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Contraffazione: fra criminalità organizzata e leggi obsolete in Italia il fatturato illecito è di 6,5 miliardi di euro

mercoledì, marzo 2nd, 2016

I dati contenuti nell’ultimo rapporto della commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Mario Catania (Scelta civica). Anche l’esplosione dell’e-commerce fra le cause dello sviluppo del fenomeno. Diventato addirittura una forma di ammortizzatore sociale. I giovani quelli maggiormente attratti: il 74,6% di loro acquista regolarmente prodotti falsificati

contrabbando-675C’è la longa manus della criminalità organizzata, che “negli ultimi decenni ha intuito con lucidità l’ampio potenziale” di un fenomeno “che presenta buoni margini di guadagno a fronte di un modesto rischio repressivo”. Ma anche l’esplosione dell’e-commerce, che “per le sue caratteristiche si presta perfettamente ad una dislocazione internazionale dell’attività”. Più un quadro normativo a dir poco farraginoso. Tutti fattori che mescolati insieme portano a danni economici per 600 miliardi di dollari all’anno (tra il 5 e il 7% dell’intero commercio mondiale) secondo i calcoli dell’Organizzazione mondiale del commercio. Sono solo alcune delle considerazioni contenute nell’ultima relazione della ‘Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo’ presieduta da Mario Catania (Scelta civica). Una fotografia impietosa, quella scattata dall’organismo parlamentare. Anche perché “le audizioni svolte nell’ambito di questa inchiesta – spiega l’ex ministro dell’Agricoltura del governo Monti – ci hanno fatto capire come nessun comparto produttivo, dai farmaci ai giocattoli fino all’alimentare, alla meccanica e ai cosmetici sia oggi sia esente dalla contraffazione: l’unico parametro che muove i contraffattori è il ritorno in termini di reddito”.

MERCATO PARALLELO  Se a livello europeo i problemi maggiori arrivano da paesi come Cina (da cui proviene il maggior numero di merci sospettate di violare i diritti di proprietà intellettuale), Turchia(per i profumi e la cosmesi) e India (farmaci), “danneggiando particolarmente i sistemi economici fortemente imperniati sulla ricerca, sull’innovazione e sulla creatività”, in Italia il fenomeno della contraffazione ha raggiunto cifre monstre. Secondo un report pubblicato da ministero dello Sviluppo economico e Censis, nel nostro Paese, con un fatturato illecito di oltre 6,5 miliardi (2012), la contraffazione ha sottratto al sistema economico legale nazionale5 miliardi 280 milioni di entrate erariali (circa il 2% delle entrate) e 105 mila posti di lavoro. Creando addirittura un mercato parallelo visto che, è scritto nella relazione, l’industria del falso “segue lo stesso trend di quella legale”. Non solo. È infatti “significativa la percezione molto diffusa del fenomeno contraffazione come ‘ammortizzatore sociale’ che consente a persone indigenti di avere una qualche forma di sostentamento allontanandole da altre forme di delinquenza”. Proprio così. I più attratti dal commercio abusivo? I giovani. Il 74,6% di loro acquista regolarmente prodotti contraffatti, soprattutto capi d’abbigliamento, cd e dvd e accessori. Due i principali motivi: il risparmio e il bisogno.

MINACCE E CONNIVENZE – In questo quadro negativo a farla da padrona è la criminalità organizzata. La quale “ha saputo sfruttare la potenzialità della globalizzazione – dice il report della commissione – articolando i propri traffici a livello transnazionale attraverso un’ottimale divisione del lavoro”, utilizzando “vari canali di vendita anche al fine di eludere i controlli e beneficiare delle maglie larghe della legislazione”. Spesso, e questo è forse il principale paradosso, sfruttando persino il mercato ‘legale’. Come? “Vi sono casi in cui la disponibilità degli imprenditori” a vendere nei loro negozi merce contraffatta “viene estorta con l’intimidazione da parte della criminalità organizzata, ed altri in cui le medesime reti etniche coinvolte nella produzione e/o nel traffico di prodotti contraffatti svolgono un ruolo attivo anche nella sua commercializzazione al dettaglio”. Senza dimenticare il ruolo di “grossisti conniventi che offrono prodotti contraffatti insieme agli originali”. Ad essere maggiormente colpito è ovviamente il made in Italy, strettamente collegato ad un altro fenomeno in forte ascesa: quello del cosiddetto Italian sounding (la commercializzazione di prodotti che portano nomi di marchi che ‘suonano’ come italiani). Un danno per i produttori che si aggira intorno ai 60 miliardi l’anno e che “si muove in un’ampia ed indefinita zona grigia”.

