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Gli acefali

venerdì, luglio 26th, 2013

dall-osso-il-deputato-m5s-affettoMi è capitato, recandomi alla Camera dei deputati nei mesi scorsi, di incrociare gli sguardi affascinati degli studenti venuti a visitare quel posto che – malgrado tutto – conserva ancora qualcosa di magico. I ragazzi guardavano il Transatlantico con occhi spalancati. Perché li si è scritta la storia di quel Paese che è anche il loro e che (speriamo) fra qualche anno li vedrà protagonisti.

Gli anni scolastici, appunto. Quelli della spensieratezza. Dello studiare e basta, dei pomeriggi passati a casa degli amici a darsi una mano nei compiti e a «cazzeggiare». Ma anche quelli degli sfottò in classe nei confronti di quei compagni che, per i più svariati motivi, non sono proprio come gli altri. Tutto ciò è sempre apparso ai miei occhi come un simbolo di debolezza e codardia. Anche perché, poi, gli stessi che irridono i più deboli si guardano bene dal ripetere simili comportamenti con quelli considerati “pericolosi”. Bulli part-time, insomma. Acefali, di fatto.

Qualche giorno fa, proprio a Montecitorio, sembrava di essere tornati a scuola. Seduta notturna, è molto tardi. Si discute sul cosiddetto “decreto del fare”. Prende la parola Matteo Dall’Osso, 35 anni, deputato del Movimento 5 Stelle. La sua è una storia particolare. Da dieci anni, Matteo è infatti affetto da sclerosi multipla. Non serve spiegare di che tipo di malattia si tratta, tutti – più o meno – sappiamo di cosa stiamo parlando. Dicevamo: Dall’Osso comincia a leggere il suo intervento ma poco dopo, complice la stanchezza, perde lucidità. Si ferma. Il presidente di turno, il collega di partito Luigi Di Maio, gli chiede se vuole continuare. Gli trema la mano. Lui non demorde e va avanti. Arriva addirittura a scusarsi mentre – ed è questo il punto – dai banchi vicini alcuni “colleghi” cominciano a irriderlo (guarda il video: http://bit.ly/13fUNCc).

Sono quelli di Pd e Scelta Civica. E allora ti fermi un attimo a pensare. Ragioni. Elabori. E ricordi che i primi sono quelli che si indignano – giustamente, sia chiaro – se gli esponenti di un partito che non ha mai fatto della tolleranza il suo cavallo di battaglia rivolgono offese gratuite nei confronti di una loro illustre collega, ministra dell’Integrazione, arrivando addirittura a paragonarla ad un animale. Un orango, per chi avesse rimosso. I secondi, invece, sono gli stessi che per mesi hanno visto e sentito il loro leader ripetere in modo netto quella parola, equità, che dovrebbe dunque evitare qualsiasi forma di giudizio discriminante.

Ovviamente la vicenda è diventata un caso. Sono stati emanati due comunicati, uno per parte. «Nessun deputato del gruppo Scelta civica si è permesso di offendere o anche solo irridere il deputato Matteo Dall’Osso. Respingiamo dunque al mittente il tentativo meschino di strumentalizzare il tema della disabilità solo per alimentare una volgare polemica politica con cui screditarci. Invitiamo il M5S e chi lo guida a non ricorrere mai più a mezzucci indegni e lesivi della dignità delle persone affette da handicap, oltre che del decoro del Parlamento», hanno rilanciato i montiani. Mentre per il Pd si tratta di «un caso che non ha alcun fondamento», anche perché «basta osservare il comportamento del vice presidente di turno in quel momento per accertarsi che non c’è alcun riscontro alle accuse lanciate contro i deputati di maggioranza». Insomma, in fin dei conti la maestra non ha visto e quindi nessuno ha colpe.

Questa mattina La Stampa ha pubblicato un’intervista a Matteo Dall’Osso. Leggo un passaggio e mi commuovo. «Tutti i giorni faccio le scale per venire in Aula. Sono partito da una condizione in cui non muovevo le gambe, la mano, non vedevo da un occhio e non riuscivo a parlare. Oggi la mia vicenda è diventata un case history internazionale. Figuriamoci se mi preoccupo di certe cose». Ne leggo un altro e capisco tutto. «Offeso? Non per me, per le istituzioni. Se qualcuno mi ha chiesto scusa? Sì, anche in Aula. Un deputato di Scelta Civica mi ha chiamato al telefono. Con la mano davanti alla bocca. Per non farsi vedere». Appunto.

Twitter: @GiorgioVelardi