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La sconfitta di Renzi che non è una sconfitta

lunedì, dicembre 5th, 2016

Matteo_RenziC’è un paradosso nella sconfitta di Renzi. E cioè che quella del premier uscente non è una sconfitta. Non in toto, almeno. «Ma che stai a dì?», domanderà qualcuno. Mi spiego. Da questa consultazione l’ex sindaco di Firenze si porta dietro un bagaglio di 10-12 milioni di voti sui 13.430.000 totali che hanno optato per il Sì. Tolti un milione-un milione e 200 mila voti di alfaniani e centristi, più un altro milione che – mettiamo – ha votato a favore del ddl Boschi perché seguace del “cambiamento”, a conti fatti questo è.

Dall’altra parte ci sono 19 milioni 400 mila voti, che raccolgono al loro interno 5 Stelle, Lega Nord, Forza Italia, partigiani più varie ed eventuali. Quindi: in un ipotetico scenario elettorale di tutti-contro-tutti cosa potrebbe succedere? Renzi partirebbe comunque da lì, da quei 10-12 milioni di voti più o meno certi. Per gli altri è tutto da vedere. Ecco perché ho l’impressione che, al contrario di quello che molti pensano di primo acchito, “Matteo” non uscirà di scena così presto. Adda passà ‘a nuttata. E sarà lunga. Parecchio lunga.

«L’Italia rischia di uscire dall’Europa. Bocciare i referendum? Scelta politica» – da “Il Punto” del 7/9/2012

mercoledì, settembre 12th, 2012

È netto Mario Segni, storico “leader referendario” degli Anni ’90, quando parla di ciò che sta accadendo al sistema politico italiano. Dice che sulla bocciatura del referendum (che avrebbe dovuto cancellare il “Porcellum”) da parte della Consulta «la classe politica ha una terribile responsabilità: quella di avere provocato e dettato la sentenza», in modo da poter mettere nero su bianco una legge elettorale che rischia di segnare «l’uscita politica dell’Italia dall’Europa. E che, visto quanto si prospetta, è una vergognosa presa in giro degli italiani».

Segni, lei che ha contribuito ad un cambiamento di rotta significativo sulla questione elettorale, ad aprile ha dichiarato che «la Bce dovrebbe temere la nuova legge», e che la stessa è «un delitto contro l’Italia». È ancora di questo avviso, viste le novità?  
«Più che mai. Anzi, ripeto e amplifico quanto ho detto qualche mese fa. Il problema fondamentale oggi è l’Europa, e fuori dal continente l’Italia ha un destino drammatico. Restare al suo interno vuol dire percorrere una strada durissima, fatta di lacrime e sangue. Chi può guidare il Paese su un percorso durissimo ma necessario? Solamente un governo politico che abbia ottenuto la legittimazione degli elettori vincendo le elezioni. Bersani e Casini dicono che l’alleanza la faranno dopo. Sì, per poi sfasciarla in tre mesi. Che forza può avere un esecutivo fondato sulla trattativa fra due partiti che dicono cose diverse, che non si sono presentati assieme? Andremmo incontro ad un possibile rovesciamento da parte del Parlamento. È una strada scellerata. Il ritorno al proporzionale significa ritorno a governi brevi e deboli, che non possono reggere questo sforzo immane».

Secondo lei la continua melina delle varie formazioni, malgrado i richiami del Capo dello Stato, nasconde la volontà di proseguire con il “Porcellum”?
«Le dico che i partiti possono addirittura riuscire in un “miracolo” che non avrei mai previsto. E cioè, visto quanto si prospetta, fare qualcosa di peggio del “Porcellum”. Quando sento che metà dei seggi sarebbero conservati per i designati dall’alto, allora penso che questa è una vergognosa presa in giro degli italiani, della democraticità del sistema e dell’indispensabile bisogno di governabilità. È un percorso in cui non vedo una personalità “alta” che riesca a dire che il problema non è se il Pd prende qualche voto in più e Berlusconi qualcuno in meno, ma il futuro di 60 milioni di persone».

