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Sanzioni ai dissidenti, Di Pietro sta con Grillo: “Assurde le accuse di fascismo e razzismo, la polizza l’ho inventata io”

mercoledì, febbraio 10th, 2016

Nel 2010 l’allora leader dell’Idv fu il primo a mettere nero su bianco una misura anti-voltagabbana. Da far firmare ai candidati alle Regionali. Con una penale da 100 mila euro in caso di tradimento. Per evitare nuovi casi-Scilipoti. “Giusto punire chi usa il partito come un taxi”, dice l’ex pm di Mani pulite. Che poi dà un consiglio al fondatore dei 5 Stelle: “Stia attento alla forma, altrimenti si rischia un effetto boomerang com’è successo a me. Alla fine sono rimasto cornuto e mazziato”   

di-pietro-675Questa volta Beppe Grillo è arrivato secondo.La ‘polizza anti-voltagabbana’ l’ho inventata io nel 2010 alla vigilia delle elezioni Regionali – dice fiero l’ex leader dell’Italia dei valori (Idv), Antonio Di Pietro, parlando con ilfattoquotidiano.it –. Sono contento che il fondatore del Movimento 5 Stelle abbia preso spunto da me, è giusto che chi viene eletto rispetti il volere popolare. Però mi permetto di dargli un consiglio, anzi due. Innanzitutto ‘voltagabbana’ è chi si fa eleggere in un partito e poi lo lascia per andare in un altro o comunque per farsi gli affari suoi, mentre tutt’altro discorso è avere opinioni diverse all’interno dello stesso partito. Il che invece è ampiamente comprensibile. In secondo luogo, il mio amico Beppe stia attento alla forma: in casi simili, alla fine, si rischia l’effetto boomerang”. Mentre proseguono le polemiche a distanza fra M5S e Pd sul documento che il partito di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio farà firmare ai propri candidati alle comunali di Roma (che prevede una multa da 150 mila euro per i dissidenti), l’ex pm di Mani pulite interviene nel dibattito ricordando il precedente che sei anni fa lo vide protagonista in prima persona. E aggiunge: “Una legge sui partiti? Mi auguro proprio che la facciano. Ma che c’azzecca? Qui il problema è un altro. E si chiama etica”.

Onorevole Di Pietro, dunque Grillo e Casaleggio avrebbero preso spunto da lei. Ma come funzionava la sua ‘polizza’?
In maniera molto semplice: i candidati nelle liste dell’Idv, se eletti, dovevano rimborsare le spese elettorali sostenute dal partito, versando una quota mensile di 1.500 euro che veniva trattenuta dalle strutture territoriali del partito stesso per il suo funzionamento.

In caso di ‘tradimento’?
In che senso? Non è certo un tradimento pensarla diversamente. Altra cosa invece è abbandonare il partito dopo essere stato eletto, fregandosene degli impegni presi con gli elettori. In tal caso era prevista una penale da 100 mila euro. Il motivo è molto semplice: durante la campagna elettorale un partito prende degli impegni politici con i propri elettori e investe sui suoi candidati anche importanti somme di denaro. Ma chi usa il partito come un taxi per farsi eleggere e poi pensare agli affari propri deve essere sanzionato in qualche modo. Altro che vincolo di mandato.

Adesso anche lei verrà accusato di fascismo e razzismo…
Ma che c’entrano il fascismo e il razzismo in questa storia? Si tratta di coerenza.

