piergiorgio Stiffoni sono infatti passati al Gruppo Misto. Non mancano poi i “transfughi cronici”. Oltre al già citato Moffa, ecco Americo Porfidia (Idv-Gruppo Misto-Popolo e Territorio-Gruppo Misto), Giampiero Catone (Pdl-Fli-Gruppo Misto-Popolo e Territorio) e Antonio Milo (Gruppo Misto-Popolo e Territorio-Gruppo Misto-Popolo e Territorio) alla Camera, Mario Baldassarri (Pdl-Fli-Gruppo Misto-Api/Fli), Adriana Poli Bortone (Pdl-Gruppo Misto-Api/Fli-Coesione Nazionale) ed Elio Massimo Palmizio (Pdl-Coesione Nazionale-Pdl-Coesione Nazionale) al Senato. Chissà se li rivedremo ancora in Parlamento. In quel caso, il consiglio è uno e uno solo: avere le idee chiare da subito.

Twitter: @GiorgioVelardi