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Affittopoli, dossier del M5S su Milano: “Oltre 200 milioni di euro di morosità, colpa di Moratti e Pisapia”

giovedì, febbraio 18th, 2016

È quanto emerge da un’indagine del consigliere comunale Mattia Calise. Durata due anni. “Per la quale ho ricevuto intimidazioni denunciate in Procura”. Nella lista, oltre ai privati, anche la sede di un partito di maggioranza. Che vanta debiti per 30 mila euro. La candidata sindaco Bedori: “Aprire un’inchiesta sui singoli casi”. Di Battista: “Con noi al governo stop a corruzione e malaffare”

di-battista-675Abita in una casa popolare, ma vanta un Isee da 76 mila euro e un patrimonio di due milioni fra titoli e depositi bancari. Poi c’è il caso di un moroso, con un’abitazione di proprietà a Cologno Monzese, che vive in una casa popolare e ha un Isee da 98 mila euro. Bazzecole rispetto ad un noto ristorante del centro che deve al Comune 500 mila euro di affitti non pagati. E, come se non bastasse, dopo aver ceduto il ramo d’azienda, ha riaperto i battenti in un altro locale. Sempre del Comune, ovviamente, lasciando in eredità un conto mai saldato di altri 200 mila euro. Non poteva mancare neppure la politica. Fra i morosi c’è infatti anche la sede di un partito di maggioranza che deve alle casse dell’amministrazione municipale circa 30 mila euro. Sono solo alcuni casi dell’Affittopoli milanese denunciata oggi alla Camera dei deputati dal Movimento 5 Stelle (M5S). Un buco da 204,4 milioni di euro. A tanto ammonta il totale degli affitti non pagati al Comune di Milano. Che, poco o niente, ha incassato da 21.246 contratti ad uso abitativo e altri 1.039 ad uso commerciale.

COLPE BIPARTISAN – A rendere noti i dati è stato il consigliere comunale milanese del M5S, Mattia Calise. Un’indagine “che abbiamo trasmesso alla procura di Milano – ha spiegato nel corso della conferenza stampa a Montecitorio – anche perché ho ricevuto delle intimidazioni che sono andato immediatamente a denunciare e su cui non posso dire altro”. Dagli accertamenti eseguiti negli ultimi due anni (tanto è durato il lavoro dell’esponente 5 Stelle) “abbiamo rilevato come ci siano molti soggetti che nelle case popolari non dovrebbero stare”, ha proseguito Calise, “mentre per molte famiglie che versano in condizioni di povertà il Comune ha previsto la procedura di sfratto”. Ma da quanto va avanti questa storia? “Dal 2006”, ha risposto il consigliere comunale grillino: “Vuol dire che il problema coinvolge, in maniera bipartisan, sia la precedente amministrazione di centrodestra guidata da Letizia Moratti sia quella uscente di centrosinistra con a capo Giuliano Pisapia”. Proprio così. Una circostanza che coinvolge direttamente anche i due attuali candidati sindaci di Partito democratico e Forza Italia, Giuseppe Sala e Stefano Parisi. Il primo, infatti, dal 2009 al 2010 è stato direttore generale del Comune di Milano; il secondo, invece, è stato city manager di Palazzo Marino dal 1997 al 2000, ai tempi di Gabriele Albertini. “Ci sono gravissime responsabilità sia di questa che della precedente amministrazione – ha attaccato a tal proposito Patrizia Bedori, candidata sindaco del M5S a Milano –. Dov’erano Sala e Parisi, come hanno controllato, cosa hanno fatto e quali provvedimenti hanno preso” negli anni passati ad amministrare la cosa pubblica? Perciò “chiediamo che l’assessorato apra un’inchiesta sui singoli casi – ha concluso – perché il bene comune deve essere tutelato ed è ciò che vogliamo fare”. A stretto giro è arrivata la risposta dell’amministrazione Pisapia. “Polverone da campagna elettorale”, lo ha bollato l’assessore alla Casa, Daniela Benelli, “basato su conti fantasiosi o male interpretati. E che strumentalmente – ha aggiunto – nulla dicono delle azioni che il Comune e il gestore, MM Spa, hanno già messo in atto o hanno tuttora in corso per il recupero delle morosità”.