Dovrebbe chiederlo al Pd, i renziani sono scatenati.
Parliamo dello stesso Renzi che con i suoi voti di fiducia ricatta continuamente il Parlamento, i cui rappresentanti sono stati nominati dalle segreterie di partito grazie ad una legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Consulta, e che se dovessero votare la sfiducia andrebbero a casa e nessuno li ricandiderebbe più? Per favore…

Quindi lei si schiera dalla parte dei fondatori del M5S. O sbaglio?
È ovvio, pur con le suddette precisazioni e anche qualche consiglio in più sul piano tecnico della stesura del documento di  impegno. A Grillo e Casaleggio va la mia solidarietà per gli attacchi che sono stati rivolti loro in queste ore. Partiamo da un presupposto: i cosiddetti ‘voltagabbana’ non solo tradiscono il partito che decide di candidarli, ma soprattutto compiono una vera e propria truffa nei confronti degli elettori. È un fenomeno che va contrastato a tutti i costi. Ma bisogna stare attenti.

In che senso?
Il documento che il M5S farà firmare ai propri candidati andrà stilato stando attenti alla forma, altrimenti si rischia un effetto boomerang, com’è successo a me…

Si riferisce al caso di quel consigliere regionale eletto a suo tempo nelle file dell’Idv in Puglia che, subito dopo il voto, lasciò il partito?
A lui e non solo a lui. Sa com’è finita? Che il giudice ha bollato l’atto di impegno firmato dal candidato come “vessatorio”, e quindi sarebbe stata necessaria una seconda sottoscrizione di conferma. Insomma, un cavillo giuridico che ci ha fatto perdere la causa.

A lei, sei anni fa, nessuno disse nulla?
Ci mancherebbe pure, alla fine sono rimasto cornuto e mazziato. Per questo dico a Grillo di stare attento affinché non succeda pure a lui.

Un fatto curioso. Intanto oggi il Pd, per bocca del vicesegretario Lorenzo Guerini, è tornato a chiedere una legge sui partiti. Cosa ne pensa?
Ben venga, ma servirà davvero a qualcosa? Il nocciolo della questione è l’etica. Se un eletto non sposa più la linea del partito per il quale è stato eletto si deve dimettere e, al giro successivo, si ripresenterà con un’altra formazione. Non fa in continuazione il salto della quaglia. In Parlamento c’è gente che ha cambiato sette-otto volte casacca. Ma si può?

Si riferisce a Dorina Bianchi (Ncd), recentemente nominata sottosegretario alla Cultura?
Lei, ma non solo. A Renzi va bene così. Sempre meglio guardare in casa d’altri che all’interno della propria.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 9 febbraio 2016 per ilfattoquotidiano.it)

Banca Etruria, parla Di Pietro: “Conflitto d’interessi di tutto il governo, evidenti responsabilità di Bankitalia e Consob”

sabato, dicembre 19th, 2015

L’ex pm ed ex leader dell’Italia dei valori duro con il premier e i suoi ministri: “Il problema non è solo la Boschi, che rischia di passare per vittima quando invece non lo è”. Ma anche contro i due organismi di controllo. A cominciare da via Nazionale: “È innegabile che ci sia stata un’omissione di atti d’ufficio”. Poi un consiglio ai magistrati: “Devono evitare che le prove vengano inquinate. In casi come questo gli inquirenti trovano quello che vogliono fargli trovare”

di-pietro-675Il conflitto di interessi? “Se c’è riguarda tutti, non solo una singola ministra”. Addirittura “è l’intero governo che va sfiduciato”. Il ruolo di Banca d’Italia e Consob nel crac di Banca Etruria? “Non c’è dubbio che vi sia stata da parte loro un’omissione di atti d’ufficio”. Antonio Di Pietro, ex componente del pool di Mani Pulite ed ex leader dell’Italia dei valori (Idv), due volte ministro, commenta così la vicenda che ha visto migliaia di clienti dell’istituto che annoverava fra i propri vertici anche il padre della ministra per le Riforme, Maria Elena Boschi, perdere milioni di euro di risparmi investiti in obbligazioni subordinate. “Mi auguro che nelle sue indagini la magistratura non abbia tentennamenti di alcun tipo – aggiunge l’ex pubblico ministero contattato da ilfattoquotidiano.it –. Va evitato qualsiasi pericolo di inquinamento delle prove. Io al tempo intervenivo ad horas, bloccando tutto ciò che poteva alterarle. Comprese le persone”. Cioè, anche con gli arresti.

