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Onorevole sanità – da “Il Punto” del 4/05/2012

lunedì, maggio 14th, 2012

I nostri parlamentari (più i loro familiari e i giudici della Corte Costituzionale) non saranno toccati dal taglio di 17 miliardi di euro che nel 2015 colpirà il Servizio sanitario nazionale. Motivo? La loro salute è gestita da un Fondo di solidarietà a cui sono iscritte, secondo i dati del 2010, oltre 5.000 persone. Il costo? Più di 10 milioni di euro  

Un «refuso». Così il ministro del Welfare Elsa Fornero ha definito quello che sembrava essere l’ennesimo schiaffo – o «paccata», nel senso più spregiativo del termine – per gli italiani: l’estensione del ticket per gli esami specialistici ai disoccupati. «Un provvedimento che comporterebbe un aggravio per il bilancio familiare fino a centinaia di euro mensili», ha dichiarato immediatamente Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio nazionale per la salute nelle Regioni italiane. Fornero ha fatto dietrofront, facendo sapere che il ticket resterà gratis, e che il «refuso» sarà cancellato con un emendamento al ddl lavoro. Potremmo discutere sulla professionalità dei tecnici, ma andiamo oltre. Perché una delle espressioni d’ordinanza del governo Monti è spending review. In italiano «revisione della spesa». Cosa verrà tagliato in concreto non è ancora dato sapere, anche se il ministro Passera ha sentenziato che «lo spazio per ridurre costi inutili c’è». E fra questi, perché no, ci sono anche le spese sanitarie per i nostri parlamentari. I quali non hanno nulla a che fare con il Servizio sanitario nazionale (che rischia di veder ridotte le proprie risorse di 17 miliardi di euro nel 2015), visto che provvedono alla loro salute attraverso un’assistenza integrativa (Asi) gestita da un Fondo di solidarietà alimentato con detrazioni mensili dalla busta paga ed estensibile anche ai familiari. Che, nel solo 2010, è costato quasi 10 milioni e 200mila euro. Ma se il fondo è autofinanziato qual è il problema? Che la quota versata ogni trenta giorni è “scalata” dallo stipendio, pagato con i soldi degli italiani.

L’ESERCITO DEI 5.000 – I dati a disposizione, che fanno riferimento all’anno 2010 – quando i deputati radicali, incontrando non poche resistenze e arrivando a minacciare lo sciopero della fame, chiesero spiegazioni a riguardo e poi pubblicarono i risultati su Internet –, parlano di oltre 5mila persone iscritte: 630 deputati in carica e 1.109 loro familiari; 1.329 titolari di assegno vitalizio e 1.388 loro familiari; 484 titolari di assegno vitalizio di reversibilità e 25 loro familiari; 2 giudici emeriti della Corte Costituzionale e 2 familiari dei giudici della Consulta titolari di reversibilità. Ogni mese i deputati versano 526,66 euro a testa, che vanno ad alimentare il Fondo di solidarietà, approvato dall’Ufficio di Presidenza della Camera il 12 aprile 1994 (come si legge nella prima pagina del regolamento) e amministrato dal Collegio dei Deputati Questori. Prova provata di quanto detto finora, all’articolo 13 del documento è specificato che «il Fondo di solidarietà assume i compiti relativi all’assistenza sanitaria integrativa ai deputati e ai loro familiari». Nel “Regolamento di assistenza sanitaria integrativa dei deputati” sono invece reperibili le altre informazioni utili a capire il funzionamento della “macchina”. I deputati in carica sono iscritti d’ufficio al sistema di assistenza sanitaria integrativa – uno di loro ci dice che ne avrebbe «fatto a meno», ma che è «obbligatorio» –, mentre possono essere inclusi anche i deputati cessati dal mandato titolari o in attesa di assegno vitalizio, i familiari beneficiari e non di una quota dell’assegno vitalizio, e infine giudici, giudici emeriti e familiari dei giudici della Corte Costituzionale (in quest’ultimo caso beneficiari del trattamento di reversibilità). All’articolo 2 (Altri soggetti iscritti) è scritto che i deputati e i giudici possono estendere l’iscrizione al sistema di assistenza sanitaria a coniugi, figli e soggetti ad essi equiparati (non coniugati e fino al 26esimo anno di età), figli inabili su lavoro in modo permanente ed assoluto, coniugi separati o divorziati che percepiscono però un assegno di mantenimento e conviventi more-uxorio (riconosciute dunque le famiglie di fatto, ma per ora solo se i conviventi non sono dello stesso sesso, come dimostra la vicenda dell’Onorevole Anna Paola Concia, che ha avviato un contenzioso per estenderla alla sua compagna). I costi sono irrisori, visto che alcuni dei parlamentari che hanno deciso di estendere l’Asi ci hanno parlato di cifre che oscillano fra i 50/70 euro in più a persona. Tante uscite ma poche entrate, dunque. E ci si meraviglia se poi i conti sono in rosso.

