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Cybersecurity, Renato Farina, alias Betulla, sponsorizza la nomina di Marco Carrai: “E’ di Cl come me”

mercoledì, gennaio 27th, 2016

“Non posso rilasciare interviste ma non smentisco quelle dichiarazioni”. Così a ilfattoquotidiano.it l’ex deputato e giornalista. Che secondo Libero ha invitato i parlamentari di Forza Italia “a non fare barricate” contro l’amico fiorentino del premier Matteo Renzi. “È bravo davvero, sono un suo estimatore per la comune militanza ciellina”

carrai-675Renato Farina si scusa, rispondendo alle domande de ilfattoquotidiano.it: “Sono un dipendente del gruppo parlamentare di Forza Italia (alla Camera, ndr) e, per contratto, non posso rilasciare interviste. Non è stata una mia dichiarazione al giornalista, ma non smentisco niente”. La dichiarazione in questione, riportata oggi dal quotidiano Libero, è un vero e proprio spot alla nomina, alla guida della cybersecurity, di Marco Carrai, amico fidatissimo del premier Matteo Renzi. “Perché è bravo davvero”, assicurava l’ex parlamentare berlusconiano ai deputati azzurri. “Non è il caso di fare barricate su Marco Carrai alla cybersecurity del governo”, ragionava Farina, oggi animatore del Mattinale, il bollettino quotidiano voluto dal capogruppo di Fi Renato Brunetta, che detta la linea sui principali temi d’attualità della giornata. Insomma, un invito a non ostacolare la nomina del fedelissimo del numero uno di Palazzo Chigi da parte dell’ex vicedirettore di Libero che non nasconde di essere un “estimatore di Carrai per la comune militanza ciellina”.

NIENTE IN ORDINE Curioso, in ogni caso, che a sponsorizzare la nomina di Carrai (nella foto con Agnese Landini, moglie del premier) a capo della cybersecurity sia lo stesso Farina, assurto all’onore delle cronache per i suoi legami con i servizi segreti sotto lo pseudonimo di ‘Betulla’. Furono i magistrati Armando Spataro e Ferdinando Pomarici a scoprire la sua collaborazione, dal 1999 al 2006, con il Sismi allora diretto da Niccolò Pollari. Farina ha raccontato la sua versione dei fatti in un libro, Alias agente Betulla, pubblicato nel 2008, un anno dopo aver patteggiato una condanna a sei mesi (commutati in una multa di 6.800 euro) per favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta sul rapimento dell’ex imam di Milano Abu Omar. Che gli è costata anche la radiazione dall’Ordine dei giornalisti (Odg), per violazione del divieto di intrattenere rapporti con i servizi segreti. Evitata giocando d’anticipo: chiese la cancellazione dagli elenchi prima dell’adozione del provvedimento disciplinare. Quando poi, nel settembre 2014, il consiglio dell’Ordine della Lombardia ammise con voto unanime la sua domanda di reiscrizione, il giornalista di Repubblica, Carlo Bonini, si dimise polemicamente dal consiglio nazionale dello stesso Odg.

ALL’ULTIMO DOSSIER “La sua riammissione nell’Ordine – disse Bonini – oltraggia non solo la memoria di Giuseppe D’Avanzo, un amico di cui ho pudore a parlare, per me un padre non solo della professione, ma soprattutto quello che ha dato al giornalismo. E il silenzio è dei complici”. Il riferimento è all’attività di dossieraggio contro magistrati, politici e giornalisti svolta dalla struttura con la quale Farina collaborava. E sulla quale anche il Copasir, organo di controllo parlamentare sui servizi segreti, ha avviato una indagine. L’anno scorso l’ultimo colpo di scena: ospite di Fatti e misfatti su TgCom24, Pollari scagionò ‘Betulla’: “Non è il giornalista Farina, ma è un’altra persona”. E lui, proprio al Fatto quotidiano, confermò. Stavolta smentendo se stesso.