FUORI I BILANCI – Nel corso dell’incontro con la stampa, inoltre, Alessandro Di Battista, deputato del M5S e membro del direttorio, ha parlato anche dell’arresto di Fabio Rizzi, consigliere regionale della Lega Nord e presidente della commissione Sanità. Nonché estensore della recente riforma del sistema sociosanitario lombardo. Uno dei ‘bracci destri’ del governatore Roberto Maroni. “C’è una corruzione diffusissima, non c’è differenza tra Roma e Milano, tra Maroni e Marino. Perché oggi Salvini non chiede le dimissioni di Maroni?”, ha domandato Di Battista. In Lombardia “si vada a elezioni, Maroni ha evidentemente fallito. Salvini si assuma le proprie responsabilità”. A Roma come a Milano, ha aggiunto il deputato grillino, “il M5S vuole candidare persone oneste, che portino avanti un programma, persone che sappiano controllare i bilanci, che non abbiano grandi aziende alle spalle che gli finanziano la campagna elettorale. Sala? Per me non è questo grande candidato: deve ancora farci vedere il bilancio di Expo…”. E ancora: “I romani sono liberi di scegliere: se vogliono la continuità ci sono Bertolaso e Marchini, se vogliono le strade piene di buche e senza illuminazione e una città senza posti agli asili si prendano Giachetti. Se gli va bene il livello di sicurezza che c’è ora nelle periferie, se gli va bene ‘Affittopoli’ confermino il Pd. Se invece sceglieranno M5S – ha concluso Di Battista – saranno sicuri che contro il malaffare e la corruzione noi entreremo sempre a gamba tesa”.

Twitter: @GiorgioVelardi

(Articolo scritto il 16 febbraio 2016 per ilfattoquotidiano.it)

Scacco matto al Pirellone – da “Il Punto” del 26/10/2012

giovedì, novembre 1st, 2012

Viaggio fra i gazebo che hanno animato Milano lo scorso weekend. I militanti del Carroccio vogliono andare al voto ad aprile, auspicano che Roberto Maroni sia il nuovo governatore della Regione e dicono basta all’alleanza col Pdl: «Meglio perdere ma conservare l’onore»

«Speriamo ci sia il sole», si auguravano i leghisti duri e puri in vista della “gazebata” dello scorso fine settimana. E il sole c’era. Compreso quello “delle Alpi”, presente sulle bandiere che i militanti hanno posizionato con estrema cura negli oltre 1.600 punti di ritrovo che hanno “invaso” la Lombardia. La Regione che è stata, per quasi un ventennio, nelle mani di Roberto Formigoni. Ora che il cielo sopra la testa del “Celeste” è diventato nero, però, la Lega 2.0 si candida per la cabina di regia del Pirellone. Non sarà facile. Lo scontro in corso nelle ultime settimane fra il governatore uscente e i vertici del Carroccio si fa sempre più aspro: Formigoni non ci sta a passare la mano ad un leghista. Tanto che su Twitter, sabato, scriveva: «A Varese il Pdl ha offerto mele, un prodotto che dà forza, la Lega camomilla, un composto che dà sonnolenza». Commento all’ironica iniziativa di un gruppo di militanti leghisti che durante il comizio del presidente – contestato da una decina di attivisti della Fiamma tricolore – hanno girato portando fra le braccia un’enorme tazza di camomilla. Fra i gazebo, però, la base è sicura: «È il nostro momento, Maroni può essere il nuovo Formentini». Poi c’è chi si sfoga: «Basta andare a braccetto con il Pdl, meglio perdere ma conservare l’onore».