GIRO DI VITE – Ma come invertire il trend? La relazione contiene alcune proposte normative in materia penale. Perché “l’impianto di norme vigenti è obsoleto, risale al codice Rocco, quindi agli Anni ‘30 del secolo scorso e non è aderente alla realtà attuale del fenomeno – aggiunge Catania –. Basti pensare al fatto che, a fronte di una mole imponente di denunce e di illeciti riscontrati dalle forze di polizia, sono pochissimi i casi che arrivano a sentenza”. In primis, quindi, serve “una nuova collocazione delle figure di reato relative alla contraffazione nel codice penale vigente, con la strutturazione di questi reati come ‘di pericolo’ anziché ‘di danno’ al fine di perseguirli con maggiore incisività”. Inoltre siccome “oggi vengono puniti allo stesso modo il venditore abusivo e il criminale internazionale che gestisce la filiera della contraffazione”, viene proposto “un reato autonomo di contraffazione ‘sistematica e organizzata’ (vale a dire per quei reati in cui sia accertata la presenza della criminalità organizzata), con un inasprimento della sanzione che lo smarchi dalla tenuità del fatto”. Serve poi un “rafforzamento del coordinamento delle forze di polizia”, valutando “forme di specializzazione per quelle impegnate nel settore – conclude il deputato di Scelta civica –. A ciò va aggiunto quello del ruolo della polizia amministrativa nel contrasto alla contraffazione”.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 1 marzo 2016 per ilfattoquotidiano.it)

Scelta civica, dopo il rimpasto due parlamentari se ne vanno: “Troppo appiattiti sulle posizioni di Renzi”

venerdì, febbraio 5th, 2016

Il partito guidato da Enrico Zanetti perde altri due pezzi. Si tratta della ex 5 Stelle Paola Pinna e di Stefano Quintarelli. Ora può contare su 21 eletti a Montecitorio. Messa in discussione la linea del segretario e le scelte fatte nel riassetto dell’esecutivo. Alcuni partecipanti alla riunione di ieri parlano di clima “a dir poco burrascoso”. Ora l’obiettivo è evitare nuove fuoriuscite

zanetti-675Non è stata una resa dei conti a tutti gli effetti, anche a causa della mancanza di una linea politica alternativa a quella attuale. Ma il malumore è tangibile, come ammette più di qualcuno. Paventando il rischio di nuove fuoriuscite da un gruppo che ad oggi conta appena 23 deputati. All’interno di Scelta civica, il partito fondato alla vigilia delle elezioni politiche del 2013 dall’allora presidente del Consiglio, Mario Monti, la situazione è tesa. Lo si è capito una volta di più ieri sera nel corso della riunione dei deputati a Montecitorio. Un incontro che uno dei partecipanti, parlando con ilfattoquotidiano.it, non esita a definire “a dir poco burrascoso”. Ma c’è anche chi, forse per non voler gettare altra benzina sul fuoco, parla di “normale dialettica fra colleghi”. Sarà. Sta di fatto che nelle ultime ore sia Paola Pinna, arrivata il 25 marzo 2015 dal Movimento 5 Stelle, sia Stefano Quintarelli hanno annunciato il loro addio. La prima si accaserà nel Pd (“è la naturale conclusione di un percorso politico lineare”, ha affermato) mentre Quintarelli confluirà nel Gruppo Misto. L’obiettivo dichiarato, adesso, è quello di bloccare altri possibili transfughi.