Clienti truffati, vertici della banca coinvolti, omessi controlli da parte di chi doveva vigilare: Di Pietro, ce n’è quanto basta per scrivere l’ennesima brutta pagina di storia italiana.
È così. Questa situazione deriva dal fatto che nel nostro Paese il sistema dei controlli, con particolare riferimento a quelli sulle banche, fa acqua sia sul piano normativo sia effettivo. Tutti i soggetti coinvolti, a cominciare da Banca d’Italia e Consob, hanno fatto scaricabarile. Unito a ciò, mancano delle leggi precise per verificare che chi è addetto al controllo svolga bene il suo dovere. E quali sono le sanzioni in caso di violazioni. Non si può certo dire che situazioni come queste siano nuove agli occhi dell’opinione pubblica. Ma si è sempre rinviato il problema sine die.

A proposito di Bankitalia e Consob: il Fatto Quotidiano ha reso pubblica la lettera con cui due anni fa il governatore Ignazio Visco avvisò i manager di Banca Etruria del “degrado irreversibile” dell’istituto. Missiva rimasta però segreta. Un fatto grave, o no?
Penso che ci sia la necessità di un forte intervento della magistratura per ‘cristallizzare’ le prove documentali che si trovano nei vari uffici. Quante altre lettere come quella resa nota dal Fatto, utili alle indagini, ci sono? I magistrati le hanno in mano? Me lo auguro. In questi casi, a volte, gli inquirenti trovano quello che vogliono fargli trovare. Io al tempo intervenivo ad horas, bloccando tutto ciò che poteva inquinare le prove. Comprese le persone. Ricordo ancora le critiche…

Secondo lei, oltre a questi due organismi, chi altri ha responsabilità sulla vicenda?
Ci sono vari soggetti coinvolti e numerosi livelli di responsabilità. È però indubbia quella politica dell’intero governo.

Sta dicendo che le possibili dimissioni della ministra Maria Elena Boschi, o una sua eventuale sfiducia in Parlamento, non risolverebbero il problema?
Certe decisioni sono state assunte dall’esecutivo nella sua interezza: è l’intero organo collegiale che casomai va sfiduciato. Se c’è, il conflitto di interessi riguarda tutti, non solo una singola ministra. La quale rischia di passare per vittima quando invece non lo è. Personalmente, trovo positivo il fatto che si parli di una mozione di sfiducia: così si discute pubblicamente di un problema sperando che si arrivi all’approvazione di un provvedimento che eviti altri casi simili.

Su Banca Etruria sono già stati avviati tre filoni d’inchiesta. Compresa un’indagine sul conflitto di interessi originato dalla relazione della Banca d’Italia sul commissariamento dell’istituto nel febbraio 2015. Come valuta l’operato della magistratura?
In questo momento, la magistratura fa bene a indagare senza mettere le mani avanti incriminando una persona invece di un’altra, con il rischio, come ho già detto in precedenza, di far passare per vittima chi invece non lo è. Mi auguro che sul piano penale vengano differenziati i comportamenti. Ma non ci devono essere tentennamenti di alcun tipo.

Ma se fosse lei il pubblico ministero a capo dell’inchiesta agirebbe, o si sarebbe già mosso, diversamente?
Avrei già proceduto fermando lo status quo.

In che senso?
Come ho già detto in precedenza, sarei andato a prendere le carte in modo da far rimanere illibate le prove, evitando così qualsiasi possibilità di un loro inquinamento. L’unico pericolo reale, al momento, è proprio questo. E non si può limitare con provvedimenti cautelari personali ma reali.

