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Produzione legislativa in Italia, rapporto di Openpolis: governo pigliatutto mentre il Parlamento sta a guardare

martedì, gennaio 5th, 2016

5208949152_32edf4cc84_oUno squilibrio diventato ormai una prassi consolidata. E che sembra non avere fine. Da una parte il Parlamento e dall’altra il governo, con quest’ultimo che la fa da padrone se si analizza l’esercizio della funzione legislativa in Italia. Delle oltre 565 leggi approvate nelle ultime due legislature, infatti, ben 440 sono state presentate dai vari esecutivi che si sono succeduti. Una percentuale significativa, pari al 77,8% del totale. Con il primato che spetta al governo di Enrico Letta: nel periodo in cui è stato in carica, il Parlamento ha presentato soltanto l’11,1% delle leggi approvate contro l’88,89%. Ecco perché, nel suo ultimo rapporto, Openpolis parla senza mezzi termini di «un premierato all’italiana».

Comanda il governo. Nel nuovo studio, l’osservatorio civico sulla politica italiana ha preso in considerazione la XVI Legislatura e i primi tre anni della XVII. Periodo nel quale, come noto, si sono alternati quattro governi: quelli di Silvio Berlusconi e Mario Monti fra il 2008 e il 2013 e quelli di Enrico Letta e Matteo Renzi dal 2013 ad oggi. Con una costante: la produzione legislativa del nostro Parlamento è praticamente rimasta sempre in mano al governo. Deputati e senatori? Di fatto stanno a guardare. Prima di essere sostituito da quello guidato dall’ex commissario europeo, l’esecutivo del Cavaliere ha presentato l’80,29% delle leggi approvate, mentre Camera e Senato si sono fermate al 19,71%. La musica non è cambiata nemmeno con l’arrivo di Monti a Palazzo Chigi. Certo, si sono registrate percentuali più basse: 68,14% (governo) contro 31,86% (Parlamento). Ma la sostanza è rimasta la stessa. Per non parlare poi degli ultimi due esecutivi. Letta, come detto, ha battuto ogni record lasciando a Camera e Senato soltanto le briciole, ma anche il premier-segretario del Partito democratico – il gruppo che dal 2013 ad oggi ha presentato il 73,33% delle 30 proposte di legge di iniziativa parlamentare che hanno completato l’iter – sembra essere sulla buona strada. Finora il suo governo ha presentato l’80,43% delle leggi approvate contro il 18,84% del Parlamento.

Parlamento svilito. Ma non è tutto. Ci sono infatti altri tre aspetti da tenere in considerazione: quello dei tempi di approvazione delle leggi, quello della percentuale di successo dei ddl e quello del ricorso al voto di fiducia. Nel primo caso, non solo la percentuale di successo per le iniziative del governo è molto più alta, ma anche i tempi di approvazione sono più rapidi. Se in media l’esecutivo impiega 133 giorni a trasformare una proposta in legge (circa 4 mesi), il Parlamento ce ne mette 408. Più di un anno. Anche se nell’attuale legislatura si evidenziano trend opposti: mentre le proposte del governo sono più lente rispetto ai cinque anni precedenti, quelle del Parlamento sono più veloci. Comunque una magra consolazione alla luce di quanto detto finora. Anche perché mentre le proposte di deputati e senatori diventano legge lo 0,87% delle volte, per quelle del governo la percentuale sale al 32,02%. Risultato spesso raggiunto sfruttando l’escamotage della fiducia. In media, nelle ultime due legislature, il 27% delle leggi approvate ha necessitato di un voto di fiducia, con picchi massimi raggiunti dal governo Monti prima (45,13%) e Renzi poi (34,06%). Più “moderati” nell’utilizzo di questo strumento i governi Berlusconi (16,42%) e Letta (27,78%).

