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Rincontrarsi ad Arcore – da “Il Punto” del 18/01/2013

giovedì, gennaio 24th, 2013

Pdl e Lega di nuovo insieme. Ma i nodi da sciogliere sono molti. Mentre i militanti del Carroccio se la prendono con Maroni per il passo indietro compiuto, la partita nazionale si intreccia sempre di più con quella regionale

SECURITY: MARONI, OPEN WI-FI CONNEXCTIONS STARTING JANUARY 1La notte porta consiglio. Un vecchio adagio che Silvio Berlusconi e Roberto Maroni hanno applicato alla lettera all’una e trenta del sette gennaio scorso, quando ad Arcore hanno deciso di ricostruire l’asse del Nord. Pdl e Lega di nuovo insieme. Come nel ’94, nel 2001, nel 2006 e nel 2008. Sembrano lontani i tempi in cui Bossi dava del «suino Napoleon» e addirittura del «nazista, nazistoide, paranazistoide» al Cavaliere (1995). Il quale non esitava a replicare con epiteti non meno teneri: «Bossi è un Giuda, un ladro di voti, un ricettatore, truffatore, traditore, speculatore». Sono passati quasi vent’anni. Sembrano secoli. Ora alla guida del Carroccio c’è Maroni, l’uomo che il 27 gennaio 2012, con la ramazza in mano, annunciava che «se Berlusconi ora appoggia Monti poi quando si andrà alle elezioni non può chiedere alla Lega di fare accordi perché qualche problema c’è». L’uomo, si sa, dimentica in fretta. E il segretario leghista non è stato da meno. «Andare da soli avrebbe dato soddisfazione ai malpancisti, dopodiché il 26 febbraio la Lega si sarebbe dovuta interrogare per capire le cause della propria sconfitta. È un’occasione storica per realizzare il nostro grande sogno, e io non me la voglio far scappare», ha dichiarato l’ex ministro dell’Interno commentando il nuovo apparentamento col Pdl.

TUTTO SULLA LOMBARDIA - L’occasione a cui fa riferimento il successore di Umberto Bossi è la guida della Regione Lombardia. La stessa che negli ultimi diciassette anni è stata nelle mani di Roberto Formigoni, schiacciato dal peso delle inchieste che dal 2010 hanno investito il Pirellone (da Nicole Minetti a Domenico Zambetti, passando per Davide Boni e Filippo Penati) e costretto alle dimissioni nell’ottobre del 2012. Dopo la guerra di posizione con l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, poi confluito nella lista civica di Monti, Maroni è diventato il candidato unico del centrodestra. I suoi obiettivi sono precisi: costituire la macroregione del Nord (con Piemonte e Veneto) e trattenere il 75% delle tasse sul territorio. Uno “strano” progetto, quello dell’ex numero uno del Viminale, visto che a settembre fu lo stesso Formigoni – dal palco della festa provinciale della Lega Nord di Brescia – a ipotizzare la formazione della macroregione e dell’euroregione. «Si tratta di una finta o poco più di una finta», tagliò corto “Bobo”, perché «la Costituzione dice che le Regioni possono solo fondersi» (secondo quanto prevede l’art. 132). «Maroni è stato pragmatico, per lui l’accordo col Pdl era vitale per avere una qualche chance di vittoria in Lombardia», è il giudizio di Alessandro Campi, politologo e direttore della Rivista di Politica. «Il segretario leghista ha dettato le sue condizioni, fra cui la garanzia che Berlusconi non sarà il candidato premier del centrodestra». Una promessa che sarà mantenuta in caso di vittoria, visto che la Lega ha indicato Tremonti? «A quel punto il leader del Pdl farà sicuramente il presidente del Consiglio», risponde Campi, che definisce «preoccupante il rilancio dello storico progetto secessionista della Lega», anche se «in una forma apparentemente soft». Se il Carroccio dovesse vincere in Lombardia «si porrebbero dei problemi molto seri rispetto alla tenuta della struttura istituzionale del Paese», conclude. Oltre che preoccupante, il progetto di formazione della macroregione del Nord appare di difficile realizzazione. Questo perché andrebbe modificata la Costituzione, il che richiederebbe una larga maggioranza a disposizione. I sondaggi, malgrado la quotidiana rimonta di Berlusconi, vedono la coalizione di centrodestra indietro rispetto a quella di centrosinistra. Ma la vittoria di Pdl e Lega in Lombardia renderebbe “instabile” il successo di Bersani e Vendola, visto che per colpa del “Porcellum” questa Regione assegna 49 seggi sui 315 totali al Senato. E Maroni, secondo le ultime rilevazioni, è in vantaggio su Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio (l’avvocato assassinato nel 1979) e vincitore delle primarie del Pd.

