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Elezioni presidenziali in Francia, lepenisti d’Italia delusi ma non troppo

lunedì, maggio 8th, 2017

Matteo_Salvini_-_Trento_2015Comprensibilmente delusi, ma pronti a capitalizzare pro domo loro quello che considerano comunque un risultato “straordinario”. I lepenisti d’Italia – da Matteo Salvini e Giorgia Meloni fino a Gianni Alemanno e Francesco Storace – hanno seguito con grande attenzione le notizie che arrivavano dalla Francia. La vittoria del centrista Emmanuel Macron era scontata, ma il 34 per cento circa raccolto dalla leader del Front National ringalluzzisce a suo modo il fronte sovranista di casa nostra. “Grazie Marine Le Pen – twitta il segretario della Lega – chi lotta non perde mai”. E anche la presidente di Fratelli d’Italia gioca in contropiede. “In Francia ha vinto la paura di ribellarsi allo status quo, la paura di tornare padroni delle proprie scelte – ha scritto l’ex ministra della Gioventù su Facebook -. I francesi hanno scelto il volto rassicurante del candidato del sistema” ma il dato raccolto dalla Le Pen “resta straordinario” e “sarà la base sulla quale nascerà il nuovo movimento sovranista francese”.

Per seguire lo spoglio Alemanno e Storace, rispettivamente segretario e presidente del Movimento nazionale per la sovranità, hanno invece riunito i militanti in un noto ristorante della Capitale. Nonostante la sconfitta, dicono l’ex sindaco di Roma e l’ex governatore del Lazio, il risultato della Le Pen “è un monito per il Centrodestra italiano a ritrovare l’unità partendo dalle idee sovraniste”. Linea sulla quale Forza Italia, che si era schierata col repubblicano François Fillon, sembra al momento non concordare pienamente (salvo rare eccezioni come Daniela Santanché). Berlusconi ha chiarito, in un’intervista a La Stampa, che “la signora Le Pen è portatrice di valori e di una cultura che non sono le nostre, anche se rappresentano sensibilità e stati d’animo diffusi in larghi strati della popolazione, non solo in Francia ma in tutta l’Europa”. E anche sull’euro, che Salvini e gli altri vorrebbero abbandonare, “la nostra soluzione, sostenuta da molti validi economisti, prevede il suo mantenimento soprattutto per le esportazioni e le importazioni e il recupero parziale della nostra sovranità monetaria con l’emissione di una seconda moneta nazionale, con tutti i vantaggi che questo comporterebbe”, ha messo ancora a verbale il Cavaliere.

Per Alemanno però i margini per costruire un percorso comune ci sono. I pilastri su cui deve fondarsi quello che l’ex primo cittadino, parlando con La Notizia, definisce un “sovranismo responsabile e di Governo” sono “l’interesse nazionale e l’uscita dalla crisi economica”. L’ultimo Governo Berlusconi – ricorda ancora Alemanno – “è stato destituito da un colpo di Stato di Bruxelles e Quirinale”, quindi “senza cedere” il Centrodestra deve portare avanti una “battaglia con l’Europa” e con “una Germania che non è disposta a fare compromessi ma che va affrontata a viso aperto”. Certo, “puntare all’unità è l’obiettivo, ma non deve essere un obbligo. Ci vuole coerenza. Berlusconi? Sa anche lui che l’accordo con Renzi è sconveniente oltreché impraticabile: si rischia di consegnare la vittoria nelle mani dei 5 Stelle”. Insomma, trovare la quadra non sarà cosa facile. Tutto starà alla reale volontà degli attori in scena. Vedremo.

Articolo scritto l’8 maggio 2017 per La Notizia

«Pronto a rilanciare il Lazio» – da “Il Punto” del 14/12/2012

mercoledì, dicembre 19th, 2012

Il segretario de La Destra Francesco Storace lancia la sua candidatura alla Regione. «Diamo vita ad un centrodestra unitario, evitiamo gli errori del passato. Io e la Polverini contro? Solo senza un’alleanza comune, ma sarebbe una pazzia. Punterò su sanità, economia e agricoltura»

Il leader de La Destra si candida alla guida della Regione LazioFrancesco Storace è pronto a rilanciare la Regione Lazio. Non sarebbe la prima volta, visto che il segretario de La Destra ha già ricoperto l’incarico di governatore dal 2000 al 2005. «Però stavolta serve la volontà di creare un centrodestra unitario, evitiamo di ripetere l’esperienza siciliana», dice lui dal suo ufficio della Pisana all’indomani della manifestazione di domenica a Roma, che ha mobilitato quasi duemila sostenitori.

