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Da vajassa a orango: il lungo bestiario dei politici

venerdì, luglio 14th, 2017

00d7d4b8b5c7a4bc5c5766875453ca78-460x270Ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori. Spesso indignandoci per la trivialità degli insulti che i politici di casa nostra si scambiano in ogni modo possibile, in ultimo tramite i social network la cui “esplosione” li ha portati ad essere l’oggetto privilegiato e più immediato per farlo. Così il post su Facebook col quale Massimo Corsaro ha insultato Emanuele Fiano del Pd non è che l’ultimo di una lunga serie. Vi ricorderete infatti, tanto per rimanere in questa legislatura, di quanto esclamato da Roberto Calderoli (Lega) a proposito di Cécile Kyenge (Pd). In sostanza a luglio 2013, durante un comizio a Treviglio, il vicepresidente del Senato arrivò a paragonare l’ex ministro dell’Integrazione del Governo Letta nientemeno che a un orango. Istigazione al razzismo? Macché: a febbraio 2015 la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di Palazzo Madama ha assolto Calderoli, col paradosso che a difenderlo sono stati pure alcuni senatori del Pd. A proposito di Lega. Sono indubbiamente passati alla storia gli scambi dialettici – tanto per usare un eufemismo – fra Umberto Bossi e Silvio Berlusconi dopo la caduta del primo Governo del Cav. (1994).

Botte da orbi – Se avete rimosso, proviamo a rinfrescarvi la memoria. Nell’ordine, il Senatùr definì il leader di Forza Italia “un ubriaco da bar”, “il grande fascista”, “nazista, nazistoide, paranazistoide”, “un povero pirla” ma, soprattutto, “il mafioso di Arcore”. Dal canto suo, Berlusconi non le mandò certo a dire. Bossi? È un “pataccaro”, un “cadavere politico”, un “ladro di voti”, “un uomo dalla mentalità dissociata”, insomma uno “sfasciacarrozze” col quale “non mi siederò mai più allo stesso tavolo”. Poi come sappiamo è andata diversamente, ma la storia è questa. Altro duello al fulmicotone è quello che a novembre 2010, col Centrodestra al Governo, andò in scena fra Mara Carfagna e Alessandra Mussolini. Quest’ultima, rea di aver rimbrottato l’allora ministra delle Pari opportunità per un colloquio alla Camera fra lei e Italo Bocchino, passato col partito di Gianfranco Fini dopo la scissione interna al Pdl, si sentì dare della “vajassa”. Termine che nel gergo campano è sinonimo di donna di bassa condizione civile, sguaiata e volgare.

Si salvi chi può – “Quello è stato un atto di cattivissimo gusto che non merita commenti ma che si addice alla persona che l’ha commesso”, tuonò la Carfagna al Mattino: “A Napoli le chiamano vajasse. La Mussolini è colei che in campagna elettorale disegnava le corna sui miei manifesti, che ha portato i cannoli alla conferenza stampa con Alfano. In un partito serio una signora del genere sarebbe stata messa a tacere, invece mai nessuno ha avuto il coraggio di bloccarla”. Apriti cielo. Più o meno come quando nel 2011 il leader de La Destra Francesco Storace diede a Fini del “maiale”. Non meno sguaiate sono state certe espressioni usate dal fondatore del M5S, Beppe Grillo, nei confronti degli avversari politici. Bersani? “Gargamella”. Lupi? “La figlia di Fantozzi”. Berlusconi? “Psiconano”. Napolitano? “Salma”. Formigoni? “Forminchioni”. Prodi? “Alzheimer”. E via dicendo. Se questo è l’andazzo, non resta che dire: si salvi chi può.

Twitter: @GiorgioVelardi

Articolo scritto il 13 luglio 2017 per La Notizia