ALLA FACCIA DELLA BASE - Un accordo che sembra però scontentare i leghisti “duri e puri”. Ad ottobre avevamo incontrato alcuni di loro a Milano durante la “gazebata” organizzata dal Carroccio (la stessa che, in Lombardia, vide Maroni vincitore indiscusso delle “primarie fai da te” per la corsa al Pirellone). Alla nostra domanda su cosa ne pensassero di un possibile nuovo accordo con il partito dell’ex premier, molti ci avevano risposto così: «Diciamo basta all’alleanza col Pdl. Meglio perdere ma conservare l’onore che vincere con questi qua». Commenti che abbiamo ritrovato, sia nella forma che nella sostanza, consultando in questi giorni i principali forum dei militanti. Su Giovani Padani, per esempio, LoSpada scrive: «Siete pronti, cari leghisti, ad una nuova fantastica alleanza col Pdl “per il bene del Nord”? Mamma mia che tristezza!!». Mentre per un altro utente, padanus, «Berlusconi è finito, ha deluso troppo, ci ha preso in giro per anni e noi fessi a credere in lui, compreso il sottoscritto e la tantissima gente con cui parlo qui nel Veneto». Non è finita qui. Perché spostandoci sul forum della Lega Nord di intopic.it scopriamo seguaci ancora più irritati dal nuovo sodalizio fra Berlusconi e Maroni. «Anche questa volta avete dimostrato il vostro spessore morale. Spero proprio che gli italiani e soprattutto i lombardi non si dimentichino di quello che siete riusciti a combinare nella scorsa legislatura», dice Luigi. «Hanno stretto l’accordo. Vergogna!», è invece il commento di Gab, a cui risponde Lucio1: «Basta ricordarsene quanto ci saranno le elezioni». C’è, dunque, il rischio dell’effetto boomerang e di una nuova disaffezione della base leghista? «È probabile», afferma a Il Punto Antonio Noto, direttore di IPR Marketing. «Nel momento in cui si è formato il governo Monti la Lega ha fatto capire che non ci sarebbe potuta più essere un’alleanza con il Pdl. E su Berlusconi, oltre al giudizio politico, pesa quello sulla persona. Per gli attivisti – conclude il sondaggista – questo è sicuramente un colpo al cuore, che si accompagna alla confusione enorme che riguarda la mancanza di un candidato premier certo della coalizione. Non ho mai visto una situazione del genere».

STORACE CANDIDATO – Ma da Nord a Sud i nodi da sciogliere prima del voto di fine febbraio sono numerosi. Al Centro, solo pochi giorni fa, è stato risolto il problema riguardante la corsa per il controllo di un’altra Regione chiave, il Lazio, dopo la fine anticipata dell’era Polverini. Mentre il centrosinistra ha comunicato da tempo il nome del proprio candidato, l’ex presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, nel centrodestra la lotta fra correnti ha creato stordimento nell’elettorato. Alla fine, malgrado la componente del partito vicina al segretario Angelino Alfano avesse proposto Beatrice Lorenzin, la scelta è ricaduta sul leader de La Destra Francesco Storace. Nei sondaggi l’ex ministro della Sanità è in ascesa, ma una parte del partito – in primis la costola laziale – gli avrebbe preferito l’ex capo della Segreteria tecnica di Paolo Bonaiuti. Una decisione difficile, tanto che negli ultimi giorni Berlusconi pare abbia fatto commissionare un sondaggio in cui sono stati inseriti anche i nomi della governatrice uscente Renata Polverini, del rettore dell’Università La Sapienza Luigi Frati, del presidente della Lazio Claudio Lotito, del vicesindaco di Roma Sveva Belviso e del magistrato Simonetta Matone. Alla fine, però, si è scelto di rompere gli schemi. Qualcosa di nuovo sotto il sole.