Storace, lei ha lanciato la sua candidatura alla guida della Regione Lazio. È pronto? 

«Sì, e sono molto rispettoso delle scelte che dovremo fare come centrodestra. Spero che quest’ultimo si manifesti, ciò vale sia a livello locale che nazionale. Non ho intenzione di ripetere l’esperienza siciliana, dalla quale abbiamo capito che schierando due candidati si va incontro alla sconfitta. Se si decide di creare uno schieramento unitario e c’è un candidato che è più accreditato di me nei sondaggi ne parliamo, altrimenti ognuno fa la sua corsa. Scegliendo una “scartoffia” la sinistra vince».

Lei ha definito Renata Polverini «una combattente che tutti devono rispettare». Eppure la ex governatrice, che nei giorni della bufera disse che «sicuramente » non avrebbe più governato il Lazio, pare stia pensando al “ritorno in campo”. Da alleati a possibili sfidanti? 

«Si tratta di uno scenario che potrebbe manifestarsi senza un’alleanza unitaria, ma sarebbe una pazzia. La Polverini va rispettata, non trovo giusto quanto si dice di lei nei corridoi della Pisana. Però non credo che attualmente sia messa meglio nei sondaggi. Io le dissi che la cosa più giusta, una volta rassegnate le dimissioni, sarebbe stata quella di indire subito le elezioni proponendo la sua candidatura. Lei mi rispose che non voleva più sentir parlare della Regione…».

In caso di successo da dove ripartirebbe il Lazio di Storace? 

«Dalla sobrietà in politica. Vede, il problema non sono solo le auto blu. Ad esem pio bisogna intervenire sugli enti e sulle società della rete. Personalmente, ricondurrei la responsabilità di gestione ad un amministratore unico in modo che sia più facile operare un controllo. Non serve una pletora di persone che accontenti o scontenti il politico che le ha segnalate».

Poi c’è la questione della sanità… 

«Insieme al sociale, all’economia e al rapporto con l’Europa. Per quanto riguarda la sanità va operata una netta inversione di tendenza. Io mi pongo il problema del risparmio, anche se è una follia pensare che la salute sia un costo e non un diritto. Oggi però il peso della spesa ospedaliera grava sulla Regione. Noi dobbiamo fare in modo che sul territorio il cittadino trovi lo strumento sanitario che eviti il ricorso alla cura ospedaliera. Si metterebbe in moto un meccanismo virtuoso che garantirebbe un abbattimento dei costi. Prima di essere “azzoppato” dal Lazio-gate proposi il piano per l’apertura di 100 ambulatori sul territorio. Quello del disavanzo è stato un problema comune a tutti i governatori che si sono succeduti in questi anni, da Badaloni alla Polverini. Ora è arrivato il momento di dire basta alle polemiche e di costruire la sanità di domani. E poi punterei molto sull’agricoltura…».

Perché? 

«Perché va rimessa in moto, e non escludo di ragionare su una delega presidenziale in tal senso. L’investimento nel campo dell’agricoltura è proficuo: ha un costo minore rispetto ad altri campi e garantisce vantaggi maggiori. Ci sono, infine, la cultura e il turismo. Settori che, con l’oculato utilizzo dei fondi europei, possono essere un volano importante per la ripresa».