Lei faceva riferimento ai listini bloccati. Cicchitto (Pdl) ha fatto sapere che si tratta di una mossa necessaria per assicurare l’ingresso in Parlamento di «una serie di parlamentari di alto livello»…
«Si tratta, com’è chiaro, di un meccanismo che serve per tenere dentro le Aule i dirigenti dei partiti. Ma mi preme aggiungere un altro aspetto, che esula in parte da questo discorso…».

Mi dica.
«Una delle proposte sul tappeto è incostituzionale, e questo non sfuggirà al Capo dello Stato. Mi spiego: l’ipotesi del premio di maggioranza al partito attribuisce più seggi ad una forza – la prima – senza che ciò sia giustificato e motivato da quello che è il fondamento di un sistema maggioritario, ovvero assicurare la governabilità. Il maggioritario è un sacrificio alla rappresentatività in nome di un altro bene, ovvero la governabilità. Se nel “Porcellum” il premio di maggioranza assicurava stabilità, nel nuovo sistema non serve a nulla».

Di che tipo di legge elettorale ha bisogno l’Italia?
«La grande riforma iniziata vent’anni fa con i nostri referendum si conclude solamente con il presidenzialismo. Nel frattempo avevamo una soluzione che avrebbe aiutato moltissimo l’Italia, proposta al referendum: il ritorno al “Mattarellum”. Ritengo che questa classe politica abbia una terribile responsabilità: quella di avere provocato la sentenza della Corte costituzionale, che è stata una sentenza politica, voluta e in certi momenti addirittura dettata dallo stesso mondo politico, forte della volontà di una legge che “faremo noi dopo”. Credo che oggi siano in tanti quelli a cui rimorda un po’ la coscienza».

Si parla della possibilità di una grande coalizione. Di recente, intervistato da “Avvenire”, il presidente dell’Udc Buttiglione ha dichiarato che «per noi questa è la prima ipotesi». È uno scenario realizzabile?
«Se c’è la volontà di fare una grande maggioranza ci si presenti agli elettori chiedendo i voti. Credo che non sarebbe un’ipotesi felice, ma avrebbe una sua legittimità. Attenzione, però: il governo di grande coalizione, conosciuto in molte democrazie – anche in Paesi che hanno sistemi maggioritari –, significa governo di tutti. Quello che si prospetta in Italia sarebbe l’esecutivo di Alfano, Bersani e Casini. E gli altri? Si sta usando la storia per camuffare accordi di un pezzo di politica che vuole semplicemente tornare al potere».

Non è un mistero che ci sia la possibilità che Monti resti a Palazzo Chigi, o faccia il ministro dell’Economia nel corso della prossima legislatura…
«La soluzione migliore, forse l’unica via d’uscita, è una coalizione che chieda i voti per fare dopo le elezioni un governo Monti sulla linea europea. Sarebbe un governo forte perché legittimato dal voto popolare, e potrebbe riuscire nell’impresa. Ma mi pare che pensino un’altra cosa: Monti come ripiego, come mediazione tra i partiti dopo il voto, una riedizione dei vecchi “governi balneari”. Un governo debolissimo, senza investitura popolare, che i partiti condizionerebbero e sfascerebbero quando vogliono. Insomma un disastro. Non lo auguro a lui e tantomeno all’Italia».

Come giudica l’operato dell’esecutivo guidato dall’ex Commissario europeo?
«Monti è stato chiamato in un momento terribile. Credo che alcune cose fatte siano discutibili, ma nel complesso non c’è dubbio che il suo governo ci abbia allontanato dal baratro, anche se molti discorsi sono tuttora aperti».

In conclusione, non posso non chiederle un parere sulle schermaglie in corso a sinistra fra Bersani, Di Pietro e Grillo. Chi ci guadagna e chi ci rimette, a suo avviso?   
«Penso che l’unico ad averne tratto vantaggio sia stato Roberto Benigni, che come di consueto ha fatto uno spettacolo meraviglioso. È sempre il migliore di tutti».