Sempre il Fatto ha reso noto come il procuratore capo di Arezzo, Roberto Rossi, che sta indagando proprio su Banca Etruria, sia contemporaneamente consulente di Palazzo Chigi, nominato a febbraio 2015 dal governo Renzi. Siamo alle solite: chi controlla il controllore?
Credo che sia lo stesso Rossi ad aver capito di avere contemporaneamente il piede in due scarpe. Bene farebbe a lasciare l’incarico ad un altro collega. Succederà? Non lo so. Certamente, a questo punto, la palla passa nelle mani del procuratore generale: è lui che dovrà valutare il da farsi.

Nel frattempo, proprio su Rossi, il Consiglio superiore della magistratura (Csm) ha aperto un fascicolo accogliendo la richiesta presentata dal membro laico Pierantonio Zanettin (Forza Italia). Si prefigura un’ipotesi di conflitto di interessi?
Sul piano tecnico, nel caso specifico, non ci sono profili di questo tipo: infatti Palazzo Chigi non risulta fra i soggetti oggetto di indagine. C’è però un problema di opportunità. Trovo sia interesse di entrambe le parti quello di far svolgere le indagini a persone che non hanno rapporti di alcun tipo. Serve una maggiore tranquillità per arrivare ad una decisione indipendente e inattaccabile.

A suo avviso bisognerebbe indagare anche i vertici di Bankitalia e Consob? Hanno chiare responsabilità su quanto è accaduto?
Non so quali specifici soggetti abbiano delle effettive responsabilità, ma non c’è dubbio che vi sia stata un’omissione di atti d’ufficio. Bankitalia è arrivata fino al punto di accertare il fatto, poi non ha agito sostenendo di non avere potere normativi sufficienti. Non credo che sia così: non ho mai visto un medico diagnosticare una grave malattia e poi lasciare morire il paziente.

Torniamo alla Boschi. Renzi la difende a spada tratta: sembra di rivedere i berlusconiani che negavano qualsiasi tipo di conflitto d’interessi per l’uomo di Arcore…
In verità il presidente del Consiglio difende se stesso. Il problema qui è un altro.

E qual è?
Quando al governo c’era Berlusconi io e altri, a cominciare dalla società civile e dal sistema dell’informazione, denunciavamo quanto accadeva. Perché era nostro dovere farlo. Oggi invece, con Renzi a Palazzo Chigi, tutti si sono girati dall’altra parte. Ciò mi lascia molto amareggiato.

Insomma, ha ragione Roberto Saviano a denunciare l’uso di due pesi e due misure?
È così. Il problema non è la società civile ma come essa viene aiutata a capire come stanno realmente le cose. Tutti i giorni, a sistema informativo riunito, veniamo ‘colpiti’ dagli slogan di Renzi che assomigliano a quelli di un venditore ambulante. Senza alcun contraddittorio. Di più: quando qualcuno lo contesta, come successo al Fatto, diventa un ‘criminale’.

Oggi è come ai tempi di Tangentopoli?
È peggio di prima perché ciò che un tempo poteva essere perseguito sul piano tecnico-giudiziario ora non lo è: si è ingegnerizzato il sistema della tangente. In certi casi è diventato legale ciò che una volta non lo era. Infine, è intervenuto uno scoramento dell’opinione pubblica a cui si è fatto credere che spesso le colpe sono di chi ha scoperto il reato, non di chi lo ha commesso.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 18 dicembre 2015 per ilfattoquotidiano.it)

Parlamento, promossi e bocciati

martedì, febbraio 26th, 2013

camera-dei-deputatiL’abbiamo chiamata, e tutt’ora lo facciamo, «casta». Immaginiamo politici fannulloni, sperperatori di denaro, completamente avulsi dalla vita “reale”. Però a questo punto è lecito fare una domanda: i nostri parlamentari – e di conseguenza i partiti a cui appartengono – sono davvero tutti uguali?

A questa e ad altre domande ha provato a rispondere il “Rapporto sull’attività del Parlamento nella XVI Legislatura” redatto da Openpolis, l’osservatorio nato nel 2008 che si occupa di trasparenza e accesso ai dati pubblici e che negli ultimi cinque anni ha messo sotto la lente d’ingrandimento l’attività del 945 parlamentari della Repubblica.