Sia lei che Teodoro Buontempo, nella convention di domenica scorsa a Roma, avete parlato con toni non certo esaltanti dei vostri ex colleghi di An. Cosa pensa dell’atteggiamento che continuano a tenere i vari Gasparri, La Russa, Matteoli…? Pare che uno dei tre, ma non le dico chi, non sia molto contento della sua candidatura…

«Noi dobbiamo fare contenti i cittadini, non i partiti. È ovvio che ci possano essere delle preferenze, ma noi non vogliamo dare vita ad un centrodestra choosy. Domenica, alla nostra manifestazione, c’erano entusiasmo e passione per la ricerca di un punto di riferimento. È inutile starsi ad attardare. Il discorso di Buontempo è stato molto duro: noi pretendiamo rispetto per chi ha fatto per cinque anni una traversata nel deserto, andando contro chi oggi si sta invece interrogando sulla propria rifondazione. Se si vuole ricostruire un centrodestra vero ci deve essere la convergenza di tutti, nessuno escluso».

L’unica che si batte per cambiare le cose è Giorgia Meloni… 

«È curioso che chi sta nel Pdl pensi ad altro, magari sostenendo ancora Berlusconi. Se uno esce dal partito perché il Cavaliere torna in campo poi non può creare una lista satellite che lo appoggi. Sarebbe un controsenso. Noi siamo più liberi di decidere se sostenere o meno Berlusconi, dipende dalle idee e dai programmi. Credo comunque che il percorso di Giorgia sia molto più coerente rispetto a quello di La Russa e Gasparri. A me lei piace molto come soggetto politico: mi permetto di suggerirle un approccio meno pesante nei confronti del leader del Pdl perché lei potrebbe essere un’alternativa importante alla sinistra nei prossimi anni».

Nel frattempo, dopo le critiche aspre, sembra essere tornato il sereno fra lei e Alemanno. «Storace è una persona con cui mi auguro si possano trovare le convergenze programmatiche e politiche sia al Comune che alla Regione», ha fatto sapere il sindaco di Roma… 

«Ad Alemanno chiedo che le cose cambino prima di tutto in termini di contenuti. Si riuscirà a trovare la quadra? Lo vedremo. Se ci sarà la buona volontà gli ostacoli saranno superati, altrimenti si resterà così come si è adesso. A differenza di altri io non sono ossessionato dal potere. Sono stato presidente di Regione e ministro della Sanità, ma una volta lasciati gli incarichi non ho perso tempo a piangere. Ho ricominciato dal territorio e la gente mi ha votato. Questa è la cosa di cui vado più fiero».

Ultima domanda: Berlusconi fa bene a ricandidarsi? 

«Aspettiamo di capire bene cosa vuole fare veramente, la politica ci ha abituati a continui colpi di scena. Però viene da domandarsi quale sia l’alternativa. Nel Pdl il dopo-Berlusconi può essere deciso solo con il consenso del Cavaliere».

Twitter: @mercantenotizie

I soldi o lo sfratto

martedì, settembre 4th, 2012

L’Ente di previdenza per gli impiegati in agricoltura sta avviando procedure di sfratto per i condomini che abitano in stabili di sua proprietà. Motivo: l’opposizione al rinnovo dei contratti di locazione, lievitati del 90% rispetto al precedente accordo. E c’è un “giallo” sui suoi bilanci 

«Vuoi sapere cosa ci hanno detto i loro avvocati nell’ultimo incontro di “mediazione”? Che l’unica concessione che ci possono fare è una rateizzazione in 36 mesi degli arretrati – pure quelli – che dobbiamo pagare. C’è chi deve dargli 10mila euro, e chi 40mila. Ti sembra normale, in un periodo come questo?». A porci queste domande è Giovanna Arcangeli, presidente del Comitato Spontaneo degli inquilini di via Primo Carnera 21, a Roma. Stabile di proprietà dell’Enpaia, l’Ente nazionale di previdenza per gli addetti e per gli impiegati in agricoltura. Una delle tante casse presenti nel nostro Paese, che si trovano a gestire un patrimonio immobiliare di non poco conto: circa 120mila unità, di cui 90mila ad uso abitativo (il 60 per cento è situato nella Capitale). Ma quello dell’Enpaia è un caso a parte, visto che ora molti inquilini degli stabili in suo possesso (tredici) rischiano lo sfratto. Il motivo: l’opposizione al rinnovo del canone di locazione, scaduto a fine 2009, e lievitato dell’80-90 per cento rispetto al precedente accordo (malgrado si tratti di Edilizia economica e popolare). Un aggravio di costi impossibile da sostenere, viste le condizioni in cui versa buona parte dei condomini dei palazzi in questione.