PRESTAZIONI E COSTI – Ma quali sono le prestazioni che vengono erogate dall’Asi? Si va dagli accertamenti diagnostici alle terapie psichiatriche, psicoterapeutiche e psicologiche, passando attraverso il parto, l’assistenza infermieristica per intervento chirurgico, la fisioterapia e le cure termali. Perché del resto, come disse tempo fa il “prode” Onorevole Domenico “Mimmo” Scilipoti, «i trattamenti termali hanno benefici sull’apparato respiratorio, sulla circolazione sanguigna e sulle malattie dermatologiche. In più incrementano il turismo e i posti di lavoro». E quanto costa, tutto ciò, alle nostre tasche? Nel 2010 la cifra ha toccato quota 10 milioni e 117mila euro (nel 2008 furono quasi 13 milioni, nel 2009 circa 11). Parliamo, a conti fatti, di 28mila euro al giorno, 810mila euro al mese. Si passa dal rimborso di 2 milioni e 743mila euro dei deputati in carica ai 5 milioni e 347mila di quelli titolari di assegno vitalizio. Mentre per i giudici della Corte Costituzionale si scende ad appena – verrebbe da dire – 8mila euro. Quali sono i settori di spesa più gettonati? Al primo posto ci sono ricoveri ed interventi (3.173.526 euro), a cui fanno immediatamente seguito le cure odontoiatriche (3.092.755, il 30 per cento dell’intero budget). Molto più staccate le altre voci, anche se saltano all’occhio i 974mila euro circa per le cure fisioterapiche, i 257mila per la psicoterapia, i 204.171 per le cure termali e, addirittura, i 488.164 euro per gli occhiali. Infine ci sono i 37.412 euro per le protesi ortopediche, i 28.138 euro per le vene varicose («sclerosante») e i 153.190 per i ticket sanitari. Perché, se malauguratamente un deputato dovesse trovarsi in un qualsiasi ospedale di periferia e fosse costretto a pagare di tasca propria, può chiedere un successivo rimborso alla Camera. Ovviamente, per alcune voci di spesa, ci sono dei massimali. Ad esempio per le cure odontoiatriche il plafond è di 23.240,56 euro a famiglia per 5 anni. «Ci si possono impiantare i denti d’oro», dice un altro dei deputati beneficiari del trattamento. Per le cure termali l’importo limite annuo è di 1.240 euro, mentre le visite generiche e quelle omeopatiche vengono gestite singolarmente (non più di 150 euro cadauna la prima, massimo 55 euro la seconda). Dulcis in fundo, ecco i plafond annui di 3.100 euro per la psicoterapia e di 3.500 euro per le protesi acustiche bilaterali. E la chirurgia estetica? Nel “Tariffario per l’assistenza sanitaria integrativa dei deputati” c’è anche quella (pag. 8), ma sono rimborsate al 90 per cento solo medicazioni di ustioni Nas, chemiochirurgia della cute e infiltrazione di cheloide. Protesi al seno e nasini alla francese non sono (per ora) contemplati.

PAGA “PANTALONE” – Avete presente quanto accaduto negli ultimi mesi alla sanità pubblica? Pazienti “parcheggiati” e addirittura legati alle barelle, ambulanze che non ci sono – e allora ci si affida a quelle private, con i tragicomici risultati che vi abbiamo raccontato nel numero 10 de Il Punto –, medici ed infermieri costretti a doppi e tripli turni perché si è in carenza di personale. Ebbene, a margine di tutto ciò, nella Capitale la Asl Roma A (quella a cui appartengono anche il Policlinico Umberto I e il Fatebenefratelli) ha stipulato una convenzione con la Camera dei deputati in data 27 aprile 2009. La quale mette a disposizione «medici dirigenti dipendenti operanti presso i propri Servizi di Anestesia e Rianimazione, nonché infermieri professionali dipendenti operanti nell’Area dell’emergenza, e cinque unità di personale infermieristico che svolgono l’orario di servizio di 36 ore settimanali interamente presso i presidi di palazzo Montecitorio e palazzo Marini». La convenzione, al via qualche mese più tardi (1° novembre), è stata rinnovata pochi giorni fa. Nel 2009 il costo era di 220mila euro, lievitato addirittura a 960mila nel 2010. «La Asl Roma A assicura – senza ulteriore onere per la Camera – la sostituzione temporanea con altro personale degli infermieri, qualora si verificasse l’impossibilità, per assenza di alcuni di essi comunque motivata, di assicurare la copertura dei turni di servizio presso i presidi», si prosegue. Oltre le 36 ore settimanali lo “straordinario” è a carico della Camera. Pure. Poi ci sono altre convenzioni, che messe insieme superano i 500mila euro. La prima, di 31mila euro, è con Ambulanze Città di Roma Srl («Servizio di Ambulanza»); la seconda, di 435mila euro, con il Policlinico Gemelli per «Assistenza medica d’urgenza»; infine ce ne sono altre tre con studi privati, il cui valore va oltre i 130mila euro. Tanto per non farsi mancare nulla. Insomma alla fine, in un modo o nell’altro, paga Pantalone. Con buona pace della nostra anima.

Twitter: @GiorgioVelardi