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Archive for gennaio 15th, 2013

Tutti, tranne i Radicali

martedì, gennaio 15th, 2013

L’aspirante governatore del Lazio Nicola Zingaretti non vuole ricandidare i consiglieri uscenti dopo gli scandali che hanno travolto i gruppi. Ma Berardo e Rossodivita hanno smascherato «Batman» Fiorito. In Lombardia Cappato annuncia: «Noi fuori? Non c’è il consenso dei partiti della coalizione»  

CONGRESSO RADICALI ITALIANIAvete mai letto una fiaba in cui i buoni perdono e i cattivi vincono? «Impossibile», diranno i più. Vero. Ma la realtà è un’altra cosa. E dunque accade che, nel pieno della campagna elettorale, tutti si siano dimenticati dei Radicali. Il partito di Marco Pannella promotore di mille battaglie, scioperi della fame, denunce sociali. Quello che, tanto per rimanere ancorati al recente passato, ha smascherato con le proprie denunce – avanzate dai consiglieri uscenti Rocco Berardo e Giuseppe Rossodivita – «Batman» Fiorito e provocato un terremoto che alla Regione Lazio ha portato alle dimissioni della governatrice Renata Polverini.

Dargli un “premio” per il loro coraggio? Macché, anzi. Dalla corsa che a meno di clamorose sorprese lo porterà alla Pisana, il candidato del centrosinistra Nicola Zingaretti ha escluso proprio i Radicali. La sua intenzione – suffragata dalle parole di Massimiliano Smeriglio, coordinatore per la campagna elettorale del centrosinistra alle Regionali – pare sia quella di non ricandidare i consiglieri uscenti dopo gli scandali che hanno travolto i gruppi. Ma è una tesi che non regge perché, come detto, il partito di Pannella era un corpo estraneo al sistema; e poi perché molti degli ex esponenti del Pd in Regione sono stati “dirottati” alla Camera e al Senato (Esterino Montino, ex capogruppo dei democrat in consiglio regionale, correrà per la poltrona di sindaco di Fiumicino). Insomma nessuno, o quasi, è rimasto a bocca asciutta. «Tranne i Radicali», come recita un hashtag che negli ultimi mesi spopola su Twitter. Va ricordato, per dovere di cronaca, che nel 2008 fu lo stesso Partito democratico a “sabotare” l’elezione di Emma Bonino alla Pisana, come rivelato nel novembre 2011 dall’allora direttore dell’Unità Concita De Gregorio (l’ex vicepresidente del Senato decise di sfidare la Polverini ma perse con uno scarto di poco inferiore al 3%). La giornalista affermò che, in seguito alla fuoriuscita di Gianfranco Fini dal partito di Berlusconi, il Pd si accordò per far vincere “Renata” e rafforzare la componente “finiana” del Pdl in modo da provocare un clamoroso ribaltone in Parlamento portando centrosinistra e Terzo Polo al governo (è andata diversamente, come sappiamo). Ma quello del Lazio non è un caso isolato.

La stessa situazione si presenta, infatti, anche in Lombardia, dove il prossimo 24  e 25 febbraio si tornerà alle urne per eleggere il successore del “Celeste” Formigoni. Qui il candidato scelto dagli elettori del centrosinistra attraverso le primarie si chiama Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, l’avvocato ucciso nel 1979 dai sicari di Michele Sindona. Eppure «a fronte della nostra richiesta di incontro per discutere dell’alleanza, mi è stato comunicato dall’entourage di Ambrosoli che la soluzione prospettata non prevede l’apparentamento della nostra Lista, sul quale non vi sarebbe il consenso dei partiti della coalizione», ha spiegato l’ex europarlamentare Marco Cappato. Pure in questo caso sembra esserci la longa manus del Pd, che con i Radicali proprio non vuole avere più nulla a che fare (la Lista “Amnistia, Giustizia e Libertà” si presenterà da sola anche a livello nazionale). Pannella non demorde e, fra uno sciopero della fame e l’altro, promette battaglia. Nel frattempo “Marco” si dedica alla sua decennale campagna, quella per il miglioramento della condizione delle carceri italiane. Di recente la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia al risarcimento di sette detenuti per “danni morali”, ritenendo il nostro Paese colpevole di trattamento inumano e degradante nei loro confronti. Un problema che non sembra interessare nessuno. Tranne i Radicali.

g.velardi@ilpuntontc.com

«L’Agenda Monti? Manca la diagnosi della grave situazione in cui siamo» – da “Il Punto” dell’11/01/2013

martedì, gennaio 15th, 2013

Giacomo-VaciagoGiacomo Vaciago, docente di Economia monetaria all’Università Cattolica di Milano e direttore del Circolo Ref Ricerche, è chiaro: «Nell’Agenda Monti, come in tutti gli altri programmi che finora ho letto, manca una diagnosi della gravità della situazione in cui siamo».