Regioni (e popolo) al palo. E le Regioni? Dal 2008 ad oggi queste hanno presentato 119 disegni di legge, ma soltanto 5 hanno completato l’iter. E tutti nei cinque anni precedenti. Tre dei cinque erano modifiche agli statuti regionali (di Sicilia, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna), uno è stato approvato come testo unificato in materia di sicurezza stradale mentre l’ultimo è stato assorbito nella riforma del federalismo fiscale sotto il governo Berlusconi. Non pervenute, invece, le leggi di iniziativa popolare: nelle ultime due legislatura solamente un disegno di legge presentato dai cittadini è diventato legge.

Twitter: @GiorgioVelardi

Parlamento, promossi e bocciati

martedì, febbraio 26th, 2013

camera-dei-deputatiL’abbiamo chiamata, e tutt’ora lo facciamo, «casta». Immaginiamo politici fannulloni, sperperatori di denaro, completamente avulsi dalla vita “reale”. Però a questo punto è lecito fare una domanda: i nostri parlamentari – e di conseguenza i partiti a cui appartengono – sono davvero tutti uguali?

A questa e ad altre domande ha provato a rispondere il “Rapporto sull’attività del Parlamento nella XVI Legislatura” redatto da Openpolis, l’osservatorio nato nel 2008 che si occupa di trasparenza e accesso ai dati pubblici e che negli ultimi cinque anni ha messo sotto la lente d’ingrandimento l’attività del 945 parlamentari della Repubblica.

Nelle prime pagine del rapporto Openpolis spiega la metodologia seguita per l’analisi. «L’indice di produttività parlamentare propone la valutazione del lavoro di deputati e senatori in base a criteri di efficacia che aiutino a distinguere la gran massa di attività che non produce effetti – per esempio su circa 9.600 Ddl presentati appena 500 sono stati esaminati – da quella, poca, che invece da risultati», scrive l’associazione. «Non si entra mai nel merito di quanto un atto dispone, se sia buono o cattivo, ma ci si limita ad attribuire un punteggio ad ogni passaggio di iter. L’indice è uno strumento che ha il vantaggio della sintesi – è scritto ancora – ma che tuttavia non deve essere preso come uno strumento per la misurazione esatta. Serve per analizzare e valutare la complessa realtà parlamentare, non certo per formulare giudizi». Tre sono i criteri di produttività: l’iter dell’atto parlamentare, il consenso (ovvero la quantità e la tipologia di gradimento che il Primo firmatario di un atto riesce ad ottenere presso i suoi colleghi) e la partecipazione ai lavori (cioè il contributo del parlamentare ai lavori della Camera di appartenenza).

Il primo dato che salta all’occhio sfogliando le pagine del rapporto è quello che riguarda gli atti approvati e conclusi nel corso della XVI legislatura. Openpolis nota come il decreto legge (che, lo ricordiamo, è un provvedimento che il governo dovrebbe utilizzare in casi di estrema necessità e urgenza) sia oggi «una modalità di legiferazione quasi ordinaria». Basta leggere i numeri: dei 115 decreti presentati nei 5 anni di Legislatura – molti dei quali nell’anno del governo Monti – 97 sono stati convertiti (84,35%), mentre dei 9.572 disegni di legge solo 387 sono stati approvati (“appena” il 4,4%). Anche le risposte alle interrogazioni parlamentari, ovvero lo strumento di cui i partiti dispongono per chiedere al governo delucidazioni su una determinata questione, sono poche rispetto alle domande: 42.903 quella presentate, 16.694 quelle concluse (il 38,91%). Ne emerge che il Parlamento è sempre più “espropriato” del suo ruolo rispetto all’esecutivo.

Connessa alla questione del decreto legge c’è il ricorso alla fiducia. In questo caso, diceOpenpolis, «la tendenza già evidentemente troppo elevata nella fase del governo Berlusconi – con 16 leggi su 100 approvate con la fiducia – diventa del tutto patologica durante il governo Monti con un rapporto di quasi una legge su due per la quale si è fatto ricorso alla fiducia». Fra i provvedimenti votati in questi anni 3 voti di fiducia sono stati necessari per l’approvazione della Legge di sviluppo 2008, per il decreto Milleproroghe 2012 e per quello sulle semplificazioni fiscali; 4 per il Decreto sviluppo e la Riforma fiscale; 5 per la legge Anti-corruzione e per quella di Stabilità 2013 e addirittura 8 per la Riforma del mercato del lavoro.