Twitter: @mercantenotizie 

Tutti, tranne i Radicali

martedì, gennaio 15th, 2013

L’aspirante governatore del Lazio Nicola Zingaretti non vuole ricandidare i consiglieri uscenti dopo gli scandali che hanno travolto i gruppi. Ma Berardo e Rossodivita hanno smascherato «Batman» Fiorito. In Lombardia Cappato annuncia: «Noi fuori? Non c’è il consenso dei partiti della coalizione»  

CONGRESSO RADICALI ITALIANIAvete mai letto una fiaba in cui i buoni perdono e i cattivi vincono? «Impossibile», diranno i più. Vero. Ma la realtà è un’altra cosa. E dunque accade che, nel pieno della campagna elettorale, tutti si siano dimenticati dei Radicali. Il partito di Marco Pannella promotore di mille battaglie, scioperi della fame, denunce sociali. Quello che, tanto per rimanere ancorati al recente passato, ha smascherato con le proprie denunce – avanzate dai consiglieri uscenti Rocco Berardo e Giuseppe Rossodivita – «Batman» Fiorito e provocato un terremoto che alla Regione Lazio ha portato alle dimissioni della governatrice Renata Polverini.

Dargli un “premio” per il loro coraggio? Macché, anzi. Dalla corsa che a meno di clamorose sorprese lo porterà alla Pisana, il candidato del centrosinistra Nicola Zingaretti ha escluso proprio i Radicali. La sua intenzione – suffragata dalle parole di Massimiliano Smeriglio, coordinatore per la campagna elettorale del centrosinistra alle Regionali – pare sia quella di non ricandidare i consiglieri uscenti dopo gli scandali che hanno travolto i gruppi. Ma è una tesi che non regge perché, come detto, il partito di Pannella era un corpo estraneo al sistema; e poi perché molti degli ex esponenti del Pd in Regione sono stati “dirottati” alla Camera e al Senato (Esterino Montino, ex capogruppo dei democrat in consiglio regionale, correrà per la poltrona di sindaco di Fiumicino). Insomma nessuno, o quasi, è rimasto a bocca asciutta. «Tranne i Radicali», come recita un hashtag che negli ultimi mesi spopola su Twitter. Va ricordato, per dovere di cronaca, che nel 2008 fu lo stesso Partito democratico a “sabotare” l’elezione di Emma Bonino alla Pisana, come rivelato nel novembre 2011 dall’allora direttore dell’Unità Concita De Gregorio (l’ex vicepresidente del Senato decise di sfidare la Polverini ma perse con uno scarto di poco inferiore al 3%). La giornalista affermò che, in seguito alla fuoriuscita di Gianfranco Fini dal partito di Berlusconi, il Pd si accordò per far vincere “Renata” e rafforzare la componente “finiana” del Pdl in modo da provocare un clamoroso ribaltone in Parlamento portando centrosinistra e Terzo Polo al governo (è andata diversamente, come sappiamo). Ma quello del Lazio non è un caso isolato.

La stessa situazione si presenta, infatti, anche in Lombardia, dove il prossimo 24  e 25 febbraio si tornerà alle urne per eleggere il successore del “Celeste” Formigoni. Qui il candidato scelto dagli elettori del centrosinistra attraverso le primarie si chiama Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, l’avvocato ucciso nel 1979 dai sicari di Michele Sindona. Eppure «a fronte della nostra richiesta di incontro per discutere dell’alleanza, mi è stato comunicato dall’entourage di Ambrosoli che la soluzione prospettata non prevede l’apparentamento della nostra Lista, sul quale non vi sarebbe il consenso dei partiti della coalizione», ha spiegato l’ex europarlamentare Marco Cappato. Pure in questo caso sembra esserci la longa manus del Pd, che con i Radicali proprio non vuole avere più nulla a che fare (la Lista “Amnistia, Giustizia e Libertà” si presenterà da sola anche a livello nazionale). Pannella non demorde e, fra uno sciopero della fame e l’altro, promette battaglia. Nel frattempo “Marco” si dedica alla sua decennale campagna, quella per il miglioramento della condizione delle carceri italiane. Di recente la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia al risarcimento di sette detenuti per “danni morali”, ritenendo il nostro Paese colpevole di trattamento inumano e degradante nei loro confronti. Un problema che non sembra interessare nessuno. Tranne i Radicali.