RIMPASTO INDIGESTO – Ma qual è il motivo dei mal di pancia interni a Scelta civica? I ben informati rispondono che il giro di poltrone operato la scorsa settimana dal premier Matteo Renzi sia risultato indigesto a una parte del gruppo. Che pensava – e sperava – di uscire dalla partita con un risultato più largo. Invece, oltre alla promozione del segretario, Enrico Zanetti (diventato viceministro dell’Economia), c’è stata ‘solo’ la nomina di Antimo Cesaro a sottosegretario alla Cultura. Un po’ poco, dunque. Soprattutto per chi, come Giulio Cesare Sottanelli, si vedeva già proiettato al ministero dello Sviluppo economico come sottosegretario. Invece sull’ambita poltrona, alla fine, si è seduto Antonio Gentile (Ncd). In un dicastero nel quale gli alfaniani potevano già contare sulla presenza di Simona Vicari. Alla riunione erano assenti alcuni pezzi da novanta del gruppo. Dal tesoriere del partito, Gianfranco Librandi, all’ex ministro dell’Agricoltura del governo Monti, Mario Catania. Ma non hanno partecipato nemmeno il presidente di Brembo, Alberto BombasseiIlaria Capua e Mariano Rabino (entrambi però erano assenti giustificati).

CERCASI ALTERNATIVA – La linea di Zanetti comunque resiste. Almeno per ora. Anche perché nessuno, nella riunione di ieri sera, ha presentato proposte alternative alle sue. “Certo è che, se l’intenzione è quella di continuare a viaggiare su un percorso unitario, le cose dovranno cambiare: la situazione di difficoltà è evidente – spiega un deputato centrista con la promessa dell’anonimato –. Oggi Scelta civica è un partito quasi completamente appiattito sulle posizioni del Pd e, di conseguenza, su quelle del governo”. Esecutivo nel quale, malgrado l’appoggio incondizionato dimostrato finora, Sc può contare soltanto su due pedine. Insomma, “quella attuale è una linea sterile che non serve a nessuno. Perciò – conclude – è normale che molti non siano contenti”. Una situazione che rischia di avere ripercussioni, in primis, sulle amministrative di primavera. Nelle quali Scelta civica è schierata al fianco del Pd. A Roma appoggerà la candidatura di Roberto Giachetti, mentre a Torino quella di Piero Fassino (con i moderati di Giacomo Portas) e a Milano quella dell’ex amministratore delegato di Expo Giuseppe Sala.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 4 febbraio 2016 per ilfattoquotidiano.it)

Regolamentazione delle lobby: dopo l’immobilismo di Palazzo Madama la proposta di legge si sposta alla Camera

venerdì, gennaio 15th, 2016

Adriana Galgano (Scelta Civica) ha deciso di presentare anche a Montecitorio il testo dei senatori ex 5 Stelle Orellana e Battista. Che, approvato in commissione Affari costituzionali ad aprile 2015, è caduto nel dimenticatoio. La deputata: “Decisione che nasce dopo aver sperimentato il fortissimo peso dei gruppi di pressione anche e soprattutto in Parlamento”

corso-lobbistiokC’è ancora qualcuno che ci prova. Nonostante le tante promesse mancate. Ultime in ordine di tempo quelle fatte dal governo di Matteo Renzi. Il quale, per bocca del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha parlato – oltre un anno e mezzo fa – di “regolamentare le lobby per combattere la corruzione”. E invece? Della legge per disciplinare il lavoro dei cosiddetti “portatori di interessi” non si vuole proprio discutere. Già: non si vuole. Perché un testo base c’è, e porta la firma di due senatori ex Movimento 5 Stelle: Luis Alberto Orellana e Lorenzo Battista. Solo che è fermo in commissione Affari costituzionali aPalazzo Madama dal 9 aprile 2015, giorno in cui è stato approvato. Oltre nove mesi. Malgrado i numerosi richiami dell’Antitrust.

MAL DI TESTO Ecco perché adesso quello stesso testo sarà presentato anche a Montecitorio. Per dare una forte accelerazione ad una discussione che, malgrado timidi quanto vani tentativi (ultimi in ordine di tempo quelli degli ex ministri Giulio SantagataMario Catania e dell’ex premier Enrico Letta), va avanti da qualche decennio senza mai giungere a conclusione. A firmare la proposta di legge a Montecitorio è Adriana Galgano, deputata di Scelta Civica, insieme al collega di partito Salvatore Matarrese. “Questa decisione – spiega Galgano a ilfattoquotidiano.it – nasce dopo aver sperimentato come le pressioni delle lobby siano fortissime, anche e soprattutto in Parlamento”. Anche perché “c’è un interesse di molti ex deputati e senatori a svolgere un’attività di questo tipo”, aggiunge l’esponente del partito che fu di Mario Monti. La quale ricorda un episodio che l’ha riguardata in prima persona. “Nel corso dell’approvazione del ddl concorrenza – spiega – ho condotto una battaglia per la liberalizzazione dei farmaci di fascia C”, cioè quelli non concessi dal servizio sanitario nazionale ma che necessitano di ricetta.