Twitter: @GiorgioVelardi   

Quorum raggiunto, ai referendum stravincono i “sì”

lunedì, giugno 13th, 2011

articolo a cura di Maurizio Morri

Il 13 giugno 2011 potrà diventare una data da ricordare nella storia italiana: per la prima volta, dal 1995, una consultazione referendaria ha superato il quorum. Oggi, il popolo italiano ha deciso che l’Italia rinuncerà per i prossimi cinque anni a privatizzare il servizio di distribuzione dell’acqua, a legiferare su un piano di sviluppo energetico che includa l’energia nucleare tra le fonti sfruttabili, e ha sancito il non diritto del Presidente del Consiglio e dei Ministri del Governo a non presentarsi ad udienze giudiziarie sfruttando il “legittimo” impedimento derivato dalle loro funzioni pubbliche. In questa giornata, ovviamente, il primo dato positivo che salta all’occhio è il ritorno alle urne della maggioranza degli italiani (57%). Dato che, se inserito in un contesto di generale disinteresse e disprezzo della cosa pubblica, fa sperare che questa tendenza di disamore si sia, possiamo dire finalmente, interrotta.

Per quanto riguarda il quesito referendario sul legittimo impedimento c’è poco da dire, basta entrare nelle aule di tribunale e leggere la scritta che campeggia, talvolta ironicamente in Italia, dietro la sedia del giudice: “La legge è uguale per tutti”, anche per il Presidente del Consiglio e altre figure politiche.

Su gli altri tre quesiti referendari è, a mio avviso, necessaria una riflessione più profonda. Il livello di discussione su questi quesiti è stato, secondo me, una pagina dell’ennesimo squallore italiano. Entrambi gli schieramenti, i sostenitori del “” e quelli del “No“, hanno basato la loro campagna referendaria su argomenti trattati in maniera superficiale e colpevolmente lacunosa. Per quanto riguarda i referendum sull’acqua, forse questa mancanza di informazioni è stata meno evidente; sul referendum riguardante il nucleare, banalità penso sia la parola che meglio descriva la discussione proposta ai cittadini italiani.

Da una parte si è susseguita un’alternanza di immagini di bambini deformi di Chernobyl e mamme col Geyger di Fukushima; si è demonizzato il  nucleare come la forma più pericolosa e dannosa di produzione di energia e si è terrorizzata l’opinione pubblica italiana con l’idea dell’imminente olocausto nucleare. Dall’altra parte, il fronte del no non ha saputo controbattere con un argomento scientificamente valido che dimostrasse quanto in realtà l’energia nucleare non sia di per se un diabulus in terrae. Chi scrive è un antinuclearista razionale. Non penso all’energia nucleare come la causa della fine del mondo, ma credo che in un mondo che continua a basarsi su un sistema economico di crescita continua e sfruttamento totale di masse e risorse, l’energia atomica sia una naturale conseguenza. Mi sarei aspettato che chi ha così lottato per il fronte del “” approfittasse dell’occasione per discutere anche di quello che credo sia il problema fondamentale: il nostro fabbisogno energetico è inutilmente alto. Un modello di vita generalizzato meno esoso dal punto di vista energetico è, a mio avviso, l’unica vera soluzione: una moratoria italiana sul nucleare, oltre al fatto di non essere di alcun peso a livello internazionale, non risolve e non affronta il vero problema, ovvero come produrre energia per soddisfare il sempre crescente fabbisogno.