g.velardi@ilpuntontc.com

Scacco matto al Pirellone – da “Il Punto” del 26/10/2012

giovedì, novembre 1st, 2012

Viaggio fra i gazebo che hanno animato Milano lo scorso weekend. I militanti del Carroccio vogliono andare al voto ad aprile, auspicano che Roberto Maroni sia il nuovo governatore della Regione e dicono basta all’alleanza col Pdl: «Meglio perdere ma conservare l’onore»

«Speriamo ci sia il sole», si auguravano i leghisti duri e puri in vista della “gazebata” dello scorso fine settimana. E il sole c’era. Compreso quello “delle Alpi”, presente sulle bandiere che i militanti hanno posizionato con estrema cura negli oltre 1.600 punti di ritrovo che hanno “invaso” la Lombardia. La Regione che è stata, per quasi un ventennio, nelle mani di Roberto Formigoni. Ora che il cielo sopra la testa del “Celeste” è diventato nero, però, la Lega 2.0 si candida per la cabina di regia del Pirellone. Non sarà facile. Lo scontro in corso nelle ultime settimane fra il governatore uscente e i vertici del Carroccio si fa sempre più aspro: Formigoni non ci sta a passare la mano ad un leghista. Tanto che su Twitter, sabato, scriveva: «A Varese il Pdl ha offerto mele, un prodotto che dà forza, la Lega camomilla, un composto che dà sonnolenza». Commento all’ironica iniziativa di un gruppo di militanti leghisti che durante il comizio del presidente – contestato da una decina di attivisti della Fiamma tricolore – hanno girato portando fra le braccia un’enorme tazza di camomilla. Fra i gazebo, però, la base è sicura: «È il nostro momento, Maroni può essere il nuovo Formentini». Poi c’è chi si sfoga: «Basta andare a braccetto con il Pdl, meglio perdere ma conservare l’onore».

L’ORA DI “BOBO” - «Ai gazebo!», titolava la Padania (organo ufficiale del Carroccio) nel primo dei due giorni della “gazebata”. La Lega ha raccolto le firme per tre leggi di iniziativa popolare. La prima proposta: trattenere sulle Regioni del Nord il 75 per cento delle tasse. La seconda: indire un referendum per «un’Europa fondata sui popoli e le regioni, con l’adesione all’euro limitata a chi rispetta il pareggio di bilancio». La terza: introdurre l’ammissibilità di referendum abrogativi sulle leggi tributarie e di ratifica dei trattati internazionali. Ma l’aspetto più importante ha riguardato il futuro della Lombardia. «Quando volete votare e soprattutto chi pensate debba essere il nostro candidato?», si domandava a militanti e non. Le risposte (tante, 200mila solo nel primo giorno) sono state scontate: «ad aprile (e non a dicembre, come ripete Formigoni, ndr) e con “Bobo” Maroni a rappresentarci». Lo zoccolo duro del partito la pensa così. Come Pierluigi Crola, 55 anni, da 26 nella Lega, per cui è stato consigliere comunale (1990) e provinciale (dal 1991 al ’95). Lo incontriamo al gazebo di Piazza Loreto. È sicuro, Pierluigi, che «la seconda Lega» debba essere «la continuazione della prima, perché gli obiettivi sono gli stessi di sempre, fra cui l’indipendenza». E che «con il Pdl io non ci voglio più andare. Ma è un’opinione personale. Lo scriva, mi raccomando» (non sarà comunque il solo a pensarla così). Insieme a lui c’è Ferdinando. Si definisce «un leghista meridionale, perché vengo da Molinara, in provincia di Benevento. E proprio per questo dico: noi non vediamo il Sud come una zavorra così, per caso, ma perché diciamo da tempo che in certe zone bisogna cambiare mentalità. Basta “padrini”, bisogna rimboccarsi le maniche. E attenti – tuona – che la fame non è ancora arrivata nei piatti degli italiani». Roberto (66) si trova invece a Piazzale Oberdan. Si domanda (dopo aver sentenziato che «Formigoni ha superato i limiti»): «Possibile che il “Celeste” non si sia mai accorto di ciò che accadeva? Che governatore è?». Per lui il segretario del Carroccio può prendere i voti anche da chi non ha mai votato la Lega. Persino «quelli dei moderati – azzarda –. Se lo ricorda lei Formentini? Ecco, Maroni può ripetere quell’esperienza lì». Era il 1993 quando si aprì una parentesi che durò l’arco di una legislatura. Marco Formentini, ex socialista, vinse le elezioni e divenne il primo (e finora unico) sindaco di Milano leghista. Un’esperienza positiva a metà, visto che solo sei anni dopo l’ex primo cittadino lasciò la Lega, di cui non condivideva più buona parte dei valori. Con Maroni, leghista della prima ora che ha “ripulito” il partito a colpi di ramazza, sarebbe certamente un’altra storia.

