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Una politica da Oscar – da “Il Punto” del 25/01/2013

lunedì, febbraio 4th, 2013

Colloquio con il leader di “Fare”. «L’Agenda Monti ha ridato vigore a Berlusconi, mentre Bersani ha accettato la contrapposizione fra due armate che in diciotto anni hanno prodotto risultati terribili. Il Professore? Il suo è un programma non impegnativo, che indica delle linee senza prendere posizioni concrete»

Giannino_blogMi perdoni per il ritardo, ma in queste settimane sto facendo più o meno la vita di un topo in trappola». A parlare è Oscar Giannino, uno dei più autorevoli giornalisti economici italiani e – da qualche mese a questa parte – leader di “Fare”, il movimento con cui si candida a guidare l’Italia. Una corsa solitaria, la sua, che rende la sfida difficile. Però, dice Giannino nel corso del colloquio con Il Punto, «noi rimarremo in campo qualunque sia il risultato. Se la Seconda Repubblica non sarà superatala sfida resterà aperta».

Il 24 e 25 febbraio gli italiani tornare alle urne. Ci sono Berlusconi, Bersani, Casini, Fini, Montezemolo… Giannino, siamo davvero nel 2013?

«No, perché questa è la classica campagna elettorale da Seconda Repubblica. Mi auguro che le conclusioni siano migliori delle premesse e che questa logica si riesca a superare. Purtroppo l’Agenda Monti – nelle forme in cui è stata costruita e presentata – ha ridato vigore a Berlusconi, che ha guadagnato il 7% tornando a riproporre per la sesta volta le stesse cose. Anche Bersani, malgrado l’aplomb iniziale, ha accettato la contrapposizione fra due armate che in diciotto anni hanno prodotto i risultati terribili che vediamo attraverso i dati dell’economia reale».

Poi ci sono Grillo, Ingroia e lei, che ha detto di non volere un accordo con i moderati ma con gli indignati. Quanti sono, a suo avviso, coloro che compongono questa categoria?

«In tutto il corso della storia repubblicana, serie storiche alla mano, non abbiamo mai avuto una percentuale di indecisi o potenziali astenuti elevata come adesso: 40% nel primo caso, 35 nel secondo. Quello di scontenti, delusi e arrabbiati è un oceano vastissimo. Il primo dato che io osservo per misurare la sofferenza dell’Italia è quello relativo al numero di famiglie che dichiarano di dover mettere mano ai risparmi per poter andare avanti. L’ultimo dato fornito dall’Istat, che risale allo scorso novembre, parla del 32,8% di nuclei costretti ad attingere dai loro accantonamenti. Eppure nel 2008, quando iniziò il governo Prodi, eravamo fermi al 12%, e nel novembre del 2011 al 22. Pensare che nel nostro Paese non si possa assistere a scene come quelle viste nelle piazze di Spagna e Grecia è un errore. Ci sono punti di rottura oltre i quali non può che esplodere una protesta cieca».

Non è un mistero che il suo movimento sia stato molto vicino a Italia Futura di Montezemolo. Poi avete “divorziato” e lei ha commentato: «Mi sono sentito come un clandestino a bordo. Forse non siamo stati abbastanza allineati». A cosa?

«Da ottobre – quando ci hanno messo alla porta – fino alla presentazione delle liste montiane, ho toccato con mano un programma troppo vincolante nei numeri da una parte, e la mancanza di idee taglienti dall’altra. Si è seguita l’impostazione di Montezemolo e dei suoi di essere monopolisti nella selezione dei componenti della società civile».

E Monti?

«Con lui ho un buon rapporto e lo manterrò, perché bisogna distinguere fra politica e stima personale. L’ho incontrato una volta che le liste erano state chiuse e gli ho detto che se l’ex direttore generale di Confindustria Galli, quello di Confcommercio Taranto e il segretario generale della Cisl Santini si candidano col Pd, forse l’errore è stato quello di affidare a Sant’Egidio e Montezemolo la decisione di chi dovesse entrare o meno in lista. Lo dico perché pensavo che ci mettessimo finalmente la Seconda Repubblica alle spalle; ma per fare ciò ci sarebbe stato bisogno di un appello molto ampio alla società civile, come fece de Gaulle in Francia a cavallo fra la Quarta e la Quinta Repubblica. Questa cosa nell’Agenda Monti non c’è stata».

Restiamo sull’Agenda: qual è l’aspetto peggiore di questo documento, criticato anche da persone vicine a Monti come Passera e Giavazzi?

«Mi preoccupa il fatto che sia un programma non impegnativo, che indica delle linee senza prendere posizioni concrete. L’Agenda non precisa – per esempio – di quanti punti di Pil verranno tagliate la spesa pubblica e le imposte, oppure cosa si intende fare riguardo le dismissioni. La parte più concreta mi sembra quella che riguarda il mercato del lavoro, scritta da Pietro Ichino. Il resto è qualcosa di fumoso, non c’è stato quel cambio di marcia che mi sarei aspettato da Monti una volta terminato il periodo di governo al fianco della “strana maggioranza”».