GLI STABILI - Nata nel lontano 1936 come CNAIAF (Cassa nazionale di assistenza per gli impiegati agricoli e forestali), l’Enpaia assume tale denominazione del 1962. Come altri enti previdenziali pubblici, essa fu investita di una funzione sociale ben precisa: quella di risolvere il “problema casa” attraverso la destinazione di una quota significativa dei Fondi per l’acquisto di beni immobili, secondo piani di investimenti sottoposti all’esame e all’approvazione dei Ministeri vigilanti. Immobili che dovevano essere ad uso residenziale ed in favore della classi sociali disagiate. Quello di via Primo Carnera, di cui ci siamo interessati, ha alle spalle una storia su cui si potrebbe redigere un libro. La perizia dell’architetto Francesco Pellegrini ne ha ricostruito le vicende, partendo da un presupposto: lo stabile venne edificato su un’area destinata all’Edilizia economica e popolare (legge n. 167 del 18 aprile 1962) dalla Cooperativa Roma 70 (di stampo democristiano), che aveva a sua volta acquistato l’area stessa dalla Comprensorio Piano di Zona 39 Spa. Il 9 giugno 1984 il Comune di Roma rilascia la Concessione per l’esecuzione dei lavori di un «complesso edilizio». La Soprintendenza della Capitale, il 12 aprile dello stesso anno, aveva però chiesto che fossero apportate delle modifiche al progetto, «al fine di garantire una più idonea tutela della zona archeologica monumentale compresa nel comparto in oggetto». La Cooperativa – fatto singolare – presenta però una «Copia del visto della Soprintendenza» solo quattro giorni dopo (16 aprile). Dunque la Concessione non godeva del nulla osta necessario. Andiamo avanti. Lo stabile in questione viene poi venduto a Nulvi Srl – e non a Parsitalia Spa, una delle potenze immobiliaristiche della Capitale, che si dice disposta a cedere il proprio contratto preliminare di acquisto –, che a sua volta destina tutto ad Enpaia in meno di un anno. Quest’ultima, malgrado nell’articolo 1 del suo Statuto asserisce di essere una Fondazione «senza scopo di lucro», non rende noto il regime di 167 e affitta gli appartamenti a prezzo di mercato. Prima di arrivare due anni fa, come abbiamo visto, ad un aumento del canone di locazione dell’80-90 per cento e a chiedere anche gli arretrati ai suoi inquilini. Nel corso degli anni Enpaia è diventata prima Fondazione privata (legge n. 509 del 30 giugno 1994), ma non ha dismesso entro cinque anni il proprio patrimonio immobiliare come previsto dalla norma – «Non ci sono sanzioni stabilite dalla legge nel caso di mancata dismissione del patrimonio», ci dice l’avvocato Giuseppe Dante, legale degli inquilini –, e poi ente pubblico, secondo quanto deciso dal governo Monti con una legge approvata ad aprile. I contratti di locazione degli stabili sono stati rinnovati tramite un accordo fra i sindacati e l’Enpaia che, a detta degli inquilini, è stato approvato senza il loro consenso. Anche perché difficilmente, di fronte a simili condizioni, qualcuno avrebbe detto «Sì». Segue una domanda: come hanno fatto le parti sociali – Sunia, Uniat, Sicet, Federcasa, Confedilia e Unione Inquilini (che ha successivamente ritirato la firma) –  a sottoscrivere un accordo di questo genere? Semplice: nel Cda di Enpaia, nominato per il quadriennio 2009/2013, ci sono alcuni segretari nazionali di sigle sindacali. Diverse da quelle citate poc’anzi, certo, ma si tratta comunque di un fatto singolare, visto l’accaduto. Oggi nella cabina di comando di Enpaia ci sono Carlo Siciliani e Gabriele Mori, rispettivamente Presidente e Direttore generale dell’Ente. Siciliani, componente della giunta esecutiva di Confagricoltura, è stato anche presidente del Patronato Enapa (Ente Nazionale Assistenza Patrocinio Agricoltori). Mori, invece, ha un passato nella Dc e nell’Inps, ed è stato commissario straordinario dell’Enpals. Non solo: ha ricoperto anche la carica direttore generale di Agrifondo, di Consigliere Comunale e di Assessore al Comune di Roma. Attualmente è pure sindaco di Grottaferrata, comune alle porte di Roma.