Professore, alcuni suoi colleghi hanno espresso un giudizio negativo sull’Agenda Monti. Lei cosa ne pensa?

«L’agenda non è un manifesto né un programma. Ma come c’è scritto – peccato che tanti l’abbiano giudicata senza averla letta – è un  “Primo contributo ad una riflessione aperta”. In italiano, ciò vuol dire che nelle intenzioni di Mario Monti altri disposti a collaborare con lui e a condividerne l’impegno avrebbero dovuto contribuire a  integrare-emendare-migliorare il testo, scrivendo così l’Agenda che alla fine sarà presentata in tempo per il voto degli italiani il 24 e 25 febbraio. Se dovessi aiutare qualcuno a capire il limite principale dell’Agenda Monti, come di tutti gli altri programmi che finora ho letto, direi che manca una diagnosi della gravità della situazione in cui siamo, in un Paese – unico al mondo – che da 15 anni non cresce e da 5 va indietro. I danni li pagano i nostri figli e nipoti».

Due dei passaggi fondamentali sono la riduzione del prelievo fiscale e la crescita. Obiettivi realizzabili?

«È chiaro che se si vota a febbraio ed abbiamo un governo che insedia a maggio, il 2013 è praticamente finito. Se l’Agenda Monti – possibilmente migliorata – ci aiuta a definire i binari su cui si muoverà il Paese nei prossimi anni è perché iniziamo il cambiamento che da vent’anni ci ostiniamo a rifiutare. Ricordo due cose essenziali che sono già nella nostra Costituzione: l’onore, con cui devono adempiere la loro funzione politici e burocrati, e il merito, in base al quale si va all’Università. È ciò che succede nei paesi normali. Non è neppure necessario un “avviso di garanzia” perché un membro del governo si dimetta se è stato colto con le dita nella marmellata. E se vuoi sapere cos’è il merito in Germania consiglio di studiare l’iniziativa di eccellenza delle Università tedesche, iniziata da Schröder nel 2005 e proseguita dalla Merkel».

Ci sono poi la lotta all’evasione e la “spending review”, peraltro già intraprese. In tal senso si poteva fare di più?

«È  ancora tutto da fare. Ricordo che il nostro bilancio pubblico è da anni in equilibrio perché ci sono le maggiori entrate dovute alla “lotta all’evasione”. La mia battuta è:  “Siamo fortunati che c’è l’evasione, sennò dove prenderemmo quei soldi?”. Scherzi a parte, ci sarà sempre evasione se resta l’idea che sono soldi dovuti ad uno Stato che non li merita, o che l’evasore sì che è furbo. È come copiare a scuola: stai imbrogliando il Professore. Nei Paesi normali l’evasore è considerato un ladro: deruba il prossimo. Serve dunque una vera e propria svolta radicale: tutti i soldi portati via agli evasori vanno a ridurre le aliquote. Anche qui, consiglio di andare a vedere le migliori pratiche altrui».

Bersani e Berlusconi sembrano voler “smontare” le riforme fatte dall’esecutivo tecnico. Quali potrebbero essere gli effetti reali delle “rimodulazioni” dei partiti?

«Alla fine Bruxelles, Francoforte e Washington decideranno per noi. Abbiamo ormai imparato che siamo troppo grandi perché ci lascino sbagliare in santa  pace. Nessuno desidera un’Italia che imiti la Grecia. D’altra parte, proprio perché c’è ancora tanta qualità in Italia, vedo che l’estero sta comprando – una  dopo l’altra – le  nostre aziende migliori. Non è la prima volta che abbiamo padroni stranieri. Consiglio di rileggere cosa il grande storico economico Cipolla scrisse sul nostro declino di quattro secoli fa…».

Infine c’è il rapporto con l’Europa. Secondo lei Bersani avrebbe la caratura politica per “affrontare” la cancelliera Merkel?

«Il problema non è tra loro due. Nel nostro gossip quotidiano si è finito col personalizzare tutto, quindi la Merkel è diventata il nostro maggiore problema. Vorrei che ci ricordassimo che di fronte a noi ci sono 80 milioni di tedeschi. E per capire la loro “vista lunga” consiglio di vedere quanto, da anni e col consenso delle parti sociali, stanno investendo in educazione e ricerca. Come noi, la Germania ha da molti anni demografia negativa e per capire come stanno reagendo basta visitare il sito dei Max Planck Institutes, che da dieci  anni assegna borse di studio ai migliori del mondo. Stupisce che prendano sempre più italiani?».

Twitter: @mercantenotizie