GELIDA MANINA E cos’è successo? “Nonostante un risparmio stimato di 500 milioni di euro per i cittadini e il parere favorevole del ministero dello Sviluppo economico affinché questa circostanza si concretizzasse, la longa manus delle lobby ha fatto in modo che la liberalizzazione fosse bloccata. Peraltro – dice Galgano – accampando motivazioni risibili, come l’aumento del consumo dei farmaci stessi: ciò è totalmente falso visto che per acquistarli serve comunque la prescrizione medica”. Ecco perché adesso un emendamento che si muove in questa direzione verrà presentato proprio da Orellana al Senato, dove il provvedimento è sbarcato dopo l’approvazione della Camera. “Noi l’abbiamo definita un’operazione di co-politiching – conclude la deputata – visto che veniamo da gruppi parlamentari diversi: sarà utile per capire, una volta di più, l’influenza dei gruppi di pressione”.

PUBBLICO REGISTRO Ma cosa prevede nello specifico la proposta di legge? Prima di tutto l’istituzione di un “Comitato per il monitoraggio della rappresentanza di interessi” presso il segretariato generale della presidenza del Consiglio, più quella di un “Registro pubblico dei rappresentanti di interessi”. Al quale non potranno iscriversi i condannati in via definitiva per reati contro lo Stato e la pubblica amministrazione. Chi svolgerà l’attività senza essere iscritto al registro, inoltre, sarà punito con una sanzione amministrativa che può toccare i 200 mila euro. “Abbiamo messo da parte le differenze di schieramento perché riteniamo che entrambe le questioni vadano nell’interesse esclusivo dei cittadini – spiega invece Orellana –. Faremo il possibile affinché si concludano positivamente”.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 14 gennaio 2016 per ilfattoquotidiano.it)

Governo, giro di poltrone nella maggioranza: l’alfaniano Albertini e il bersaniano Errani tra le new entry

mercoledì, gennaio 13th, 2016

L’ex sindaco di Milano favorito per il ministero degli Affari regionali. All’ex governatore dell’Emilia Romagna potrebbe andare la casella di vice ministro dello Sviluppo economico. Agli Esteri il Pd spinge Amendola per rimpiazzare Pistelli. E alla Cultura ipotesi Cesaro di Scelta civica per il dopo Barracciu. Ecco le ultime sul toto nomine che impazza in Parlamento. In ballo anche due ambite presidenze di commissione a Palazzo Madama: alla Giustizia in arrivo D’Ascola di Ncd e ai Lavori pubblici il dem Ranucci. I verdiniani si chiamano invece fuori (per ora)

Renzi-6755L’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, alla fine, potrebbe spuntarla per la poltrona di ministro degli Affari regionali. Casella vacante – e coperta dall’interim del premier Matteo Renzi – dal 30 gennaio dell’anno scorso, data delle dimissioni rassegnate da Maria Carmela Lanzetta. Al partito di Angelino Alfano potrebbe andare anche la presidenza di una commissione ‘pesante’ del Senato, dove Nico D’Ascola è in pole per raccogliere il testimone dall’azzurro Francesco Nitto Palma alla Giustizia. Per ricostituire la compagine governativa ci sono da assegnare anche i vice ministeri degli Esteri e dello Sviluppo economico: il primo liberato dal trasloco di Lapo Pistelli alla vice presidenza dell’Eni, il secondo da quello di Claudio De Vincenti a Palazzo Chigi. Per completare l’opera c’è poi da rimpiazzare la dimissionaria (ex) sottosegretaria alla Cultura Francesca Barracciu. Ma il giro di valzer delle poltrone non finisce qui. Con qualche mese di ritardo rispetto alla prassi che fissa l’appuntamento a metà mandato, il Senato dovrà procedere al rodaggio delle presidenze di commissione. E in ballo, oltre alla scricchiolante poltrona di Nitto Palma, c’è anche quella di Altero Matteoli ai Lavori pubblici.