«CORRIAMO DA SOLI» - Venerdì 19 ottobre, vigilia della “gazebata”, la Procura della Repubblica di Monza ha notificato un avviso di garanzia per corruzione (nell’ambito di un’inchiesta per tangenti) a Sandro Sisler, coordinatore provinciale del Pdl a Milano. Gli inquirenti indagano da luglio su un sistema di tangenti nel Comune di Carate Brianza, di cui Sisler è stato assessore all’urbanistica. È l’ennesima brutta storia che colpisce la Lombardia. E che arriva a soli dieci giorni di distanza dall’arresto dell’assessore alla Casa della Regione Domenico Zambetti (Pdl), accusato di essere stato eletto con i voti della ‘ndrangheta – cui avrebbe versato 200mila euro in cambio di 4000 preferenze – e 15esimo indagato del consiglio regionale lombardo. Formigoni compreso. «Questa è gente che ha prodotto risultati scarsi, per non dire nulli. Diciamo basta all’alleanza col Pdl: meglio perdere ma conservare l’onore che vincere con questi qua», dice Gianni, che da Piazza Wagner rivendica di essere stato «uno di quelli che la Lega l’ha fondata». Anche lui ce l’ha con Monti, come buona parte dei militanti leghisti. «Questo governo ha solo aumentato le tasse ma non ha affrontato i problemi reali del Paese. L’Imu è stata una sassata – continua –, quest’anno le tredicesime se ne andranno per pagare le imposte. Di questo passo l’economia non ripartirà mai. La gente pensa che la soluzione sia Grillo. Che potrebbe vincere sì, ma per disperazione: leggere il suo blog fa paura». Volente o meno, Gianni mette sul piatto uno dei temi caldi al centro della discussione: l’alleanza con il Popolo della Libertà. O di quel che ne rimane. Perché se Maroni dichiara che questa «va salvata», buona parte del suo popolo la pensa all’opposto. Maria Agnese, 56 anni, disoccupata, è chiara: «Io ho sempre votato Lega. Ho smesso da quando abbiamo iniziato ad andare a braccetto con Berlusconi. Al segretario dico: stacchiamoci, andiamo da soli, altrimenti riperdiamo un’altra volta. Le posso assicurare – conclude – che il mio è un pensiero radicato». «Con il Pdl in Lombardia si è governato bene, ma prima di tornare al voto ci sono delle questioni da risolvere, prime fra tutte l’approvazione del bilancio e la riforma della legge elettorale», afferma dal gazebo di Via Washington l’assessore provinciale Stefano Bolognini, che non teme un nuovo effetto-Pisapia: «Il rischio è basso, ma vincere è tutt’altro che scontato».

