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Trivelle, Wwf: “Oltre 40 piattaforme mai sottoposte a valutazione di impatto ambientale, intervenga il ministero”

giovedì, aprile 14th, 2016

È quanto scritto dall’associazione ambientalista in un instant book recapitato nei giorni scorsi ai deputati. In previsione del referendum di domenica 17 aprile. Secondo l’organizzazione, il 47,7% delle strutture non sono mai state controllate. Ventisei di queste sono di proprietà dell’Eni. E così Mario Catania (Scelta civica) e il leader di Possibile, Giuseppe Civati, hanno indirizzato un’interrogazione a Gian Luca Galletti

trivelle-675Non c’è solo l’appello del presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, a turbare i sogni del premier, Matteo Renzi, in vista del referendum sulle trivelle di domenica prossima. A Montecitorio, sulle scrivanie dei deputati, nei giorni scorsi è infatti arrivata l’anticipazione di un instant book dal titolo emblematico, Trivelle insostenibilirealizzato dal WWF, l’organizzazione internazionale di protezione ambientale con sede in Svizzera. La cui costola italiana ha provato a dare risposta ad una domanda: qual è la situazione delle piattaforme offshore situate nella fascia di interdizione delle 12 miglia?

Analizzando i dati forniti online dall’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (Unmig) del ministero dello Sviluppo economico – lo stesso rimasto da pochi giorni senza un titolare dopo le dimissioni di Federica Guidi a causa dell’emendamento “Tempa Rossa” – e mettendoli a confronto con le norme relative alle valutazioni ambientali e alla sicurezza, il WWF è arrivato ad una conclusione che non può far certo dormire sonni tranquilli. E che, al tempo stesso, rappresenta un assist per gli stessi promotori del referendum del 17 aprile. Cioè: 42 delle 88 piattaforme localizzate entro la fascia offlimits delle 12 miglia, alle quali il governo vorrebbe prorogare la concessione, non sono mai state sottoposte a valutazione di impatto ambientale (Via). Si tratta del 47,7% del totale. Il motivo? Nel nostro Paese la Via è diventata operativa solo trent’anni fa (1986), proprio grazie alla legge che ha istituito il ministero dell’Ambiente. Mentre le 42 piattaforme in questione sono state costruite negli anni precedenti. Insomma: fatta la legge, trovato l’intoppo.

Ma a chi appartengono le piattaforme “incriminate”? Ventisei sono di Eni Eni Mediterranea Idrocarburi (che opera nel settore di esplorazione e produzione di idrocarburi in Sicilia), 9 di Edison e 5 di Adriatica Gas. Di queste, 5 sono piattaforme che estraggono petrolio. Ma c’è anche un altro aspetto che il WWF ha messo sotto la lente di ingrandimento: quello relativo all’età media delle piattaforme localizzate nella stessa fascia. Il 48% di queste, fa sapere l’organizzazione ambientalista, ha oltre 40 anni. E, come detto, non è mai stata sottoposta a Via. Di più: ci sono 8 piattaforme (tutte di proprietà di Eni) che secondo la classificazione dell’Unmig sono ‘non operative’ e che “sarebbe bene smantellare perché costituiscono comunque un impianto obsolescente inattivo, con evidenti rischi per la navigazione oltre ad avere, se vicino alla costa, un impatto paesaggistico immotivato”. A fronte di tutto ciò, il WWF ha chiesto un intervento diretto del ministero dell’Ambiente, che “dovrebbe ‘battere un colpo’ anche perché non risulta che abbia detto nulla a suo tempo nemmeno sulla soppressione, voluta dal governo e accolta dal Parlamento, del Piano delle Aree (previsto dallo Sblocca Italia e modificato dalle legge di stabilità 2016, ndr) per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi che avrebbe dovuto essere sottoposto a valutazione di impatto ambientale”.