NCD ALL’INCASSO Quella delle commissioni è una partita non più rinviabile. Il fischio finale dovrebbe arrivare entro il 20 gennaio. E il borsino del toto-presidenze è praticamente blindato. Secondo quanto riferiscono fonti qualificate a ilfattoquotidiano.it, per sostituire l’ex ministro del quarto governo Berlusconi alla guida della commissione Giustizia in pole position c’è Nico D’Ascola, senatore del Nuovo centrodestra già avvocato dello studio Ghedini e di Claudio Scajola. Mentre nella corsa per rimpiazzare l’azzurro Matteoli, il nome che circola con maggiore insistenza è quello di Raffaele Ranucci del Partito democratico. A parte queste due caselle è certo che non ci saranno stravolgimenti, anche per non alterare gli equilibri tra le forze che animano la maggioranza di governo. E le correnti interne ai partiti. Di fatto, quindi, sembrano sicuri di mantenere il proprio posto Anna Finocchiaro (Affari costituzionali), Pier Ferdinando Casini (Esteri), Nicola Latorre (Difesa), Andrea Marcucci (Istruzione), Paola De Biasi (Sanità), Giuseppe Marinello (Ambiente), Maurizio Sacconi (Lavoro), Mauro Marino (Finanze), Giorgio Tonini (Bilancio) più i due esponenti della minoranza dem Massimo Mucchetti (Industria) e Vannino Chiti (Politiche europee). Stesso discorso per Roberto Formigoni (Agricoltura), nonostante, soprattutto all’interno del Pd, in molti non gradiscano le posizioni oltranziste del ‘Celeste’ sulle unioni civili. Meglio evitare, almeno per ora, un casus belli all’interno della maggioranza.

BALLO DI GOVERNO Poi c’è da quadrare il cerchio della squadra di governo. Tra i nomi in lizza per un biglietto di ingresso nell’esecutivo la new entry, come detto, è il senatore di Ncd, Gabriele Albertini. Nonostante la preferenza di Renzi per una donna agli Affari regionali (Dorina Bianchi, Federica Chiavaroli, Rosanna Scopelliti e Laura Bianconi tra le più accreditate per le quote rosa) la linea che starebbe prendendo piede nel partito di Alfano è quella di lasciare la poltrona ad un esponente del Nord per riequilibrare geograficamente gli incarichi interni. E per questa ragione a spuntarla potrebbe essere, alla fine, proprio l’ex sindaco di Milano. L’alternativa su cui sui sta ragionando è quella di promuovere il piemontese Enrico Costaagli Affari regionali liberando al collega di partito D’Ascola la poltrona di viceministro della Giustizia. Ma a sentire i ragionamenti di Transatlantico, la vera priorità del presidente del Consiglio sarebbe quella di mettere a posto le cose all’interno del Pd. Scongiurando nuove trincee della minoranza dem con le amministrative ormai all’orizzonte. Per smorzare la tensione, l’ipotesi più accreditata è quella di lasciare all’ex presidente della regione Emilia Romagna, Vasco Errani, la carica di vice ministro dello Sviluppo economico. Poltrona rivendicata anche da Scelta civica che preme per Giulio Cesare Sottanelli. Che difficilmente, però, potrà spuntarla contro il fedelissimo di Bersani. Ma alla fine il fu partito di Mario Monti potrebbe anche accontentarsi dell’assegnazione del sottosegretariato alla Cultura ad Antimo Cesaro. Sarà quasi certamente il Pd, infine, a raccogliere l’eredità di Pistelli alla Farnesina. Dove l’attuale responsabile Esteri della segreteria dem, Vincenzo Amendola, non dovrebbe avere concorrenza per occupare l’ultimo sottosegretariato ancora vacante.

VERDINIANI FUORI GIOCO Questioni quindi molto delicate, quelle delle presidenze di commissione e degli incarichi di governo, rilanciate dall’intervista alla ministra delle Riforme, Maria Elena Boschi, al Corriere della Sera. “Ci sono da ricoprire i ruoli di vice ministro degli Esteri e dello Sviluppo economico, e quello di ministro degli Affari regionali – aveva spiegato –. Non è un rimpasto: sono integrazioni che servono per far funzionare meglio il governo”. Un’intervista non certo passata inosservata e diventata ieri argomento di conversazione sui divanetti di Montecitorio. “E’ solo una coincidenza o piuttosto, alla vigilia delle votazioni sulla riforma costituzionale, un’operazione di moral suasion per evitare sorprese su un provvedimento al quale l’esecutivo ha legato la sua sorte?”, ragionava un autorevole deputato del centrosinistra. Di sicuro, rinvio dopo rinvio, finora Renzi non ha mostrato particolare fretta. Anzi, è possibile che le attese nomine non avvengano simultaneamente. Quel che è certo, almeno per ora, è che Alleanza liberalpopolare-autonomie (Ala), il gruppo capeggiato da Denis Verdini, non sembrerebbe della partita. “Accettare la presidenza di una commissione equivarrebbe ad entrare in maggioranza, figurarsi occupare una poltrona nel governo – spiega un parlamentare di Ala –. Non è questo il nostro intento: per ora continueremo a valutare i singoli provvedimenti e a decidere, caso per caso, se votarli o meno”.