“IL MATTEO” (SALVINI)  - Sarà anche bassa, ma la possibilità che si ripeta quanto accaduto alle Amministrative dello scorso anno (quando Giuliano Pisapia conquistò Milano a spese di Letizia Moratti) c’è. «A noi si è ingrossato il fegato a furia di dire a Berlusconi che la Moratti proprio non la volevamo, e abbiamo perso. Ma dopo un anno di amministrazione Pisapia la gente si sta ricredendo», rivela Roberto. «Qualsiasi altra persona avessero candidato al posto della Moratti – gli fa eco Gianni – Pisapia non avrebbe mai vinto». E chissà che quella «qualsiasi altra persona» non sarebbe potuta essere Matteo Salvini. “Il Matteo”, come lo chiama Bruno Baldi, uno che nel 2003 è finito nella lista dei 170 «grandi» della Padania, e che da queste parti è un’istituzione. Il segretario nazionale della Lega Lombarda arriva alle 16.00 al gazebo di Largo Cairoli. Si arma di megafono e chiama a raccolta i passanti: «Noi siamo per Maroni, ma potete anche votare Formigoni. Non sono le primarie del Pd, qui si vota gratis!». Gli si avvicina un signore sulla 50ina: «Io sono siciliano, ma voto per te perché sei bravo». Un altro gli da un consiglio: «Quando vai in televisione non ti far mai mettere i piedi in testa da nessuno, te capì?». Lui vota per Maroni, rifornisce di volantini alcuni militanti e il neo capogruppo in consiglio comunale Alessandro Morelli («Tieni Ale, datti da fare», gli dice scherzando), poi prende di nuovo il megafono e ricomincia. Salvini è il volto di una Lega che è riuscita a rinnovarsi dopo gli scandali, quella che ha “salutato” Bossi, per tutti ormai «un padre putativo». Una politica che sta pagando, almeno al Nord. Tanto che un recente sondaggio commissionato dal Carroccio alla Swg di Roberto Weber vede, in Lombardia, Lega e centrosinistra insieme al 22 per cento, con il Pdl sprofondato a 13. Ma a far sorridere Maroni è la percentuale di lombardi che lo vorrebbero presidente di Regione: 30 per cento. Dietro di lui ci sono l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini (11 per cento), prima scelta di Formigoni – anche se «non ho ricevuto alcuna richiesta dal Pdl, il partito non si è ancora pronunciato sulla mia candidatura in Lombardia», dice il diretto interessato –, Salvini (8) e Formigoni (3). A sinistra c’è invece grande incertezza. Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, l’avvocato assassinato nel luglio del 1979 per volontà di Michele Sindona, ha rinunciato alla candidatura. Fortemente spalleggiato da Pisapia, Ambrosoli ha però spiegato che «servire la collettività, vivere la responsabilità politica, è la più nobile delle ambizioni. Ringrazio quanti mi ritengono all’altezza, ma ho troppo poco tempo a disposizione per costruire un progetto e un programma per la Lombardia». A circolare, almeno ufficiosamente, ci sono fra gli altri i nomi di Bruno Tabacci (Api) e Giuseppe “Pippo” Civati (Pd). Ma è uno scenario ancora tutto in divenire. Ad oggi, però, Maroni sembra il candidato più accreditato per la vittoria finale. Anche se, tra il dire e il fare, c’è di mezzo la volontà di Formigoni.

Twitter: @GiorgioVelardi

“Metodo Boffo” alla padana

mercoledì, luglio 27th, 2011

Nella calda estate del 2009 tenne banco il cosiddetto “metodo Boffo“, quello usato dall’allora direttore de Il Giornale Vittorio Feltri per screditare il parigrado di Avvenire, Dino Boffo. I documenti pubblicati sul quotidiano milanese, poi rivelatisi una bufala, ebbero un effetto devastante per l’attuale direttore di Tv 2000, che abbandonò la guida del quotidiano dei vescovi.

A due anni esatti da questa vicenda ecco spuntare quello che i giornali hanno già definito il “metodo Boffo in salsa padana“. Pare infatti che Monica Rizzi (Lega Nord), unica donna nella giunta lombarda di Formigoni e assessore allo Sport e ai Giovani, sia venuta in possesso di informazioni riservate (con la complicità di un maresciallo della Guardia di Finanza, Francesco Cerniglia), per favorire l’ascesa politica di Renzo Bossi, figlio del leader Umberto, tramite il possesso di notizie «sensibili» sugli avversari politici nel Carroccio.

Il tutto con la complicità di una “sensitiva” e titolare dell’agenzia investigativa Cagliostro, Adriana Sossi, sorella di un assessore di un piccolo comune del Bresciano e addetta alla rassegna stampa della Rizzi. Quest’ultima si difende («Sono nella Lega da 25 anni, festeggio le nozze d’argento. Se avessi saputo di dossier e simili porcate, me ne sarei andata un minuto dopo»), ma intanto la sua casa e il suo ufficio sono stati perquisiti dalla polizia giudiziaria. L’avvocato Diddi difende la sua assistita, mentre nessun commento è arrivato dal “Trota“.

Chissà se Renzo, dopo il Web 2.0, ci spiegherà com’è andata davvero.