Ci sono poi provvedimenti che l’associazione ha diviso in due categorie: leggi lepre e lumaca, ovvero quelle che da una parte sono state approvate in maniera rapida – se messe a confronto con le lungaggini parlamentari – e altre che al contrario sono rimaste in ballo per anni. «Il ritardo con cui il Parlamento e il governo rispondono alle esigenze reali del Paese», scrive Openpolis, «non è da imputarsi a “tecnicismi istituzionali” quanto piuttosto alla mancanza di volontà politica». Fra le “leggi lepre” ci sono, per esempio, il Lodo Alfano (124/2008, poi dichiarata incostituzionale dalla Consulta per la violazione degli articoli 3 e 138 della Carta), approvato in “appena” 20 giorni. Oppure la legge di Stabilità 2012 e quella di Bilancio 2012, 25 giorni. E la spending review del ministro Giarda, 32 giorni. Mentre fra quelle “lumaca” troviamo la legge per il contrasto ad usura ed estorsione, 1.357 giorni, quella per l’equo compenso dei giornalisti, 901, e quella per le quote rosa nelle società quotate in borsa, 782.

Veniamo ora ai parlamentari. Quali sono stati, nei cinque anni a Montecitorio e Palazzo Madama, quelli più presenti e quelli – al contrario – maggiormente assenti? Partiamo dalla Camera, dove Remigio Ceroni (Pdl) risulta essere il deputato con la più alta percentuale di presenze in aula (99,88%), seguito da Giorgio Lainati e Simone Baldelli (entrambi del Pdl) con il 99,84 e il 99,78% delle presenze. Nella “top three” dei deputati maggiormente assenti ci sono invece Antonio Gaglione (Misto, 91,70%), Niccolò Ghedini (Pdl, 81,20%) e Denis Verdini (Pdl, 75,90%). Al quinto posto spunta anche Pier Luigi Bersani, segretario del Pd e candidato premier del centrosinistra, con il 72,30% di assenze. A Palazzo Madama, invece, i tre senatori più presenti sono Cristiano De Eccher (Pdl, 99,90%), Achille Totaro (Fdi, 99,80%) e Mario Pittoni (Lega Nord, 99,70%). Fra quelli maggiormente assenti, nelle prime tre posizioni ci sono Giovanni Pistorio (Misto, 65,30%), Domenico Nania (Pdl, 64,50%) e Emma Bonino (Radicali, 60,80%).

Un conto sono le presenze, un altro la produttività (come spiegato in precedenza). Anche in questo caso, Openpolis ha stilato una classifica di deputati, senatori e gruppi parlamentari che hanno lavorato di più rispetto agli altri. Alla Camera i tre parlamentari più produttivi sono risultati essere Donato Bruno del Pdl (indice di produttività pari a 1248,4), Franco Narducci del Pd (1138,5) e Antonio Borghesi dell’Idv (1113,4). Nelle prime tre posizioni al Senato ci sono invece Carlo Vizzini dell’Udc-Svp (1574,8), Lucio Malan del Pdl (1398,9) e Gianpiero D’Alia (Udc-Svp, 1314). Chi sono, invece, i più “fannulloni”? Alla Camera i primi tre della lista sono Niccolò Ghedini (Pdl, 14,4), Denis Verdini (Pdl, 23,2) e Antonio Angelucci (Pdl, 26,2). Al Senato spiccano Vladimiro Crisafulli (Pd, 22,2), Raffaele Stancanelli (Pdl, 22,7) e Sergio Zavoli (Pd, 33,2). Il primo posto fra i gruppi parlamentari più produttivi è occupato dall’Italia dei valori di Antonio Di Pietro con un indice di produttività pari a 418,3 alla Camera e 445 al Senato. Solo quinti e sesti Pd (222,9) e Pdl (197) alla Camera, con il partito di Berlusconi che al Senato scivola all’ottavo posto.