(Articolo scritto il 12 gennaio 2016 con Antonio Pitoni per ilfattoquotidiano.it)

Contributi ai gruppi parlamentari: da Camera e Senato 106 milioni di euro incassati in due anni

giovedì, dicembre 3rd, 2015

Sono le cifre contenute nell’ultimo dossier Openpolis. Che ha analizzato i bilanci di tutte le forze presenti in Parlamento. Partito democratico primatista con 38 milioni. Seguito da Movimento 5 Stelle con 13. Ecco come sono stati spesi i soldi

camera_675Centosei milioni 700 mila euro di contributi stanziati ai gruppi parlamentari nei primi due anni di legislatura. Con il Partito democratico (Pd) a fare la parte del leone incassando, fra Camera e Senato, 38,5 milioni. E il Movimento 5 Stelle (M5S) ad occupare il secondo gradino del podio con 13,4 milioni. Sono questi i numeri resi noti dall’ultimo dossier di Openpolis dal titolo “Paga pantalone”. Uno studio che ha come oggetto proprio il contributo che le varie forze che siedono in Parlamento ricevono per le loro attività istituzionali e il loro funzionamento. “Una cifra in crescita – scrive l’osservatorio nel report – che ha raggiunto i 50 milioni di euro all’anno”. Da non confondere, però, con il finanziamento pubblico ai partiti. Il quale, secondo quanto previsto dalla legge varata due anni fa dal governo di Enrico Letta, sarà definitivamente abolito dal 2017.

PD PIGLIATUTTO – Per sopravvivere nei prossimi tre anni, comunque, i partiti potranno fare affidamento proprio sui contributi di Camera e Senato, calcolati sulla base della loro composizione. Ovvero: più è grande il gruppo e più soldi riceverà. Insomma, Matteo Renzi può dormire sonni tranquilli, visto che “il crescente numero di parlamentari iscritti al Pd” in entrambi i rami del Parlamento “non farà che aumentare il contributo che riceve il gruppo, un incremento tendenziale ad oggi pari a 1,3 milioni di euro all’anno”, scrive Openpolis. Ma in che modo i dem spendono i soldi che arrivano loro? Le uscite maggiori si registrano alla voce stipendi: 5,6 milioni di euro alla Camera nel 2013, cresciuti a 7,5 milioni nel 2014 (il 70,3% del bilancio), e 1,9 milioni al Senato, che hanno superato i 3 milioni lo scorso anno (67,4%). Aumentati anche i costi per le consulenze, passate da 205 mila a 329 mila euro dal 2013 al 2014 solo a Montecitorio. E che dire della comunicazione? Se a Palazzo Madama (dove il Pd conta 112 senatori) sono stati spesi ‘solo’ duemila euro in più, alla Camera la cifra è esplosa passando da 257 mila a 1,9 milioni di euro. Non è un caso, dunque, che i 4,3 milioni di euro di avanzo del 2013 siano crollati a 486 mila euro nel 2014. Mentre al Senato la cifra si è dimezzata di circa il 50%: da 2 a 1,1 milioni.