Nelle prime pagine del rapporto Openpolis spiega la metodologia seguita per l’analisi. «L’indice di produttività parlamentare propone la valutazione del lavoro di deputati e senatori in base a criteri di efficacia che aiutino a distinguere la gran massa di attività che non produce effetti – per esempio su circa 9.600 Ddl presentati appena 500 sono stati esaminati – da quella, poca, che invece da risultati», scrive l’associazione. «Non si entra mai nel merito di quanto un atto dispone, se sia buono o cattivo, ma ci si limita ad attribuire un punteggio ad ogni passaggio di iter. L’indice è uno strumento che ha il vantaggio della sintesi – è scritto ancora – ma che tuttavia non deve essere preso come uno strumento per la misurazione esatta. Serve per analizzare e valutare la complessa realtà parlamentare, non certo per formulare giudizi». Tre sono i criteri di produttività: l’iter dell’atto parlamentare, il consenso (ovvero la quantità e la tipologia di gradimento che il Primo firmatario di un atto riesce ad ottenere presso i suoi colleghi) e la partecipazione ai lavori (cioè il contributo del parlamentare ai lavori della Camera di appartenenza).

Il primo dato che salta all’occhio sfogliando le pagine del rapporto è quello che riguarda gli atti approvati e conclusi nel corso della XVI legislatura. Openpolis nota come il decreto legge (che, lo ricordiamo, è un provvedimento che il governo dovrebbe utilizzare in casi di estrema necessità e urgenza) sia oggi «una modalità di legiferazione quasi ordinaria». Basta leggere i numeri: dei 115 decreti presentati nei 5 anni di Legislatura – molti dei quali nell’anno del governo Monti – 97 sono stati convertiti (84,35%), mentre dei 9.572 disegni di legge solo 387 sono stati approvati (“appena” il 4,4%). Anche le risposte alle interrogazioni parlamentari, ovvero lo strumento di cui i partiti dispongono per chiedere al governo delucidazioni su una determinata questione, sono poche rispetto alle domande: 42.903 quella presentate, 16.694 quelle concluse (il 38,91%). Ne emerge che il Parlamento è sempre più “espropriato” del suo ruolo rispetto all’esecutivo.

Connessa alla questione del decreto legge c’è il ricorso alla fiducia. In questo caso, diceOpenpolis, «la tendenza già evidentemente troppo elevata nella fase del governo Berlusconi – con 16 leggi su 100 approvate con la fiducia – diventa del tutto patologica durante il governo Monti con un rapporto di quasi una legge su due per la quale si è fatto ricorso alla fiducia». Fra i provvedimenti votati in questi anni 3 voti di fiducia sono stati necessari per l’approvazione della Legge di sviluppo 2008, per il decreto Milleproroghe 2012 e per quello sulle semplificazioni fiscali; 4 per il Decreto sviluppo e la Riforma fiscale; 5 per la legge Anti-corruzione e per quella di Stabilità 2013 e addirittura 8 per la Riforma del mercato del lavoro.

Ci sono poi provvedimenti che l’associazione ha diviso in due categorie: leggi lepre e lumaca, ovvero quelle che da una parte sono state approvate in maniera rapida – se messe a confronto con le lungaggini parlamentari – e altre che al contrario sono rimaste in ballo per anni. «Il ritardo con cui il Parlamento e il governo rispondono alle esigenze reali del Paese», scrive Openpolis, «non è da imputarsi a “tecnicismi istituzionali” quanto piuttosto alla mancanza di volontà politica». Fra le “leggi lepre” ci sono, per esempio, il Lodo Alfano (124/2008, poi dichiarata incostituzionale dalla Consulta per la violazione degli articoli 3 e 138 della Carta), approvato in “appena” 20 giorni. Oppure la legge di Stabilità 2012 e quella di Bilancio 2012, 25 giorni. E la spending review del ministro Giarda, 32 giorni. Mentre fra quelle “lumaca” troviamo la legge per il contrasto ad usura ed estorsione, 1.357 giorni, quella per l’equo compenso dei giornalisti, 901, e quella per le quote rosa nelle società quotate in borsa, 782.