Un altro capitolo del rapporto è dedicato a deputati e senatori che vanno e vengono. Quello del cambio di casacca, scrive Openpolis, è stato «uno dei fenomeni caratterizzanti la XVI Legislatura». L’Udc di Casini risulta essere l’unico partito di quelli che ha intrapreso fin dal principio la Legislatura ad avere un “saldo” positivo: +2 deputati alla Camera e +8 al Senato conquistati in questi anni. Una vera emorragia è quella che ha invece colpito il Pdl, che ha perso 70 deputati e 27 senatori, mentre il Pd ha visto passare ad altri partiti 13 deputati (come pure l’Idv) e 14 senatori.

C’è, infine, un particolare che riguarda il governo Monti. Sapete qual è il gruppo parlamentareche – sia alla Camera che al Senato – ha sostenuto maggiormente l’esecutivo del Professore? Chi ha risposto Udc e Fli ha sbagliato. È infatti il Pd la formazione più ”fedele”. Alla Camera, dei 99 voti finali, i democratici hanno votato favorevolmente nell’83% dei casi (+6% rispetto all’Udc e +23% rispetto a Fli), mentre a Palazzo Madama, in 83 voti finali, la percentuale raggiunge l’85% (+10% rispetto ad Api-Fli e +15% rispetto all’Udc). Scenario che si riflette anche su deputati e senatori che hanno sostenuto maggiormente il governo tecnico. Nelle prime 22 posizioni a Montecitorio ben 20 sono del Pd. Idem al Senato. Che sia il preludio ad un accordo, già sottoscritto, fra Bersani e Monti dopo le elezioni? Lo sapremo fra poche settimane.

Twitter: @GiorgioVelardi

Professione Onorevole – da “Il Punto” del 21/09/2012

venerdì, settembre 28th, 2012

L’Associazione Openpolis monitora l’attività di deputati e senatori e permette ai cittadini di essere sempre informati su quanto realmente prodotto dagli oltre 900 parlamentari italiani. Di Pietro primeggia fra i leader di partito davanti a Casini, Alfano, Maroni e Bersani. Male i “big”, quasi tutti con un basso indice di produttività. Mentre si moltiplicano i cambi di casacca: a pagare dazio soprattutto il Pdl

«La legge elettorale verrà a questo punto e con ogni probabilità riformata in Parlamento a maggioranza». In mezzo allo stallo che vige da mesi intorno al cambiamento del sistema di voto, uno degli assi portanti del dibattito politico, è il segretario del Pri Francesco Nucara ad indicare la strada maestra. Malgrado le buone intenzioni, serpeggia la paura – fra gli elettori, più che tra le forze politiche – che alla fine si tornerà a votare con il “Porcellum”. Sarebbe la terza volta, potrebbe non essere l’ultima. Ma chi sono i «nominati» che finora hanno lavorato meglio e quali, invece, quelli che hanno fatto peggio? E i partiti? Quali di quelli presenti in Parlamento hanno perso più membri dall’inizio dell’attuale legislatura? L’associazione Openpolis, che si autodefinisce un «osservatorio civico della politica che analizza quotidianamente i meccanismi complessi che muovono l’Italia», promuove l’open government e permette ai cittadini di essere costantemente informati sull’attività degli oltre 900 parlamentari che compongono Camera e Senato.