RISCHI A 5 STELLE – La medaglia d’argento, come detto, va al M5S. In questo caso, però, l’emorragia subita in termini di espulsioni e uscite volontarie (35 parlamentari hanno finora lasciato il Movimento) rischia di portare ad una “perdita tendenziale all’anno” che, calcola Openpolis“sarebbe pari a 2 milioni di euro”. Come per il Pd, anche il movimento di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio spende una fetta cospicua dei suoi bilanci parlamentari per le spese del personale, passate da 867 mila a 2 milioni di euro a Montecitorio (la cifra comunque più bassa rispetto a tutti gli altri gruppi) e da 1 a 1,5 milioni al Senato. Lo stesso discorso vale per le consulenze: i 189 mila euro del 2013 sono diventati 479 mila nei dodici mesi successivi alla Camera, mentre al Senato i 58 mila sono cresciuti attestandosi a 143 mila. Uscite sostanziose che, nonostante tutto, hanno permesso ai grillini di chiudere entrambi gli anni di legislatura con un avanzo di gestione: 961 mila euro nel 2014 alla Camera (erano 1,75 milioni l’anno precedente) e 305 mila 800 euro a Palazzo Madama (quasi 1,1 milioni nel 2013).

SILVIO IN ROSSO – Chi non se la passa per niente bene, invece, è Forza Italia (FI). Il partito di Silvio Berlusconi, che alle elezioni del 2013 si era presentato sotto l’egida del Popolo della Libertà (Pdl), è fra quelli che ha subito le perdite maggiori da inizio legislatura, causate in particolar modo dalla scissione del Nuovo centrodestra (Ncd). Ciò ha comportato “una tendenziale contrazione del contributo ricevuto pari a 5 milioni di euro”, scrive l’osservatorio. Quello che balza all’occhio, leggendo i bilanci di FI, sono i costi dei dipendenti rapportati al numero di deputati e senatori (95 in totale) di cui dispone oggi il partito. “Fra tutti – fa notare Openpolis – il gruppo di Forza Italia alla Camera risulta essere quello che maggiormente sente il peso del personale: incide infatti per l’85% delle entrate” (a Palazzo Madama la percentuale scende al 67%). Ma se proprio a Montecitorio alcune voci di spesa sono diminuite, per esempio le consulenze, andate incontro a 5 mila euro di tagli (da 327 mila a 322 mila euro), è al Senato che i costi sono lievitati. Le consulenze stesse sono passate da 32 mila a 249 mila euro; le collaborazioni da 36 mila a 389 mila euro; le somme impegnate per gli studi da appena 100 euro a 147 mila 900 euro. Non c’è quindi da stupirsi del fatto che, mentre a Montecitorio l’avanzo di FI sia di 298 mila euro nel 2014, a Palazzo Madama il rosso si attesti a 319 mila 192 euro. Ammortizzato solo grazie agli oltre 2 milioni di euro di avanzo del 2013. Insomma, tempi non facili per il Cavaliere.

OCCHIO AI BILANCI – E gli altri gruppi, come se la passano? Nei primi due anni di legislatura, la Lega Nord ha potuto usufruire di 4,6 milioni di euro di contributi: una percentuale molto alta è stata spesa in comunicazione (oltre l’11% a Montecitorio e il 12% a Palazzo Madama). Certo è, però, che bisogna stare attenti ai conti: infatti nel 2014 il Carroccio ha fatto registrare un disavanzo di 125 mila euro alla Camera e di 312 mila euro al Senato, anche in questo caso ammortizzati grazie agli avanzi degli anni precedenti. Lo stesso discorso vale per Sinistra Ecologia Libertà (Sel). Il partito di Nichi Vendola, il cui gruppo è presente solo a Montecitorio, ha ricevuto quasi 3 milioni di euro in due anni. Si tratta di “uno dei gruppi che ha potuto sopportare una chiusura di 2014 in negativo – rileva Openpolis – grazie all’avanzo di bilancio ereditato nel 2013” (182 mila 300 euro). Poi c’è Scelta Civica, che alla Camera conta 23 deputati (al Senato è completamente sparita) e che, come nei casi già citati, deve stare attenta al portafogli. Primo perché le uscite dal gruppo (22) hanno portato una perdita tendenziale di 1,1 milioni di euro l’anno; secondo perché nel 2014 la differenza fra entrate e uscite ha fatto registrare un rosso di 166 mila 900 euro. E Area popolare, fusione fra Ncd e Udc? È il gruppo che ha guadagnato maggiormente dai cambi di casacca: 3 milioni 980 mila euro (+67%).