L’ORA DI “BOBO” - «Ai gazebo!», titolava la Padania (organo ufficiale del Carroccio) nel primo dei due giorni della “gazebata”. La Lega ha raccolto le firme per tre leggi di iniziativa popolare. La prima proposta: trattenere sulle Regioni del Nord il 75 per cento delle tasse. La seconda: indire un referendum per «un’Europa fondata sui popoli e le regioni, con l’adesione all’euro limitata a chi rispetta il pareggio di bilancio». La terza: introdurre l’ammissibilità di referendum abrogativi sulle leggi tributarie e di ratifica dei trattati internazionali. Ma l’aspetto più importante ha riguardato il futuro della Lombardia. «Quando volete votare e soprattutto chi pensate debba essere il nostro candidato?», si domandava a militanti e non. Le risposte (tante, 200mila solo nel primo giorno) sono state scontate: «ad aprile (e non a dicembre, come ripete Formigoni, ndr) e con “Bobo” Maroni a rappresentarci». Lo zoccolo duro del partito la pensa così. Come Pierluigi Crola, 55 anni, da 26 nella Lega, per cui è stato consigliere comunale (1990) e provinciale (dal 1991 al ’95). Lo incontriamo al gazebo di Piazza Loreto. È sicuro, Pierluigi, che «la seconda Lega» debba essere «la continuazione della prima, perché gli obiettivi sono gli stessi di sempre, fra cui l’indipendenza». E che «con il Pdl io non ci voglio più andare. Ma è un’opinione personale. Lo scriva, mi raccomando» (non sarà comunque il solo a pensarla così). Insieme a lui c’è Ferdinando. Si definisce «un leghista meridionale, perché vengo da Molinara, in provincia di Benevento. E proprio per questo dico: noi non vediamo il Sud come una zavorra così, per caso, ma perché diciamo da tempo che in certe zone bisogna cambiare mentalità. Basta “padrini”, bisogna rimboccarsi le maniche. E attenti – tuona – che la fame non è ancora arrivata nei piatti degli italiani». Roberto (66) si trova invece a Piazzale Oberdan. Si domanda (dopo aver sentenziato che «Formigoni ha superato i limiti»): «Possibile che il “Celeste” non si sia mai accorto di ciò che accadeva? Che governatore è?». Per lui il segretario del Carroccio può prendere i voti anche da chi non ha mai votato la Lega. Persino «quelli dei moderati – azzarda –. Se lo ricorda lei Formentini? Ecco, Maroni può ripetere quell’esperienza lì». Era il 1993 quando si aprì una parentesi che durò l’arco di una legislatura. Marco Formentini, ex socialista, vinse le elezioni e divenne il primo (e finora unico) sindaco di Milano leghista. Un’esperienza positiva a metà, visto che solo sei anni dopo l’ex primo cittadino lasciò la Lega, di cui non condivideva più buona parte dei valori. Con Maroni, leghista della prima ora che ha “ripulito” il partito a colpi di ramazza, sarebbe certamente un’altra storia.