Veniamo ora ai parlamentari. Quali sono stati, nei cinque anni a Montecitorio e Palazzo Madama, quelli più presenti e quelli – al contrario – maggiormente assenti? Partiamo dalla Camera, dove Remigio Ceroni (Pdl) risulta essere il deputato con la più alta percentuale di presenze in aula (99,88%), seguito da Giorgio Lainati e Simone Baldelli (entrambi del Pdl) con il 99,84 e il 99,78% delle presenze. Nella “top three” dei deputati maggiormente assenti ci sono invece Antonio Gaglione (Misto, 91,70%), Niccolò Ghedini (Pdl, 81,20%) e Denis Verdini (Pdl, 75,90%). Al quinto posto spunta anche Pier Luigi Bersani, segretario del Pd e candidato premier del centrosinistra, con il 72,30% di assenze. A Palazzo Madama, invece, i tre senatori più presenti sono Cristiano De Eccher (Pdl, 99,90%), Achille Totaro (Fdi, 99,80%) e Mario Pittoni (Lega Nord, 99,70%). Fra quelli maggiormente assenti, nelle prime tre posizioni ci sono Giovanni Pistorio (Misto, 65,30%), Domenico Nania (Pdl, 64,50%) e Emma Bonino (Radicali, 60,80%).

Un conto sono le presenze, un altro la produttività (come spiegato in precedenza). Anche in questo caso, Openpolis ha stilato una classifica di deputati, senatori e gruppi parlamentari che hanno lavorato di più rispetto agli altri. Alla Camera i tre parlamentari più produttivi sono risultati essere Donato Bruno del Pdl (indice di produttività pari a 1248,4), Franco Narducci del Pd (1138,5) e Antonio Borghesi dell’Idv (1113,4). Nelle prime tre posizioni al Senato ci sono invece Carlo Vizzini dell’Udc-Svp (1574,8), Lucio Malan del Pdl (1398,9) e Gianpiero D’Alia (Udc-Svp, 1314). Chi sono, invece, i più “fannulloni”? Alla Camera i primi tre della lista sono Niccolò Ghedini (Pdl, 14,4), Denis Verdini (Pdl, 23,2) e Antonio Angelucci (Pdl, 26,2). Al Senato spiccano Vladimiro Crisafulli (Pd, 22,2), Raffaele Stancanelli (Pdl, 22,7) e Sergio Zavoli (Pd, 33,2). Il primo posto fra i gruppi parlamentari più produttivi è occupato dall’Italia dei valori di Antonio Di Pietro con un indice di produttività pari a 418,3 alla Camera e 445 al Senato. Solo quinti e sesti Pd (222,9) e Pdl (197) alla Camera, con il partito di Berlusconi che al Senato scivola all’ottavo posto.

Un altro capitolo del rapporto è dedicato a deputati e senatori che vanno e vengono. Quello del cambio di casacca, scrive Openpolis, è stato «uno dei fenomeni caratterizzanti la XVI Legislatura». L’Udc di Casini risulta essere l’unico partito di quelli che ha intrapreso fin dal principio la Legislatura ad avere un “saldo” positivo: +2 deputati alla Camera e +8 al Senato conquistati in questi anni. Una vera emorragia è quella che ha invece colpito il Pdl, che ha perso 70 deputati e 27 senatori, mentre il Pd ha visto passare ad altri partiti 13 deputati (come pure l’Idv) e 14 senatori.