(Articolo scritto con Antonio Pitoni il 25 gennaio 2016 per ilfattoquotidiano.it)

Dottor Massimo e mr. D’Alema – da “Sfera pubblica” (15/12/2012)

lunedì, dicembre 17th, 2012

Primo luglio 2012: «In un nuovo centrosinistra europeo Monti può trovarsi a perfetto agio. È una personalità liberale che con la sua azione può mitigare positivamente le resistenze stataliste che ci sono ancora tra i socialisti. La sua insistenza sul completamento del mercato unico è giusta. Ha posizioni che a me paiono compatibili con il nostro orizzonte programmatico».

Quattordici dicembre 2012: «L’ho detto a Monti personalmente, ora glielo dico pubblicamente: sta logorando la sua immagine. Preservi se stesso, sia utile al Paese, non si faccia coinvolgere negli spasmi di una crisi politica sempre più convulsa e sconcertante per i cittadini. (…) Trovo che sarebbe illogico e in qualche modo moralmente discutibile che il Professore scenda in campo contro la principale forza politica che lo ha voluto e lo ha sostenuto nell’operazione di risanamento. Avendo grande stima di lui spero che non lo farà».

È strano pensare che entrambe le dichiarazioni siano state rilasciate dalla stessa persona, e a distanza di pochi mesi. Eppure è così. Neanche fosse dottor Jekyll e mr. Hyde, con una incredibile capriola, Massimo D’Alema ha fatto “un passo indietro” rivalutando – in negativo – la figura di Mario Monti. Perché averlo come alleato va bene, ma contro no, questo il presidente del Copasir proprio non lo può sopportare. Perché «qui stiamo parlando del futuro del Paese e delle istituzioni, non stiamo all’asta delle poltrone», ha aggiunto. Sussulto d’orgoglio. O forse paura. Quella, cioè, di vedere il centrosinistra ancora una volta subalterno alle altre forze che compongono lo scacchiere politico italiano: la “discesa in campo” di Monti e la capacità di Casini e Montezemolo di muovere «truppe cammellate» a suo sostegno fanno sudare freddo i vertici di Largo del Nazareno.

Nel 2006 Prodi riuscì a compiere il miracolo, ma poi il suo progetto si squagliò come neve al sole neanche due anni dopo, complice il fatto di aver messo in piedi una coalizione che andava da Mastella a Bertinotti. Un’ammucchiata perdente che diede a Berlusconi e al Pdl la possibilità di tornare a governare potendo contare sulla più ampia maggioranza nella storia della Repubblica. Ora l’incubo potrebbe ripetersi. Tutto, ovviamente, dipende dall’ex Commissario europeo, che continua a glissare sul suo futuro ma che prima o poi dovrà prendere una decisione definitiva.

Ma torniamo a D’Alema che, “rottamato” Renzi, deve decidere cosa farà da grande. Nell’intervista rilasciata il 14 dicembre al “Corriere della Sera” l’ex ministro degli Esteri è stato chiaro: «Ho dato la mia parola, non mi ricandiderò». Aggiungendo: «Vorrei ricordare che non sono disoccupato: sono presidente della fondazione Italianieuropei e sono a capo – nientemeno che, verrebbe da dire, ndr – della Foundation of European Progressive Studies. Faccio parte dei vertici del Pse». Ed è anche giornalista professionista. Quindi chissà che, per schiribizzo, il premier del “ribaltone” non voglia togliere il posto a qualche illustre commentatore – o a qualche precario – rispolverando la gloriosa tessera dell’Odg.

C’è comunque chi lo indica nuovamente alla Farnesina. E lui, sornione, dice che se arriverà una chiamata la valuterà. Quindi niente deroga, quella lasciamola alla Bindi. Anche perché, dopo la fredda replica di Bersani («Non sono io a nominare i deputati») alle sue esternazioni di metà ottobre («Posso candidarmi se me lo chiede il partito») e le parole non certo al miele del vicesindaco di Vicenza – e portavoce del segretario alle primarie – Alessandra Moretti, D’Alema ha capito che una forzatura sarebbe controproducente. Quindi meglio restare alla finestra. E magari, nel frattempo, rileggere il celebre romanzo di Stevenson. Certo, non un’opera contemporanea, visto che è datata 1886. Però per lui, che è in Parlamento da quasi 24 anni, dovrebbe andare più che bene.

P.S. Chiunque trovi un provvedimento che porta il nome di D’Alema, e che ha cambiato il corso degli eventi in Italia, è pregato di farcelo sapere. Buona ricerca.