«CORRIAMO DA SOLI» - Venerdì 19 ottobre, vigilia della “gazebata”, la Procura della Repubblica di Monza ha notificato un avviso di garanzia per corruzione (nell’ambito di un’inchiesta per tangenti) a Sandro Sisler, coordinatore provinciale del Pdl a Milano. Gli inquirenti indagano da luglio su un sistema di tangenti nel Comune di Carate Brianza, di cui Sisler è stato assessore all’urbanistica. È l’ennesima brutta storia che colpisce la Lombardia. E che arriva a soli dieci giorni di distanza dall’arresto dell’assessore alla Casa della Regione Domenico Zambetti (Pdl), accusato di essere stato eletto con i voti della ‘ndrangheta – cui avrebbe versato 200mila euro in cambio di 4000 preferenze – e 15esimo indagato del consiglio regionale lombardo. Formigoni compreso. «Questa è gente che ha prodotto risultati scarsi, per non dire nulli. Diciamo basta all’alleanza col Pdl: meglio perdere ma conservare l’onore che vincere con questi qua», dice Gianni, che da Piazza Wagner rivendica di essere stato «uno di quelli che la Lega l’ha fondata». Anche lui ce l’ha con Monti, come buona parte dei militanti leghisti. «Questo governo ha solo aumentato le tasse ma non ha affrontato i problemi reali del Paese. L’Imu è stata una sassata – continua –, quest’anno le tredicesime se ne andranno per pagare le imposte. Di questo passo l’economia non ripartirà mai. La gente pensa che la soluzione sia Grillo. Che potrebbe vincere sì, ma per disperazione: leggere il suo blog fa paura». Volente o meno, Gianni mette sul piatto uno dei temi caldi al centro della discussione: l’alleanza con il Popolo della Libertà. O di quel che ne rimane. Perché se Maroni dichiara che questa «va salvata», buona parte del suo popolo la pensa all’opposto. Maria Agnese, 56 anni, disoccupata, è chiara: «Io ho sempre votato Lega. Ho smesso da quando abbiamo iniziato ad andare a braccetto con Berlusconi. Al segretario dico: stacchiamoci, andiamo da soli, altrimenti riperdiamo un’altra volta. Le posso assicurare – conclude – che il mio è un pensiero radicato». «Con il Pdl in Lombardia si è governato bene, ma prima di tornare al voto ci sono delle questioni da risolvere, prime fra tutte l’approvazione del bilancio e la riforma della legge elettorale», afferma dal gazebo di Via Washington l’assessore provinciale Stefano Bolognini, che non teme un nuovo effetto-Pisapia: «Il rischio è basso, ma vincere è tutt’altro che scontato».

“IL MATTEO” (SALVINI)  - Sarà anche bassa, ma la possibilità che si ripeta quanto accaduto alle Amministrative dello scorso anno (quando Giuliano Pisapia conquistò Milano a spese di Letizia Moratti) c’è. «A noi si è ingrossato il fegato a furia di dire a Berlusconi che la Moratti proprio non la volevamo, e abbiamo perso. Ma dopo un anno di amministrazione Pisapia la gente si sta ricredendo», rivela Roberto. «Qualsiasi altra persona avessero candidato al posto della Moratti – gli fa eco Gianni – Pisapia non avrebbe mai vinto». E chissà che quella «qualsiasi altra persona» non sarebbe potuta essere Matteo Salvini. “Il Matteo”, come lo chiama Bruno Baldi, uno che nel 2003 è finito nella lista dei 170 «grandi» della Padania, e che da queste parti è un’istituzione. Il segretario nazionale della Lega Lombarda arriva alle 16.00 al gazebo di Largo Cairoli. Si arma di megafono e chiama a raccolta i passanti: «Noi siamo per Maroni, ma potete anche votare Formigoni. Non sono le primarie del Pd, qui si vota gratis!». Gli si avvicina un signore sulla 50ina: «Io sono siciliano, ma voto per te perché sei bravo». Un altro gli da un consiglio: «Quando vai in televisione non ti far mai mettere i piedi in testa da nessuno, te capì?». Lui vota per Maroni, rifornisce di volantini alcuni militanti e il neo capogruppo in consiglio comunale Alessandro Morelli («Tieni Ale, datti da fare», gli dice scherzando), poi prende di nuovo il megafono e ricomincia. Salvini è il volto di una Lega che è riuscita a rinnovarsi dopo gli scandali, quella che ha “salutato” Bossi, per tutti ormai «un padre putativo». Una politica che sta pagando, almeno al Nord. Tanto che un recente sondaggio commissionato dal Carroccio alla Swg di Roberto Weber vede, in Lombardia, Lega e centrosinistra insieme al 22 per cento, con il Pdl sprofondato a 13. Ma a far sorridere Maroni è la percentuale di lombardi che lo vorrebbero presidente di Regione: 30 per cento. Dietro di lui ci sono l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini (11 per cento), prima scelta di Formigoni – anche se «non ho ricevuto alcuna richiesta dal Pdl, il partito non si è ancora pronunciato sulla mia candidatura in Lombardia», dice il diretto interessato –, Salvini (8) e Formigoni (3). A sinistra c’è invece grande incertezza. Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, l’avvocato assassinato nel luglio del 1979 per volontà di Michele Sindona, ha rinunciato alla candidatura. Fortemente spalleggiato da Pisapia, Ambrosoli ha però spiegato che «servire la collettività, vivere la responsabilità politica, è la più nobile delle ambizioni. Ringrazio quanti mi ritengono all’altezza, ma ho troppo poco tempo a disposizione per costruire un progetto e un programma per la Lombardia». A circolare, almeno ufficiosamente, ci sono fra gli altri i nomi di Bruno Tabacci (Api) e Giuseppe “Pippo” Civati (Pd). Ma è uno scenario ancora tutto in divenire. Ad oggi, però, Maroni sembra il candidato più accreditato per la vittoria finale. Anche se, tra il dire e il fare, c’è di mezzo la volontà di Formigoni.

