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La Consulta e il riferimento all’art. 271. Li Gotti: «Come si regolerà ora il gip?» – da “Il Punto” del 14/12/2012

giovedì, dicembre 20th, 2012

consulta«La Corte costituzionale in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dal Presidente della Repubblica ha dichiarato che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, captate nell’ambito del procedimento penale n. 11609/08 e neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271, terzo comma, c.p.p. e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti». Quello che avete appena letto è il comunicato con cui la Consulta ha annunciato di aver accolto il ricorso del capo dello Stato Giorgio Napolitano, che nel luglio scorso ha sollevato il conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato (presidente della Repubblica e Procura di Palermo) riguardo le telefonate intercorse fra lui e Nicola Mancino, intercettato dai magistrati palermitani che indagano sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Si tratta di sole quattro conversazioni fra le 9.295 totali, avvenute fra il 7 novembre 2011 e il 9 maggio 2012 sulle sei utenze del già presidente del Senato, ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura messe sotto controllo. Ora si attendono le motivazioni della sentenza, che arriveranno nei prossimi mesi, probabilmente a gennaio. Si tratta di un “inedito”, anche se ci sono due precedenti degni di nota. Il primo vide coinvolto, nel 1997, Oscar Luigi Scalfaro – il procedimento era quello per la bancarotta della Sasea: l’ex inquilino del Quirinale venne intercettato nel 1993 dalla Guardia di Finanza mentre parlava con l’amministratore delegato di Banca Popolare di Novara Carlo Piantanida e le conversazioni furono pubblicate quattro anni dopo da “Il Giornale” – ma non venne sollevato alcun conflitto di attribuzione. Merito anche dell’intervento dell’allora ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick, che “scagionò” i magistrati. «Non hanno violato alcuna norma – disse rispondendo all’interpellanza presentata da Francesco Cossiga – anche se la procedura seguita non appare in linea con i principi della Costituzione a tutela del presidente della Repubblica». Il secondo riguarda le chiamate fra lo stesso Napolitano e l’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso all’indomani del terremoto in Abruzzo (conversazioni senza nessun rilievo ai fini dell’inchiesta). Tornando però alla sentenza di pochi giorni fa, le incongruenze non mancano. Nel comunicato, la Corte fa riferimento al terzo comma dell’articolo 271 del codice di procedura penale, che recita: «In ogni stato e grado del processo il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni previste dai commi 1 e 2 sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato». Ma l’articolo del c.p.p. che disciplina la distruzione delle intercettazioni non utilizzabili è il 269, che richiama – non a caso – il terzo comma del 271. «Gli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione, a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l’intercettazione», è scritto nella disposizione. La quale prosegue specificando che «il giudice decide in camera di consiglio a norma dell’articolo 127». «Quella della Consulta è una sentenza “innovativa”. Questo perché non è stato dichiarato incostituzionale l’articolo 269 nella parte in cui impone il rito dell’udienza camerale malgrado si faccia riferimento a “modalità idonee ad assicurare la segretezza” del contenuto delle intercettazioni », dichiara Luigi Li Gotti, responsabile Giustizia dell’Italia dei valori. «Ma cosa accadrà – si domanda il senatore dipietrista – quando il gip di Palermo dovrà provvedere alla distruzione dei nastri? In base a quale norma del sistema procederà? In questo modo si crea una situazione di imbarazzo, anche perché dovrà poi essere redatto un verbale dell’operazione (secondo quanto stabilisce il comma 3 dell’articolo 269, ndr)». Il giudice rischia, addirittura, di commettere un reato. «Ci deve essere una norma “di copertura” – afferma ancora Li Gotti – perché distruggere una prova processuale senza uno “scudo” è soppressione di prove. Aspettiamo le motivazioni, ma da quanto sembra allo stato attuale il gip sarà messo in grave difficoltà e rischierà addirittura una denuncia per abuso in atti d’ufficio ». Sull’argomento si è espressa recentemente (febbraio 2007) anche la Corte di Cassazione che, in accoglimento di un ricorso presentato in merito alla distruzione di telefonate intercettate senza che gli interessati fossero stati avvertiti dell’udienza in cui si è adottata simile deliberazione, ha dichiarato che «la distruzione » deve essere decisa «in camera di consiglio a norma dell’art. 269 commi 2 e 3 del codice di rito. E il comma 2 di quest’ultima disposizione, a sua volta, richiama il precedente art. 127».

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