SECCHIONI E FANNULLONI - Antonio Borghesi (Idv) e Gianpiero D’Alia (Udc). Non saranno fra i parlamentari più conosciuti, eppure sono quelli che alla Camera e al Senato fanno registrare il più alto indice di produttività, calcolato sulla base di criteri che verificano quanto una data attività sia stata effettivamente produttiva. «Andiamo a vedere che fine hanno fatto gli atti presentati dal parlamentare, quanti sono stati discussi, votati o diventati legge, quanti, invece, sono rimasti solo intenzioni», si legge su www.openpolis.it. Insomma: non serve scaldare la poltrona ma “fare”. Nella top ten alla Camera compaiono Franco Narducci (2°), Pier Paolo Baretta (3°), Maria Antonietta Farina Coscioni (6°), Roberto Zaccaria (9°) e Maurizio Turco (10°) del Partito democratico, Donato Bruno (4°), Manlio Contento (7°) ed Edmondo Cirielli (8°) del Pdl e Stefano Stefani (5°) della Lega Nord. I big di partito hanno invece andamenti molto differenti. Al 16° posto della radicale Rita Bernardini si alterna il 156° del capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, così come alla 41esima posizione dell’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano (Pd) si contrappone la 496esima occupata dal suo collega di partito Massimo D’Alema. In altre faccende affaccendati, quasi tutti i pezzi grossi di Montecitorio navigano nei bassifondi. Rosy Bindi è 425esima, Walter Veltroni 457esimo, Giuseppe Fioroni occupa la posizione numero 510 e Giovanna Melandri la 551. Va un po’ meglio all’ex segretario Dario Franceschini e ad Enrico Letta (vice di Bersani alla guida del Pd), che sono rispettivamente al 255esimo e al 267esimo posto. Sul fronte opposto, quello del Pdl, l’andazzo è simile. Renato Brunetta è “solo” 367esimo, Mara Carfagna 494esima, Raffaele Fitto 533esimo, Michela Vittoria Brambilla 567esima, Denis Verdini 616esimo e Niccolò Ghedini (avvocato di Silvio Berlusconi) addirittura 621esimo. Anche in questo caso non mancano le “mosche bianche”. Jole Santelli, vicecapogruppo alla Camera del partito, è 56esima, mentre Giorgio Jannone (presidente della Commissione di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale) è 85esimo. Tra le varie formazioni spicca l’attivismo dell’Italia dei valori. Molti dei deputati del partito di Antonio Di Pietro – che alla Camera conta 20 seggi – sono fra le prime cento posizioni. Il responsabile giustizia Federico Palomba è 37esimo, Fabio Evangelisti 47esimo e Francesco Barbato 92esimo. Al Senato, invece, alle spalle di D’Alia c’è Carlo Vizzini (Udc), presidente della commissione Affari costituzionali. Fra i “diligenti” di Palazzo Madama c’è un folto gruppo del Pdl formato da Lucio Malan (3°), Filippo Berselli (6°), Antonio D’Alì (7°), Antonio Azzolini (8°) e Giampaolo Bettamio (9°), a cui si uniscono i democratici Felice Casson (4°) e Stefano Ceccanti (5°) e il leghista Massimo Garavaglia (10°). E i pezzi da novanta? Nel Pdl Maurizio Gasparri è 95esimo, Altero Matteoli 158esimo, Gaetano Quagliariello 245esimo, Maurizio Sacconi 267esimo e Carlo Giovanardi 295esimo. Nel Pd spiccano i nomi di Enzo Bianco (20°) e di Anna Finocchiaro (76°); nell’Idv sono invece Luigi Li Gotti (12°), Elio Lannutti (17°), Pancho Pardi (34°) e Felice Belisario (43°) i più “produttivi”.

L’HIT PARADE DEI LEADER - A ridosso delle prime dieci posizioni alla Camera dei deputati c’è Antonio Di Pietro (11°), presidente dell’Italia dei valori. L’ex pubblico ministero è il primo, fra i leader di partito, ad occupare un posto così alto in graduatoria, grazie ad un indice di produttività di 681.0. Molto più staccati i segretari di Pd, Pdl, Udc e Lega Nord. I dati, aggiornati al 13 settembre 2012, vedono Pier Ferdinando Casini 268esimo, con un indice di produttività di 168.8, malgrado un numero di presenze – che si riferiscono alle votazioni elettroniche che si svolgono alla Camera e al Senato dall’inizio della legislatura – superiore a quello di Di Pietro (58,48% contro 46,20). Bisogna invece scendere di oltre duecento posizioni per trovare Angelino Alfano. Erede designato di Silvio Berlusconi alla guida del Popolo della Libertà, anche se ancora relegato nelle retrovie, l’ex ministro della Giustizia occupa la casella numero 471. Quasi sempre in “missione” (69,76%), Alfano ha un indice di presenze molto basso, appena il 10,98%. Non va meglio a Roberto Maroni, successore di Umberto Bossi a capo della Lega Nord. Il «rottamatore» del Carroccio è 503esimo, con una percentuale impressionante di missioni (82,49%), un bassissimo numero di presenze (6,38%) e un indice di produttività di appena 93.6. Il cucchiaio di legno, per dirla in termini rugbistici, spetta però al segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani, solo 518esimo su 630 alla Camera: 70,01% le assenze, 85.7 l’indice di produttività.