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 3 dicembre 2015 per ilfattoquotidiano.it)

Gli acefali

venerdì, luglio 26th, 2013

dall-osso-il-deputato-m5s-affettoMi è capitato, recandomi alla Camera dei deputati nei mesi scorsi, di incrociare gli sguardi affascinati degli studenti venuti a visitare quel posto che – malgrado tutto – conserva ancora qualcosa di magico. I ragazzi guardavano il Transatlantico con occhi spalancati. Perché li si è scritta la storia di quel Paese che è anche il loro e che (speriamo) fra qualche anno li vedrà protagonisti.

Gli anni scolastici, appunto. Quelli della spensieratezza. Dello studiare e basta, dei pomeriggi passati a casa degli amici a darsi una mano nei compiti e a «cazzeggiare». Ma anche quelli degli sfottò in classe nei confronti di quei compagni che, per i più svariati motivi, non sono proprio come gli altri. Tutto ciò è sempre apparso ai miei occhi come un simbolo di debolezza e codardia. Anche perché, poi, gli stessi che irridono i più deboli si guardano bene dal ripetere simili comportamenti con quelli considerati “pericolosi”. Bulli part-time, insomma. Acefali, di fatto.

Qualche giorno fa, proprio a Montecitorio, sembrava di essere tornati a scuola. Seduta notturna, è molto tardi. Si discute sul cosiddetto “decreto del fare”. Prende la parola Matteo Dall’Osso, 35 anni, deputato del Movimento 5 Stelle. La sua è una storia particolare. Da dieci anni, Matteo è infatti affetto da sclerosi multipla. Non serve spiegare di che tipo di malattia si tratta, tutti – più o meno – sappiamo di cosa stiamo parlando. Dicevamo: Dall’Osso comincia a leggere il suo intervento ma poco dopo, complice la stanchezza, perde lucidità. Si ferma. Il presidente di turno, il collega di partito Luigi Di Maio, gli chiede se vuole continuare. Gli trema la mano. Lui non demorde e va avanti. Arriva addirittura a scusarsi mentre – ed è questo il punto – dai banchi vicini alcuni “colleghi” cominciano a irriderlo (guarda il video: http://bit.ly/13fUNCc).

Sono quelli di Pd e Scelta Civica. E allora ti fermi un attimo a pensare. Ragioni. Elabori. E ricordi che i primi sono quelli che si indignano – giustamente, sia chiaro – se gli esponenti di un partito che non ha mai fatto della tolleranza il suo cavallo di battaglia rivolgono offese gratuite nei confronti di una loro illustre collega, ministra dell’Integrazione, arrivando addirittura a paragonarla ad un animale. Un orango, per chi avesse rimosso. I secondi, invece, sono gli stessi che per mesi hanno visto e sentito il loro leader ripetere in modo netto quella parola, equità, che dovrebbe dunque evitare qualsiasi forma di giudizio discriminante.

Ovviamente la vicenda è diventata un caso. Sono stati emanati due comunicati, uno per parte. «Nessun deputato del gruppo Scelta civica si è permesso di offendere o anche solo irridere il deputato Matteo Dall’Osso. Respingiamo dunque al mittente il tentativo meschino di strumentalizzare il tema della disabilità solo per alimentare una volgare polemica politica con cui screditarci. Invitiamo il M5S e chi lo guida a non ricorrere mai più a mezzucci indegni e lesivi della dignità delle persone affette da handicap, oltre che del decoro del Parlamento», hanno rilanciato i montiani. Mentre per il Pd si tratta di «un caso che non ha alcun fondamento», anche perché «basta osservare il comportamento del vice presidente di turno in quel momento per accertarsi che non c’è alcun riscontro alle accuse lanciate contro i deputati di maggioranza». Insomma, in fin dei conti la maestra non ha visto e quindi nessuno ha colpe.

Questa mattina La Stampa ha pubblicato un’intervista a Matteo Dall’Osso. Leggo un passaggio e mi commuovo. «Tutti i giorni faccio le scale per venire in Aula. Sono partito da una condizione in cui non muovevo le gambe, la mano, non vedevo da un occhio e non riuscivo a parlare. Oggi la mia vicenda è diventata un case history internazionale. Figuriamoci se mi preoccupo di certe cose». Ne leggo un altro e capisco tutto. «Offeso? Non per me, per le istituzioni. Se qualcuno mi ha chiesto scusa? Sì, anche in Aula. Un deputato di Scelta Civica mi ha chiamato al telefono. Con la mano davanti alla bocca. Per non farsi vedere». Appunto.

Twitter: @GiorgioVelardi