È da dire certamente che il programma nucleare presentato dal governo era di una evidente ridicolaggine. Usare centrali dismesse dal governo francese non è di certo un modo di guardare al futuro, sia dal punto di vista dello sviluppo che da quello della sicurezza. Fatto sta che in un paese civile un cittadino di cultura media si aspetterebbe che il livello di discussione su argomenti così importanti si basasse su tesi ed antitesi più profonde; si è messo in discussione il sistema energetico italiano, ma non si è affatto messa in discussione la società che genera questo modello di sviluppo energetico. Il risultato finale, che personalmente condivido, è stato quello di dare un’ulteriore spallata ad un governo nel quale non mi riconosco e che oggettivamente non ha prodotto niente di economicamente e socialmente valido; ma, a livello personale, ho l’amaro in bocca per l’occasione mancata di discussione, di vera discussione, e la generale sfiducia per il livello di comprensione del popolo italiano dimostrata dai due schieramenti referendari è tanta.

Speriamo, con uno sguardo speranzoso, che questo sia solo l’inizio di un cambiamento più radicale, che porti il popolo italiano ad esprimersi sempre più spesso e sempre più numeroso quando chiamato alle urne, ma soprattutto più informato e meno emotivamente spinto.

Referendum, domenica e lunedì italiani al voto

giovedì, giugno 9th, 2011

Domenica 12 e lunedì 13 giugno gli italiani saranno nuovamente chiamati alle urne. Messe da parte le elezioni amministrative, questa volta si vota per i quattro referendum promossi da associazioni e partiti politici. Dal nucleare al legittimo impedimento, passando attraverso i due quesiti che riguardano la privatizzazione dell’acqua, vediamo nel dettaglio cosa chiedono i promotori delle consultazioni e le modalità con cui gli elettori dovranno esprimere le loro preferenze.

REFERENDUM ABROGATIVI – In tutti e quattro i casi si tratta di referendum abrogativi che, previsti dall’art. 75 della nostra Costituzione, prevedono l’annullamento di una legge esistente. Perché ciò accada devono recarsi alle urne il 50% + 1 degli aventi diritto, altrimenti la consultazione si concluderà con un nulla di fatto e le leggi in vigore saranno confermate. I seggi saranno aperti dalle ore 8.00 alle ore 22.00 di domenica, e dalle ore 7.00 alle ore 15.00 di lunedì 13 giugno. Per votare occorre presentare un documento di identità e la tessera elettorale. A ciascun elettore saranno consegnate quattro schede, ma ognuno può scegliere di non esprimere il proprio parere su uno dei quesiti proposti.

SERVIZI DI FORNITURA DELL’ACQUA AI PRIVATI – Al primo quesito, dal titolo “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, è associata la scheda di colore rosso. Il referendum, promosso dal “Forum Italiano dei movimenti per l’acqua”, prevede l’abrogazione dell’art. 23 bis del decreto legge 112/2008 (“Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria”), meglio conosciuto come decreto Ronchi. Il provvedimento stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati – attraverso gara – o a società a capitale misto pubblico-privato. Nel secondo caso, il privato deve essere sempre scelto attraverso una gara e deve detenere almeno il 40% del capitale in questione. Votando “” ci si dichiara contrari a quanto affermato dal decreto, mentre barrando la casella del “no” si da ragione a chi afferma che l’acqua non viene privatizzata ma solo gestita meglio, visto che il dissesto idrico costa ogni anno agli italiani circa 2 miliardi di euro.

TARIFFE DEL SERVIZIO IDRICO – Il secondo quesito referendario (“Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito”) riguarda nuovamente l’acqua. In questo caso la scheda è di colore giallo. I promotori del referendum chiedono l’abrogazione del comma 1 dell’art. 154 del cosiddetto Codice dell’Ambiente, che stabilisce la determinazione della tariffa per l’erogazione dell’acqua e il cui importo prevede anche la remunerazione per il capitale investito dal gestore. A quest’ultimo spetterebbero infatti profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% della cifra investita senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio. In caso di vittoria del “” la tariffa non potrà prevedere tale quota, quindi i gestori non potranno acquisire un profitto garantito sulla tariffa stessa. Se la maggioranza degli elettori sceglierà il “no”, si creeranno condizioni favorevoli ai privati per l’ingresso nel settore.