Rilievi, quelli effettuati del WWF, che si spostano ora in Parlamento. Con un’interrogazione firmata dall’ex ministro dell’Agricoltura del governo Monti, Mario Catania (Scelta civica), e dal leader di Possibile, Giuseppe Civati. I quali, fra le altre cose, hanno chiesto al ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti (Udc), se “non voglia compiere tutti i passi necessari affinché le piattaforme realizzate prima del 1986 vengano comunque sottoposte alla valutazione di impatto ambientale”. Ma anche se “non voglia intervenire sul ministero dello Sviluppo economico per chiedere che le 8 piattaforme offshore Eni classificate come ‘non operative’ vengano smantellate dall’azienda responsabile”. È “la trivella di Pandora”, dice Civati a ilfattoquotidiano.it. “Ogni aspetto che riguarda il petrolio in questo Paese, dalle concessioni alle royalties, sta aprendo gli occhi a molti cittadini sull’inerzia di questo governo nell’affrontare le questioni – aggiunge –. Il 17 aprile confidiamo in un ‘sì’ per estendere la campagna a tutto ciò che è connesso: è il momento di cambiare, verso il futuro, non abbracciati ai fossili”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Catania. “Bisogna verificare l’assoluta sicurezza di queste piattaforme”, spiega l’ex ministro. “Non possiamo accettare nemmeno la più remota possibilità di incidente nel nostro mare, i danni sarebbero incalcolabili – aggiunge –. Sono inoltre convinto che debba finire la pratica di prorogare concessioni in scadenza, correndo anche il rischio di rendere perenne la presenza delle trivelle anche per giacimenti in esaurimento”.

(Articolo scritto il 12 aprile 2016 per ilfattoquotidiano.it)

Contraffazione: fra criminalità organizzata e leggi obsolete in Italia il fatturato illecito è di 6,5 miliardi di euro

mercoledì, marzo 2nd, 2016

I dati contenuti nell’ultimo rapporto della commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Mario Catania (Scelta civica). Anche l’esplosione dell’e-commerce fra le cause dello sviluppo del fenomeno. Diventato addirittura una forma di ammortizzatore sociale. I giovani quelli maggiormente attratti: il 74,6% di loro acquista regolarmente prodotti falsificati

contrabbando-675C’è la longa manus della criminalità organizzata, che “negli ultimi decenni ha intuito con lucidità l’ampio potenziale” di un fenomeno “che presenta buoni margini di guadagno a fronte di un modesto rischio repressivo”. Ma anche l’esplosione dell’e-commerce, che “per le sue caratteristiche si presta perfettamente ad una dislocazione internazionale dell’attività”. Più un quadro normativo a dir poco farraginoso. Tutti fattori che mescolati insieme portano a danni economici per 600 miliardi di dollari all’anno (tra il 5 e il 7% dell’intero commercio mondiale) secondo i calcoli dell’Organizzazione mondiale del commercio. Sono solo alcune delle considerazioni contenute nell’ultima relazione della ‘Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo’ presieduta da Mario Catania (Scelta civica). Una fotografia impietosa, quella scattata dall’organismo parlamentare. Anche perché “le audizioni svolte nell’ambito di questa inchiesta – spiega l’ex ministro dell’Agricoltura del governo Monti – ci hanno fatto capire come nessun comparto produttivo, dai farmaci ai giocattoli fino all’alimentare, alla meccanica e ai cosmetici sia oggi sia esente dalla contraffazione: l’unico parametro che muove i contraffattori è il ritorno in termini di reddito”.