Twitter: @GiorgioVelardi

Effetto boomerang

giovedì, maggio 12th, 2011

Tutti i quotidiani, giovedì mattina, aprivano con la querelle fra Letizia Moratti e Giuliano Pisapia durante il faccia a faccia televisivo a “Sky Tg24“. Sul finire del dibattito, come saprete, il sindaco uscente ha accusato lo sfidante di essere stato condannato per il furto di un veicolo, prima che il reato fosse amnistiato, mentre Pisapia (rifiutandosi di stringere la mano alla Moratti) ha annunciato la querela (guarda il video).

La verità sta nel mezzo, e il perchè presto detto. Nei cosiddetti “anni di piombo“, Pisapia è stato membro del “Collettivo” studentesco della libreria di via Decembrio a Milano, gruppo legato ai terroristi di “Prima Linea“. Il furgone a cui ha fatto riferimento la Moratti venne rubato da Massimiliano Barbieri, Roberto Sandalo e Marco Donat Cattin (figlio dell’esponente della Dc Carlo) il 19 settembre 1978, e doveva servire per il rapimento di William Sisti, capo del servizio d’ordine del “Movimento lavoratori per il socialismo“. Barbieri venne arrestato, e due anni dopo insieme ai due suoi compagni parlò del piano andato poi a vuoto. Sul ruoto di Pisapia i tre diedero versioni contrastanti, ma nel 1980 l’attuale candidato sindaco di Milano venne arrestato con le accuse di partecipazione alla banda armata “Prima Linea” e concorso morale nel furto del furgone. Restò 4 mesi in carcere, poi venne prosciolto per la banda armata e rinviato a giudizio in Corte d’Assise per l’altro reato. La vicenda si concluse con un’amnistia, ma la Corte aggiunse che “nei confronti di Pisapia poteva essere emessa solamente una pronuncia di assoluzione per insufficienza di prove“. Pisapia rinunciò all’amnistia e fece ricorso alla Corte d’Assise d’Appello, che lo assolse nel merito (anno 1986). Questa seconda parte la Moratti l’ha dimenticata. Peccato che sia quella maggiormente rilevante. Poi se vogliamo discutere del fatto che il suo rivale ha un passato non certo tranquillo (“Prima Linea“, formazione seconda solo alle “Brigate Rosse“, ha ucciso in quegli anni 23 persone) è un altro discorso, che (forse) dovrebbe essere affrontato.

L’attacco della Moratti a Pisapia rischia quindi di trasformarsi in un boomerang: i sondaggi la danno in vantaggio, ma chissà che questa vicenda non si tramuti in un clamoroso autogol, malgrado l’appoggio ricevuto dal Presidente del Consiglio Berlusconi. La Lega si è dissociata (e non è la prima volta nell’ultimo periodo), e pare che alcuni membri dello staff del sindaco non sapessero nulla di questo coniglio tenuto maldestramente nel cilindro fino alla fine. Che avvenga quello che la comunicazione politica chiama “Underdog effect“, cioè la corsa a votare il candidato che è sfavorito nei sondaggi? Da ieri è più probabile che ciò accada.