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La terribile settimana di Fini – da “Il Punto” del 16/11/2012

venerdì, novembre 16th, 2012

C’è stato un tempo in cui Gianfranco Fini era indicato da molti come il leader di una destra italiana di respiro internazionale. Una destra che aveva chiuso a chiave nel cassetto un passato poco glorioso per la storia del nostro Paese e che guardava al futuro con accenti meno marcati su temi quali l’immigrazione, le disuguaglianze, le pari opportunità. C’è stato, appunto. Perché la parabola discendente compiuta dall’attuale presidente della Camera rischia oggi di provocarne addirittura la fuoriuscita dal Parlamento. Stando agli ultimi sondaggi, Futuro e Libertà per l’Italia sarebbe ben lontano dalla soglia di sbarramento (4 per cento) stabilita dalla legge elettorale per accedere ai “palazzi”. Per Spincon (istituto di sondaggi online indipendente), infatti, solo l’1,8 per cento degli italiani voterebbero per il partito di Fini, mentre per Emg la percentuale salirebbe al 2,7 per cento (media: 2,3 per cento). Si tratta, comunque, del capitolo conclusivo di una storia dal finale amaro, sia per l’ex leader di Alleanza nazionale che per molti suoi compagni di viaggio. Una vicenda cominciata nel marzo del 2009, quando An fu sciolta per confluire nel Popolo della Libertà. Un partito in cui i rapporti di forza erano evidentemente squilibrati già in partenza. Questo perché Fini non aveva a che fare con un leader qualsiasi, ma con Silvio Berlusconi. L’uomo più potente del Paese. Colui che ad aprile del 2010, in occasione della Direzione nazionale del Pdl, lo cacciò pubblicamente da una creatura che era nata, cresciuta e modellata a sua immagine e somiglianza, in cui il dissenso non era (e in parte ancora non è) contemplato. «Un match senza precedenti, nel quale a prevalere è più la distanza personale che quella politica», scrisse il Giornale commentando l’accaduto. Da quell’incontro ravvicinato con il “peso massimo”, Fini uscì con le ossa rotte. Pensò che lo strappo gli avrebbe permesso di accaparrarsi le simpatie anche di chi fino a quel momento lo bollava ancora come «fascista», malgrado lui nel 2003, nel corso di un viaggio a Yad Vashem (Israele), definì il ventennio mussoliniano «il male assoluto». Così non andò. Per rimanere in vita Fli si è accodato a Udc e Api, dando vita ad un Terzo polo che si è sbriciolato ancora prima della conclusione dei lavori, e ha perso pezzi importanti quali Ronchi, Urso, Scalia, Rosso, Viespoli, Barbareschi… Nel frattempo di sottofondo, per Fini, c’erano gli echi della vicenda della casa di Montecarlo, che periodicamente regala aggiornamenti non certo esaltanti per moglie e cognato. Quel che è certo è che la settimana scorsa sarà ricordata a lungo dal presidente della Camera. Lunedì 5, ai funerali di Pino Rauti, storico segretario del Movimento sociale italiano che non accettò mai la “svolta di Fiuggi”, Fini viene pesantemente contestato dai camerati, che arrivano addirittura a sputargli addosso e ad accostarlo a Pietro Badoglio. «Un paio di tipi muscolosi hanno provato ad avvicinarsi, allora mi sono alzata e gli ho puntato contro l’ombrello», ha rivelato Assunta Almirante (moglie dello scomparso Giorgio, di cui il leader di Fli è stato a lungo il “delfino”), che lo ha difeso. Pochi giorni più tardi, poi, Fini tende la mano ad Alfano – «Con lui si potrà davvero aprire una pagina nuova per tutti i moderati italiani. E personalmente ne sarò lieto» – ma il segretario del Pdl lo gela: «La sua storia con l’elettorato di centrodestra è chiusa». Dice il vecchio adagio: «Chi è causa del suo mal pianga se stesso».

Twitter: @GiorgioVelardi