Twitter: @GiorgioVelardi

Se i rottamati diventano rottamatori – da “Il Punto” del 26/10/2012

martedì, ottobre 30th, 2012

Tanto spirò il vento della «rottamazione» che alla fine i rottamati si trasformarono in rottamatori. Succede anche questo nell’Italia che cammina (a rilento) verso la Terza Repubblica, o che forse torna (correndo) alla Prima. Fatto sta che a pochi mesi dalle elezioni, con una legge elettorale ancora in fase “embrionale” e senza uno straccio di programma di cui poter discutere, l’attenzione è catalizzata in toto su chi deve essere “pensionato” o “dimesso”. Nel Pd come nel Pdl. Fra i democrat il protagonista assoluto è Massimo D’Alema. Il premier del “ribaltone” (dopo la caduta del governo Prodi del 1998), poi parlamentare europeo, ministro degli Esteri, membro di svariate commissioni (fra cui quella della pesca), vicepresidente dell’Internazionale Socialista e numero uno del Copasir. Da quasi 25 anni in Parlamento. Aveva pensato di non ricandidarsi, D’Alema. «Ne avevamo perfino parlato io e Bersani, un paio di mesi fa – ha rivelato lui –. Gli avevo detto: ragioniamo, troviamo un modo per un mio impegno diverso… Valutiamo assieme l’ipotesi che io non mi ricandidi al Parlamento. Ma ora no. Così, per quanto mi riguarda, no. Poi, naturalmente, parlerà il partito». Frasi pronunciate prima del “passo indietro” – o “autorottamazione” – di un altro pezzo da novanta del Partito democratico: Walter Veltroni. Il suo annuncio di non ricandidarsi ha provocato un effetto a cascata che finora ha portato con sé i vari Castagnetti, Turco, Treu, Parisi… Ma non D’Alema. O almeno non ufficialmente. Perché, ha detto il lider Maximo nel salotto televisivo di “Otto e mezzo” su La7, «se vince Bersani metterò a disposizione il mio posto in lista e non chiederò deroghe, ma se vince Renzi ci sarà uno scontro politico». Parole che portano a formulare tre domande. La prima: perché il Pd, in un momento di totale violazione delle regole da parte di una certa politica, crea scorciatoie per violarne una che fra l’altro è nel suo Statuto, e che prevede il limite dei tre mandati – cioè 15 anni in Parlamento – per i suoi deputati e senatori? La seconda, consequenziale: perché inserire quella norma nel regolamento del Pd, vista la presenza (già al tempo) di alcuni “fuoriquota”? Infine: cosa farà D’Alema in caso di vittoria (difficile, ma non certo impossibile) di Renzi? Darà veramente vita ad una nuova creatura di sinistra, dal sapore europeo e in combinata nordica con Vendola – come ipotizzato sette giorni fa da il Fatto Quotidiano – con il serio rischio di far esplodere il Partito democratico? Quesiti ai quali il presidente del Copasir dovrebbe rispondere facendo chiarezza. Sull’altra sponda del Tevere le acque sono sempre più agitate. “Colpa” di Daniela Santanchè. Quella che il 25 marzo del 2008 rivolgeva un appello alle donne italiane: «Non date il voto a Silvio Berlusconi, perché ci vede solo orizzontali e mai verticali». Al tempo, la ”pasionaria” azzurra militava ne La Destra di Storace. Poi è tornata all’ovile, è stata nominata sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e dopo la caduta dell’esecutivo guidato dal Cavaliere è diventata una delle maggiori oppositrici di Monti. Ma anche della nomenklatura del suo partito. Che, ha tuonato lei pochi giorni fa, dovrebbe dimettersi in blocco. Sarebbe difficile riepilogare tutte le reazioni dei suoi colleghi di partito. Basta quella del segretario Alfano, che ha definito il suo atteggiamento «sfascista» (e menomale che c’era la “s” davanti alla “f”…). Anche lei, da possibile rottamata – o “formattata”, per dirla con i giovani di centrodestra – vuole salvarsi rilanciando. Ma senza disporre di assi nella manica.

Twitter: @GiorgioVelardi