NUCLEARE – Alla scheda di colore grigio è affidato il quesito più discusso nella rotta di avvicinamento al 12 e 13 giugno, promosso dall’Italia dei Valori e da alcune associazioni ambientaliste. Stiamo parlando del nucleare e della possibilità che in futuro, nel nostro paese, vengano costruite nuove centrali. Il dibattito è diventato rovente dopo il disastro di Fukushima, in Giappone, a seguito del terremoto che ha colpito il paese asiatico nel marzo scorso. Nell’art. 5 (“Sospensione dell’efficacia di disposizioni del decreto legislativo num. 31 del 2010”) del decreto legge n. 34/2011, il governo Berlusconi ha incluso una moratoria di un anno sull’avvio del programma nucleare. “Se fossimo andati oggi a quel referendum – ha dichiarato il Premier – il nucleare in Italia non sarebbe stato possibile per molti anni a venire. Siamo convinti che questo sia un destino ineluttabile”. Un successivo emendamento contenuto nel decreto omnibus, che intendeva abrogare numerose disposizioni fra cui quelle relative alla realizzazione di nuove centrali, non ha indotto la Cassazione ad invalidare il quesito, che si svolgerà regolarmente. In Europa la Germania e la Svizzera hanno già varato un piano che prevede la chiusura delle centrali ancora in attività. La cancelliera Merkel, nel giorni scorsi, ha annunciato che entro il 2022 saranno chiuse tutte quelle presenti sul suolo tedesco, mentre il ministro dell’ambiente Roettgen ha specificato che non sono presenti clausole di revisione sulla decisione. In Svizzera, invece, le cinque centrali saranno chiuse entro il 2034. Nel nostro paese, con un referendum consultivo, la Sardegna ha già detto no alla costruzione di nuovi impianti. Chi sceglierà di votare “” accetterà che venga impedita la progettazione, la localizzazione e la costruzione di nuove centrali, mentre per il “no” si esprimeranno coloro che sono favorevoli all’apertura delle stesse.

LEGITTIMO IMPEDIMENTO – L’altro quesito promosso dal partito di Antonio Di Pietro è quello sul legittimo impedimento (scheda di colore verde). Il referendum chiede l’abrogazione di alcune norme della legge n. 51/2010, secondo cui il presidente del Consiglio e i ministri possono invocare il legittimo impedimento a comparire in un’udienza penale, qualora imputati, in caso di concomitante esercizio di attività essenziali alle funzioni di Governo. I promotori del referendum chiedono che della legge, dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Corte con sentenza del 13 gennaio scorso, vengano abrogati l’art. 1, 2, 3, 5 e 6. Votando “” ci si dichiara favorevoli al principio secondo cui il Premier e i ministri non devono anteporre l’esercizio delle loro funzioni alle esigenze di giustizia che li riguardano; esprimendosi per il “no”, al contrario, l’istituto resta in vigore.

QUESTIONE POLITICA – Dopo la pesante sconfitta alle elezioni amministrative, quello dei referendum diventa per la maggioranza un serio banco di prova. Di questo, almeno, sono convinte le opposizioni, anche se venerdì scorso lo stesso Berlusconi ha fatto sapere che l’esito del referendum non ha nulla a che vedere con il governo. Il Presidente del Consiglio ha definito i 4 quesiti “inutili”, senza quindi dare indicazioni di voto. Il Partito Democratico, l’Idv e le altre forze di centro-sinistra invitano tutti i cittadini a recarsi alle urne per dire quattro volte “”, mentre in un’intervista al “Corriere della Sera” il leader dell’Udc Casini ha dichiarato che voterà “” al quesito sul legittimo impedimento e “no” a quelli sulla privatizzazione dell’acqua. Sul nucleare, ha concluso il leader centrista, il suo partito lascerà che gli elettori si esprimano liberamente.