Image 01

Posts Tagged ‘Franco Marini’

Le cause della caduta di Bersani

sabato, aprile 20th, 2013

bersani«È troppo per me». Quattro parole che pesano come un macigno. Pierluigi Bersani le pronuncia al termine dell’ennesimo tonfo, Prodi bocciato dopo Marini, che testimoniano la fine di un Pd passato dall’essere acronimo di “Partito democratico” a “Psicodramma democratico”.

Il segretario (dimissionario) dei democratici si ritrova isolato, con pochi fedelissimi rimasti a consolarlo. Serve a poco. Bersani non ha più un partito che lo sostenga, correnti le cui onde si muovono in ordine sparso, pugnalato persino da quelli che gli avevano giurato amore eterno e che sarebbero stati al suo fianco comunque sarebbe andata. La quadra perfetta la trova Fausto Raciti, classe ’84, appartenente alla pattuglia dei “giovani turchi” e alla prima esperienza parlamentare, che in un’intervista a La Stampa sintetizza così quanto accaduto fra giovedì e venerdì: «Siamo il peggior gruppo parlamentare della storia, un covo di irresponsabili. E – chiosa tranchant – non è colpa dei giovani».

E allora, viene da chiedersi, chi ha condotto il Pd a cadere sul ciglio del burrone nel quale è caduto? Bersani non ha fatto tutto da solo, certo, ma il segretario ha sulle proprie spalle le colpe peggiori. Sono almeno 4 i motivi che hanno portato il Pd – uscito «non vincente» dalle elezioni, poi in balia del Movimento 5 Stelle e infine auto-impallinatosi nel corso dell’elezione del nuovo capo dello Stato – a vivere una situazione ai limiti dell’irrealtà:

1- L’aver sopravvalutato la forza di Scelta Civica. C’è chi pensa, pensiero condivisibile, che Bersani la partita l’abbia persa ancor prima che si giocasse. In fase di riscaldamento, ovvero le primarie. Vinta la corsa alla premiership con Matteo Renzi, forte di un Pd spostato a sinistra – prova ne è, o ne era, l’asse fra Bersani e Nichi Vendola – il partito ha cercato a tutti i costi il dialogo con i “montiani”. Scelta che si è rivelata suicida, un po’ perché il governo tecnico guidato dall’ex Commissario europeo era (ed è) visto col fumo agli occhi dagli italiani – complice la «paccata» di tasse imposte nell’ultimo anno e mezzo – e un po’ perché “sposarsi” con Monti e co. avrebbe voluto dire rinunciare ad una parte di quelle tematiche da sempre care all’elettorato di sinistra (diritti civili in primis, ma anche la politica economica ne avrebbe pesantemente risentito). Poi è accaduto quello che non ti aspetti e cioè che Scelta Civica alle elezioni racimoli solo l’8,30% alla Camera e il 9,13% al Senato, contro l’oltre 15% in entrambe le Camere pronosticato dai più illustri sondaggisti. A Palazzo Madama, dove il centrosinistra è in minoranza, i 20 senatori “montiani” si rivelano ininfluenti. Il delitto perfetto non c’è stato, si sono lasciate tracce sul terreno che risulteranno fatali, come si è visto, al segretario del Pd;

2- L’aver sottovalutato il Movimento 5 Stelle. Prima era un «fascista», poi – dopo l’ecatombe alle elezioni – Beppe Grillo è diventato, nei desiderata del segretario, il primo interlocutore per il Pd. «Il Movimento 5 Stelle ci dica cosa vuole fare», affermava Bersani pochi giorni dopo le votazioni. Eppure i “grillini” erano stati chiari fin da subito: nessun accordo con nessuno, tantomeno con B&B. Detto, fatto. L’incontro in diretta streaming fra i due capigruppo del M5S, Vito Crimi e Roberta Lombardi – la quale, ad un certo punto, se n’è uscita dicendo: «Mi sembra di essere a Ballarò» – è passato alla storia come un’umiliazione bella e buona per “Pier”. Tanto che Renzi, ormai destinato ad essere il futuro del Pd, lo ha detto chiaro e tondo in un’intervista al Corriere della Sera trovando più consensi che dissensi dalle parti di Largo del Nazareno. Ciliegina sulla torta è stata la scelta del nuovo capo dello Stato. Grillo propone l’ex garante della privacy Stefano Rodotà, l’elettorato del Pd gradisce e con lui anche una parte dei parlamentari piddini. Bersani, invece, vede Berlusconi e sceglie Marini, poi ne esce con le ossa rotte e vira su Prodi. Sappiamo com’è andata. Errare è umano, perseverare è diabolico;

3- L’aver sottovalutato Berlusconi. Si badi bene: non il Pdl, ma Berlusconi. Bersani doveva «smacchiare il giaguaro» e alla fine, scherzo del destino, il giaguaro lo ha divorato. Un Popolo della Libertà senza il Cavaliere sarebbe stato destinato all’irrilevanza. Ma Berlusconi è Berlusconi e poco ci puoi fare. Soprattutto se rinunci a fare la campagna elettorale, com’è accaduto a Bersani, e se quelle poche volte in cui ti presenti di fronte al pubblico (televisivo) ti limiti a dire che per far ripartire un’Italia dal motore ingolfato serve «un po’ di lavoro». Mentre il segretario Pd cercava, come detto, l’appoggio dei 5 Stelle, l’ex premier spingeva per un “governissimo” che gli avrebbe permesso comunque di governare (pur con tutti i limiti del caso) e radunava le truppe. A Bari, sette giorni fa, la presenza dei militanti era importante. E i sondaggi – da prendere con le molle dopo quanto accaduto a fine febbraio – danno la coalizione di centrodestra in vantaggio (in certi casi) addirittura del 4% sul centrosinistra. Se Renzi non scende in campo la probabilità è quella che Berlusconi, più che il nonno, faccia nuovamente il premier;

4- Non aver ascoltato gli elettori. È la colpa più grave imputabile a Bersani. Già dalle primarie si era capito che il segretario avrebbe violato il patto con la sua gente, quella che lo aveva votato per due volte alle primarie perché Renzi era «democristiano» e – colpa più grave – «berlusconiano». Recarsi “col cappello in mano” da Monti non è piaciuto all’elettorato del Partito democratico, andato ad ingolfare le fila del Movimento 5 Stelle condannandolo al pubblico ludibrio. Il resto è storia. Le contestazioni dinanzi al Teatro Capranica, a Roma, la sera in cui l’assemblea del Pd decideva per la candidatura di Franco Marini al Colle sono la punta dell’iceberg contro cui un partito che sembrava inaffondabile si è invece scontrato andando giù come una bagnarola.

Twitter: @GiorgioVelardi