IL “GIALLO” DEI BILANCI - Domanda: in che modo l’Enpaia giustifica l’aumento del canone di locazione agli inquilini dei suoi stabili? Risposta: «La garanzia dei diritti dei lavoratori iscritti è conseguita con la redditività degli investimenti mobiliari ed immobiliari». Ciò farebbe pensare che le casse dell’Ente siano in rosso. E invece, stando a quanto si legge nei bilanci che la Fondazione ha pubblicato sul proprio sito Internet (e di cui si parla anche su Previdenza Agricola, il magazine dell’Enpaia) non è così. Nel consuntivo 2011, infatti, è scritto che «nonostante il problematico contesto generale, la Fondazione ha chiuso in utile l’esercizio e presenta una situazione finanziaria tranquilla e con risorse accumulate tali da garantire appieno i diritti previdenziali degli iscritti (…). L’anno si è quindi chiuso, dopo le imposte e gli accantonamenti ai Fondi di riserva, con un utile netto di 1,2 milioni di euro». Questo, invece, quanto dichiarato nel previsionale dell’anno in corso: «I dati del bilancio per il 2012 mettono in evidenza un utile di euro 97.648 dopo aver previsto accantonamenti ai diversi fondi esistenti per complessivamente euro 153.090.944». Ma intorno al nodo dei bilanci c’è un vero e proprio “giallo”. Per spiegarne il motivo va necessariamente fatto un preambolo. Prima del suo fallimento, gli enti previdenziali hanno investito 124 milioni di euro in azioni Lehman Brothers, la banca d’affari finita in bancarotta nel settembre 2008. L’Enpaia, come riporta “L’indagine conoscitiva sulla situazione economico-finanziaria delle casse privatizzate anche in relazione alla crisi dei mercati internazionali” (novembre 2008), è «la Cassa con l’esposizione diretta più significativa in termini assoluti verso Lehman Brothers». Gli investimenti, si legge nel documento, sono «per 45 milioni di euro. La perdita è stata di 36 milioni di euro (70 per cento del valore del titolo) che l’Ente ha portato nel bilancio del 2008 e ripianato con i fondi di riserva». In questo contesto è interessante leggere due audizioni dinanzi la “Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forma obbligatorie di previdenza e assistenza sociale”, a cui hanno partecipato Siciliani e Mori. In quella del 14 aprile 2010, a specifica domanda del presidente di Commissione Giorgio Jannone (Pdl) – «In quale occasione erano stati acquistati questi titoli?» – Mori risponde: «Voglio ricordare che i titoli della Lehman Brothers avevano il rating A3, più dello Stato Italiano. Pertanto – prosegue il direttore generale dell’Enpaia – mi ha sempre fortemente sorpreso il polverone sollevato rispetto ai titoli Lehman Brothers». Il termine «polverone» fa infuriare Elio Lannutti, senatore dell’Idv, che tuona contro Mori: «Non si permetta di dire che si è trattato di un polverone». L’esponente del partito di Di Pietro e Jannone sottolineano poi che malgrado quanto affermato da Mori, secondo cui l’Enpaia ha «fatto fronte alla perdita con i fondi di riserva, quindi il bilancio dell’ente non ne ha assolutamente risentito», le perdite ci sono state «anche se sono state ammortizzate con qualche voce di bilancio». Siciliani, che prende le difese del collega, dice che «la lingua italiana è bizzarra…» (in riferimento alla parola «polverone»), aggiungendo che è «presidente da poco», ma che ha «seguito molte trasmissioni televisive sulla vicenda» (sic!). Nell’altra audizione, datata 21 marzo 2012, si parla proprio della questione del rinnovo dei contratti di locazione. «L’unico nostro grande intervento – dice Mori – è stato quello di sottoscrivere con i sindacati degli inquilini il rinnovo dei contratti agevolati; tali contratti hanno raggiunto un livello di costo inferiore del 30 per cento rispetto al mercato (…). Proprio perché abbiamo la finalità di garantire i diritti dei lavoratori iscritti all’ente, dobbiamo anche avviare delle procedure – se volete forzose – per coloro che non intendono sottoscrivere i contratti». Dunque: Mori dichiara che i contratti sono agevolati, ma dovrebbe spiegare per quale motivo ci sono degli inquilini (lo leggerete più avanti) che arrivano a pagare 1.200 euro di affitto in regime di P.E.E.P. (Piano per l’Edilizia Economico Popolare); e aggiunge che tali accordi «prevedono interventi particolari di canone per i casi sociali che vengono dimostrati». «Cosa che non è assolutamente vera», affermano in coro gli inquilini. Infine: nella stessa sede, Jannone e Lannutti tornano a chiedere ai due dirigenti dell’Enpaia una relazione che illustri la situazione finanziaria dell’Ente, che faccia luce anche sulla retribuzione dei suoi organi collegiali. Relazione che, stando a quanto affermato dai due Onorevoli – che Il Punto ha contattato – non è ancora arrivata sul tavolo della Commissione.