EMORRAGIA PDL - Ottanta parlamentari in meno dall’inizio della legislatura. A tanto ammonta il deficit – ma la si potrebbe tranquillamente definire “emorragia” – del Pdl, che dal 2008 ad oggi ha perso ben 64 deputati e 16 senatori. Come lui nessuno mai, alla luce del fatto che il Pd ha visto “partire” 11 deputati e 14 senatori (25 parlamentari in totale) e l’Udc addirittura guadagnarne 11 (4 alla Camera e 7 al Senato). Insomma, il partito è ad un bivio: il suo futuro è legato alla decisione di Berlusconi di ricandidarsi o meno in vista delle elezioni del 2013. Il Cavaliere, in base alla nuova legge elettorale che sarà varata (sempre che la si faccia), dovrà decidere come riorganizzare il partito. Basta “traditori” – come scrisse quel famoso 8 novembre 2011 alla Camera su un foglio abilmente immortalato dai fotografi –, stop agli errori fatti in passato. Al Popolo della Libertà è infatti costata cara la diaspora finiana, dopo il noto «che fai, mi cacci?» del presidente della Camera: Fli conta ora 26 deputati (all’inizio erano 40) e 14 senatori (in quest’ultimo caso in coabitazione con l’Api). Ma ad aver voltato le spalle all’ex premier ci sono anche fedelissimi come Gabriella Carlucci, passata all’Udc, e Giorgio Stracquadanio, ultimo in ordine di tempo ad aver abbandonato la nave per aderire al Gruppo Misto. Non vanno poi dimenticati Paolo Guzzanti e Silvano Moffa, uno dei recordman del cambio di casacca nella legislatura 2008/2013: prima Pdl, poi Fli, Gruppo Misto e infine Popolo e Territorio (stesso percorso seguito anche da Barbara Siliquini e Catia Polidori). Va meglio, come preannunciato, al Pd. Fra i nomi noti ad aver lasciato i democrat figurano Paola Binetti, Renzo Lusetti ed Enzo Carra, ora tutti deputati dell’Udc, e Francesco Rutelli, che nel novembre 2009 ha dato vita ad Alleanza per l’Italia (Api). Bilancio in rosso anche per Italia dei valori e Lega Nord. Di Pietro ha dovuto fare i conti con “l’alto tradimento” di Antonio Razzi, Domenico Scilipoti e altri 6 deputati (più 2 senatori, Giuseppe Astore e Giacinto Russo), mentre il Carroccio ha perso pezzi solo al Senato. Dopo lo scandalo che ha portato al totale riassetto dei vertici leghisti la “pasionaria” Rosy Mauro, Lorenzo Bodega e Piergiorgio Stiffoni sono infatti passati al Gruppo Misto. Non mancano poi i “transfughi cronici”. Oltre al già citato Moffa, ecco Americo Porfidia (Idv-Gruppo Misto-Popolo e Territorio-Gruppo Misto), Giampiero Catone (Pdl-Fli-Gruppo Misto-Popolo e Territorio) e Antonio Milo (Gruppo Misto-Popolo e Territorio-Gruppo Misto-Popolo e Territorio) alla Camera, Mario Baldassarri (Pdl-Fli-Gruppo Misto-Api/Fli), Adriana Poli Bortone (Pdl-Gruppo Misto-Api/Fli-Coesione Nazionale) ed Elio Massimo Palmizio (Pdl-Coesione Nazionale-Pdl-Coesione Nazionale) al Senato. Chissà se li rivedremo ancora in Parlamento. In quel caso, il consiglio è uno e uno solo: avere le idee chiare da subito.

Twitter: @GiorgioVelardi