C’è, infine, un particolare che riguarda il governo Monti. Sapete qual è il gruppo parlamentareche – sia alla Camera che al Senato – ha sostenuto maggiormente l’esecutivo del Professore? Chi ha risposto Udc e Fli ha sbagliato. È infatti il Pd la formazione più ”fedele”. Alla Camera, dei 99 voti finali, i democratici hanno votato favorevolmente nell’83% dei casi (+6% rispetto all’Udc e +23% rispetto a Fli), mentre a Palazzo Madama, in 83 voti finali, la percentuale raggiunge l’85% (+10% rispetto ad Api-Fli e +15% rispetto all’Udc). Scenario che si riflette anche su deputati e senatori che hanno sostenuto maggiormente il governo tecnico. Nelle prime 22 posizioni a Montecitorio ben 20 sono del Pd. Idem al Senato. Che sia il preludio ad un accordo, già sottoscritto, fra Bersani e Monti dopo le elezioni? Lo sapremo fra poche settimane.

Twitter: @GiorgioVelardi

«Le primarie non siano la resa dei conti nel Pd. L’Idv? Più vicino al centrosinistra dell’Udc» – da “Il Punto” del 28/09/2012

giovedì, ottobre 4th, 2012

Pina Picierno ha 31 anni, eppure non è fra i «rottamatori» del Pd. Sostiene Bersani, ma definisce Renzi «una delle nostre risorse migliori». Auspica «un riavvicinamento fra Pd e Idv». Poi chiosa: «Spero si faccia una buona legge elettorale, ma senza le preferenze: in alcune zone sono sinonimo di cattiva politica e malaffare».

Le primarie sembrano una cosa “da uomini”. Possibile che, a parte Laura Puppato, non ci siano altre donne a rappresentare il Pd?

«Nel Pd ci sono donne brave e competenti. Persone che possono rappresentare il futuro – penso a Debora Serracchiani e a Laura Puppato – e che sono già colonne portanti della nostra classe dirigente. Il senso delle primarie non va stravolto: dalla contesa uscirà il possibile successore di Monti, non vorrei si trasformassero in una resa dei conti fra i movimenti interni al partito».

Lei dice di sostenere Bersani, però su Matteo Renzi ha avvisato: «Basta attaccarlo, fargli la guerra è tafazzismo». Quindi?

«Renzi è fra i più bravi nell’intercettare gli umori degli italiani, quindi snobbarlo è un errore. Io sono “bersaniana” perché – come dice il segretario – lavoro per la ditta. Le risorse vanno valorizzate, per questo non mi piace il comportamento di alcuni dirigenti che non capiscono che la classe politica – e più in generale quella dirigente dell’Italia – ha bisogno di rinnovamento. Da Renzi prendo le distanze rispetto alle sue idee in ambito economico, soprattutto quando dice di stare con Marchionne. Deve lavorare di più sui contenuti e meno sugli slogan».

Eppure qualcuno già parla di un accordo fra lui e Bersani dopo la vittoria di quest’ultimo alle primarie…

«A giudicare dallo spessore del confronto non credo ci sia nulla di precostituito. Dobbiamo capire bene se queste saranno primarie di partito o di coalizione. Se fossero interne al Pd, allora sarebbe meglio prendere una decisione attraverso il congresso».

Capitolo alleanze: come giudica una possibile partnership con l’Udc?

«Credo che l’alleanza fra l’Udc e il Pd convenga più a loro che a noi. In molte regioni, compresa la “mia” Campania, i centristi sono alleati con il Pdl. E Casini è lo stesso che ha governato con Berlusconi fino al 2006. Non si può essere uomini per tutte le stagioni, c’è bisogno di chiarezza».

Vendola probabilmente sarà della partita, Di Pietro (per ora) no. Con l’Idv non c’è margine di trattativa?   

«Di Pietro è dentro il centrosinistra molto più dell’Udc. Spero in un riavvicinamento fra noi e l’Idv: non ci guadagnerebbe solo il partito, ma gli italiani».

Twitter: @GiorgioVelardi