MERCATO PARALLELO  Se a livello europeo i problemi maggiori arrivano da paesi come Cina (da cui proviene il maggior numero di merci sospettate di violare i diritti di proprietà intellettuale), Turchia(per i profumi e la cosmesi) e India (farmaci), “danneggiando particolarmente i sistemi economici fortemente imperniati sulla ricerca, sull’innovazione e sulla creatività”, in Italia il fenomeno della contraffazione ha raggiunto cifre monstre. Secondo un report pubblicato da ministero dello Sviluppo economico e Censis, nel nostro Paese, con un fatturato illecito di oltre 6,5 miliardi (2012), la contraffazione ha sottratto al sistema economico legale nazionale5 miliardi 280 milioni di entrate erariali (circa il 2% delle entrate) e 105 mila posti di lavoro. Creando addirittura un mercato parallelo visto che, è scritto nella relazione, l’industria del falso “segue lo stesso trend di quella legale”. Non solo. È infatti “significativa la percezione molto diffusa del fenomeno contraffazione come ‘ammortizzatore sociale’ che consente a persone indigenti di avere una qualche forma di sostentamento allontanandole da altre forme di delinquenza”. Proprio così. I più attratti dal commercio abusivo? I giovani. Il 74,6% di loro acquista regolarmente prodotti contraffatti, soprattutto capi d’abbigliamento, cd e dvd e accessori. Due i principali motivi: il risparmio e il bisogno.

MINACCE E CONNIVENZE – In questo quadro negativo a farla da padrona è la criminalità organizzata. La quale “ha saputo sfruttare la potenzialità della globalizzazione – dice il report della commissione – articolando i propri traffici a livello transnazionale attraverso un’ottimale divisione del lavoro”, utilizzando “vari canali di vendita anche al fine di eludere i controlli e beneficiare delle maglie larghe della legislazione”. Spesso, e questo è forse il principale paradosso, sfruttando persino il mercato ‘legale’. Come? “Vi sono casi in cui la disponibilità degli imprenditori” a vendere nei loro negozi merce contraffatta “viene estorta con l’intimidazione da parte della criminalità organizzata, ed altri in cui le medesime reti etniche coinvolte nella produzione e/o nel traffico di prodotti contraffatti svolgono un ruolo attivo anche nella sua commercializzazione al dettaglio”. Senza dimenticare il ruolo di “grossisti conniventi che offrono prodotti contraffatti insieme agli originali”. Ad essere maggiormente colpito è ovviamente il made in Italy, strettamente collegato ad un altro fenomeno in forte ascesa: quello del cosiddetto Italian sounding (la commercializzazione di prodotti che portano nomi di marchi che ‘suonano’ come italiani). Un danno per i produttori che si aggira intorno ai 60 miliardi l’anno e che “si muove in un’ampia ed indefinita zona grigia”.

GIRO DI VITE – Ma come invertire il trend? La relazione contiene alcune proposte normative in materia penale. Perché “l’impianto di norme vigenti è obsoleto, risale al codice Rocco, quindi agli Anni ‘30 del secolo scorso e non è aderente alla realtà attuale del fenomeno – aggiunge Catania –. Basti pensare al fatto che, a fronte di una mole imponente di denunce e di illeciti riscontrati dalle forze di polizia, sono pochissimi i casi che arrivano a sentenza”. In primis, quindi, serve “una nuova collocazione delle figure di reato relative alla contraffazione nel codice penale vigente, con la strutturazione di questi reati come ‘di pericolo’ anziché ‘di danno’ al fine di perseguirli con maggiore incisività”. Inoltre siccome “oggi vengono puniti allo stesso modo il venditore abusivo e il criminale internazionale che gestisce la filiera della contraffazione”, viene proposto “un reato autonomo di contraffazione ‘sistematica e organizzata’ (vale a dire per quei reati in cui sia accertata la presenza della criminalità organizzata), con un inasprimento della sanzione che lo smarchi dalla tenuità del fatto”. Serve poi un “rafforzamento del coordinamento delle forze di polizia”, valutando “forme di specializzazione per quelle impegnate nel settore – conclude il deputato di Scelta civica –. A ciò va aggiunto quello del ruolo della polizia amministrativa nel contrasto alla contraffazione”.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 1 marzo 2016 per ilfattoquotidiano.it)