La corteggiano Corrado Passera, Fratelli d’Italia e il Pd. Lei però corre da solo. Una scelta coraggiosa…

«Il nostro obiettivo è quello di andare oltre il dualismo fra berlusconiani e anti-berlusconiani. Questo per noi è solo il primo passo: più avanti spero che persone come Corrado Passera, Emma Marcegaglia, Luigi Abete e tanti altri pezzi della società civile diventino risorse attive per l’Italia. Noi rimarremo in campo qualunque sia il risultato, restando un cantiere in cui invitare le persone a pensare a come poter cambiare le cose. Se la Seconda Repubblica non sarà superata la sfida resterà aperta».

La sua decisione passa anche attraverso un’operazione di “liste pulite”, come testimonia il caso di Giosafat Di Trapani in Sicilia…

«È stata una scelta inevitabile. La gente si arrabbia – a ragione – quando legge le storie di tesorieri che sperperano denaro pubblico o di consiglieri regionali che guadagnano “legalmente” il 50% in più del presidente degli Stati Uniti. Le “liste pulite” sono solo il punto d’inizio di una nuova etica che occorre per questo Paese. Tornando al caso che ci riguarda, Giosafat Di Trapani (presidente della piccola impresa di Confindustria e candidato numero tre alla Camera per la Sicilia 1 di “Fare”, ndr) lotta da 25 anni contro il racket e la mafia, ma non ci ha parlato di una sua condanna in primo grado per favoreggiamento al figlio di Ciancimino (1992, ndr) poi finita in prescrizione in secondo. L’ho chiamato e ci siamo trovati d’accordo nel non candidarlo».

Ipotizziamo che lei vinca le elezioni. Quale sarebbe il suo primo provvedimento da capo del governo?

«Il nostro è un programma impegnativo, che prevede – fra le altre cose – l’abbattimento del debito attraverso le dismissioni e il rientramento della spesa pubblica. Bisogna innanzitutto superare un ostacolo, rappresentato dai vertici della Pubblica amministrazione. Nel dire sì o no alle decisioni che vengono prese in questo Paese la mano della parte “tecnica” è molto forte. Va abbandonata la concezione che lo Stato non debba cedere niente. Una premessa a tutti i provvedimenti è quella di sostituire un bel po’ de gli alti dirigenti pubblici. Attenzione: ciò non va fatto in base al partito di appartenenza, ma riportando in patria nostri connazionali che hanno collaborato alla ristrutturazione del debito di economie estere in difficoltà e che conoscono la selva amministrativa e le complicazioni del bilancio italiano. A questo potere opaco, di cui la politica si occupa poco, vanno cambiati indirizzi e facce».

«La classe politica ha fallito, tranne limitate eccezioni personali», ha detto lei. Renzi poteva dare una scossa?

«Se Matteo non avesse accettato la regola delle primarie chiuse con cui il partito lo ha fregato, ma avesse chiesto che le stesse fossero state aperte come quelle del 2006, sarebbe stato la vera grande novità della politica di casa nostra. Di conseguenza si sarebbero verificate tre cose. Primo: Renzi avrebbe vinto e sarebbe stato il primo leader del Pd a rompere la continuità di una leadership scelta dall’oligarchia in diretta continuità con il Pci; secondo: noi avremmo aperto un cantiere insieme ai democratici per un programma comune; infine, credo che l’effetto-Renzi avrebbe disallineato l’intera offerta politica italiana creando un orizzonte che avrebbe consegnato Berlusconi al passato. Il Pd ha perso una grande occasione, personalmente mi auguro che lui continui per la sua strada anche in futuro».

Maroni le ha inviato un sms prima di andare ad Arcore da Berlusconi e le ha scritto: «Vado a rompere con lui». Poi è accaduto il contrario…

«Maroni si è reso protagonista del cambiamento all’interno della Lega, cosa che io apprezzo molto. Prima che ricucisse con Berlusconi abbiamo parlato più volte e, anche in vista del voto in Lombardia, gli ho chiesto se andasse avanti con il suo progetto tenendo duro contro il Cavaliere. Fino a poche ore prima che andasse ad Arcore – siccome i mal di pancia nella Lega erano fortissimi – mi ha detto che malgrado le difficoltà avrebbe provato a rompere. Poi, come ha detto lei, le cose sono andate diversamente…».

È deluso da questo atteggiamento?

«L’errore commesso è stato grave: non so se il Carroccio vincerà in Lombardia ma, al di là di questo, lo sbaglio si riferisce ai temi cari alla Lega e al popolo del Nord. Soggetti ai quali Berlusconi, in diciotto anni,non ha dato nulla. È innegabile, quindi, che la decisione di Maroni mi abbia deluso».

Twitter: @mercantenotizie