«NOI COMBATTIAMO» - Abbiamo incontrato alcuni condomini dello stabile di via Primo Carnera 21 lo scorso 14 giugno, presso la sede dell’undicesimo Municipio di Roma. Le loro testimonianze, che potete vedere ed ascoltare collegandovi al sito del settimanale Il Punto (www.ilpuntontc.com), pongono l’accento su alcuni aspetti controversi della vicenda. Il signor Daniele, invalido al cento per cento e con moglie e figli a carico, ci ha raccontato che «nello stabile ci sono molti problemi con l’acqua. Da quanto è stato aperto l’Ospedale Santa Lucia, a noi ne arriva di meno. I più “colpiti” sono gli inquilini del settimo e dell’ottavo piano. Spesso non possiamo utilizzare la lavatrice per lavare i panni, o abbiamo problemi se vogliamo fare una doccia». Massimo, invece, è un genitore separato. Non ha perso la forza di combattere «per la mia ex moglie e per i miei due figli. Uno dei quali è invalido al cento per cento, è un bambino autistico. Economicamente la situazione è molto difficile – ci racconta –. Io lavoro in un’azienda che è sistematicamente sull’orlo della cassa integrazione, mentre la mia ex moglie è un’impiegata pubblica. Mio figlio necessita di un’assistenza più che continua, e le spese non sono totalmente coperte dalle istituzioni. Se oggi non sei un libero professionista, difficilmente riesci a gestire una situazione simile. A quanto ammonta il canone di locazione? Circa 1.200 euro al mese». «Io vivo qui dal dicembre del 1987», ci dice la signora Linda, dipendente del Comune di Roma. «Sono separata e ho avuto seri problemi di salute: sono anch’io invalida. Quella che mi trovo a percorrere è una strada in salita. Oggi come oggi non posso permettermi di pagare 800 euro al mese di affitto, a meno che – dice provocatoriamente – la soluzione non sia quella di andare a mangiare alla Caritas. Quando ciò accadrà andrò all’Enpaia: voglio sentire quale sarà la risposta dei dirigenti. Mi auguro che chi di dovere si metta una mano sulla coscienza. Nella speranza che ce l’abbiano». Il 19 giugno, il Sindaco di Roma Gianni Alemanno ha scritto al prefetto Giuseppe Pecoraro e al questore Fulvio Della Rocca a proposito degli sfratti in corso nelle abitazioni di proprietà degli enti previdenziali, fra cui l’Enpaia. Parlando di un «aggravamento dell’emergenza abitativa per tutti i soggetti a basso reddito, che si trovano nella condizione di non poter gestire il rinnovo dei contratti del canone di locazione», Alemanno ha proposto l’apertura di un tavolo per trovare una soluzione. Ma forse ora potrebbe essere troppo tardi.

Twitter: @GiorgioVelardi